CULTURA

Galileo – Contro i nemici del pensiero scientifico

Un altro libro su Galileo? Beh, sì: volentieri. Soprattutto se la penna è quella dell’astronomo Mario Livio, grande raccontatore di vite di scienziati, e se la chiave è “tutto questo non vi ricorda qualcosa?”. L’idea di questo libro è infatti contenuta nel sottotitolo, che poi a seconda di come si leggono le parole in copertina può sembrare un format del tipo “Hulk contro Superman” o (perdonateci) “Fantozzi contro tutti”. Perché qui si parla di Galileo ma anche dei nemici del pensiero scientifico e si fa notare dall’inizio alla fine della vicenda personale dello scienziato pisano, e anche oltre, “quanto sia importante la storia di Galileo per il presente”. Quanto sia istruttiva a leggerla oggi ma anche quante conseguenze importanti abbia avuto per il nostro mondo, e non solo in ambito astronomico. E, comunque, anche senza i parallelismi col negazionismo climatico o con le fissazioni no-vax o con le teorie tipo intelligent design, che come Mario Livio dimostra ricalcano il negazionismo aristotelico degli uomini di chiesa del Seicento, si tratta di una storia appassionante, importante, e a tratti sorprendente.

Per esempio vi si scopre che Keplero e Galileo si scambiarono lettere con messaggi cifrati, cifrati così bene che non si capiva niente, e che comunque potevano contenere messaggi sbagliati (cioè: Galileo voleva dire una cosa a Keplero, ed era una cosa sbagliata, ma Keplero non capì, e prese fischi per fiaschi). Del resto all’epoca cifrare i messaggi era pratica frequente che serviva ad affermare il proprio primato su una scoperta, e sbagliare capitava di sbagliare anche allora, anche a Galileo.

Si scopre che Galileo sapeva essere sfrontato e divertente, come quando scrisse un libretto in cui proponeva di andare in giro tutti nudi, in modo da poter valutare a occhio le rispettive virtù. E poi che molte delle cose che ci diciamo su di lui sono probabilmente miti, come quello sull’esperimento della caduta dei gravi coi sassi fatti cadere direttamente dalla Torre di Pisa. O come il “Galileo astrologo”, citato talvolta dagli sciocchi, che andrebbe riferito all’astrologia del tempo, che comunque Galileo riteneva “fondata sopra incertissimi se non falsi fondamenti”. E poi Galileo era una persona colta, anche negli ambiti della cultura oggi definiti umanistici, e non ebbe esitazioni a transitare dalla musica (del resto suo padre era un importante musicista) alla fisica, dalla letteratura alla matematica. Era un gran conoscitore dell’Ariosto (mentre disprezzava il Tasso), e, ancora giovane, veniva considerato esperto dell’architettura dell’inferno nella Divina Commedia.

E poi ci sono le sue, di scoperte: quelle di Galileo. La sua intuizione di puntare il cannocchiale verso l’alto, e la sua perizia nel perfezionare gli ingrandimenti, gli fece cambiare la visione del cielo nel giro di pochi anni a partire dal 1609: l’osservazione della superficie della Luna, dei satelliti di Giove, delle fasi lunari, della Via Lattea, erano l’innesco di una rivoluzione. Galileo sapeva che la scienza va raccontata, e va raccontata bene. Che deve circolare, e non restare confinate alla comunità degli scienziati: la scienza, per Galileo, era parte della cultura di tutti e tutti potevano apprezzarla e capirla. Così prese carta e penna, e il suo “Sidereus Nuncius” fu subito un best seller. Tanto che la pittura di quegli anni cominciò a rappresentare la Luna come Galileo l’aveva appena descritta e che i Medici, a cui il libro era stato astutamente dedicato, gli fecero una potente campagna stampa.

Per un po’, Galileo fu sommerso di onori. Ma a un certo punto si accorse di doversi fare più cauto. La cosmologia copernicana confliggeva con quella aristotelica che la chiesa aveva adottato come ortodossia, e tirava una brutta aria per quelli che, in qualsiasi modo, invadevano l’ambito dell’interpretazione delle Sacre Scritture.

Qui comincia la seconda parte della storia. La posizione di Galileo sui rapporti tra scienza e fede fu resa esplicita: Dio, al quale lui era sinceramente devoto, non poteva averci dato i sensi per impedirci di usarli per conoscere la natura, e la Bibbia non doveva essere presa alla lettera laddove ci fossero prove evidenti di fenomeni contrari a quello che vi si poteva leggere. Galileo, quasi con candore, aveva deciso di basare le proprie idee sull’evidenza sperimentale e sul ragionamento, abbandonando la soggezione per le parole autoritarie degli antichi: aveva cominciato col criticare la fisica del moto di Aristotele quando aveva ventisei anni, e dopo innumerevoli avvertimenti, scivoloni, fraintendimenti, mezze balle e peripezie di tutti i tipi, finì per essere processato di eresia, ed essere costretto all’abiura, da vecchio, cieco e malandato.

Per tutto questo è il più grande scienziato di tutti i tempi, come riconobbero anche Einstein e Russell: è stato il primo ad avere combinato sperimentazione, idealizzazione e quantificazione (la matematica!). E divulgazione. Ma è stato anche uno strenuo difensore della scienza.  

Per essere chiari, i nemici della scienza dentro la chiesa hanno mantenuto il Dialogo all’Indice dei libri proibiti fino al 1835. Ma chi aveva ragione, a proposito dell’Universo, era Galileo. E il metodo scientifico è stata la sua eredità più grande, che nessuno ha potuto, né potrà mai, cancellare.

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