SCIENZA E RICERCA

Gene editing e algoritmi predittivi per fermare la piaga delle cavallette

Il 2020 verrà ricordato come un anno funesto sotto molti aspetti, non ultimo quello delle invasioni delle cavallette in più zone del mondo. Non solo l’Egitto, quindi, nel mirino della locusta del deserto, o più correttamente Schistocerca gregaria, ma anche vaste zone dell’Asia, dell’Africa e del Medio Oriente. Dalla fine del 2019 in queste aree si sono registrate presenze di grandi sciami di locuste, per alcuni Paesi si tratta addirittura della peggiore crisi di locuste degli ultimi 70 anni. Una vera e propria piaga con assonanze bibliche, che divora, letteralmente, le coltivazioni in pochi minuti, lasciando dietro di sé devastazione, fame e miseria, in dei territori che sono caratterizzati da fragilità economica e sociale. Eppure una delle cause più gravi che hanno portato a questa emergenza, dando per assodato che i cambiamenti climatici sono i primi mandanti di queste devastazioni, è che i vari Paesi non erano pronti ad affrontare questi attacchi. La sorveglianza delle locuste trova un posto marginale nelle agende dei governi dei paesi interessati, perché le invasioni massive accadono poco frequentemente, una volta ogni 15 anni. Per questo motivo la sorveglianza è sottofinanziata da anni, non vengono incentivate le ricerche interne, oppure si mettono in atto dei provvedimenti troppo tardi o insufficienti.

Uno sciame può raggiungere gli 80 milioni di unità e mangia ogni giorno quello che consumano 3,5 milioni di persone

Attualmente, per contrastare lo sciame di locuste si utilizzano dei pesticidi, che uccidono tutti gli insetti senza distinzione, nebulizzati dagli aerei, ma questo provvedimento arriva troppo tardi, ovvero quando le locuste passano da solitarie a gregarie e iniziano a volare. Prima di questa maturazione si limitano a saltare. Una volta che le locuste del deserto si sono aggregate e hanno formato uno sciame, che può arrivare a contare anche 80 milioni di unità, si iniziano a spostare, arrivando a percorrere anche 130 km in un giorno. Uno sciame di queste dimensioni mangia ogni giorno quello che potrebbero consumare 3,5 milioni di persone. Questi numeri, sommati alla fragilità dei territori interessati, rendono urgente una soluzione.

Come in altre circostanze è la ricerca scientifica a offrire alcuni spiragli di luce grazie ai progressi in questo campo. Innanzitutto si sta approfondendo lo studio sui meccanismi di comunicazione delle locuste con i propri simili. Infatti non è noto cosa porti le locuste ad abbandonare lo stato solitario per aggregarsi periodicamente in sciami. La ricercatrice Xiaojiao Guo e i suoi colleghi dell’università di Hebei, in Cina, hanno scoperto che la locusta migratoria (un’altra tra le dodici specie di quelle che comunemente chiamiamo cavallette) produce un particolare feromone, chiamato 4VA (4-Vinylanisole). Guo e colleghi hanno scoperto anche che, quando quattro o cinque locuste si aggregano, iniziano a produrre il feromone 4VA, che attrae altre locuste, fino a creare uno sciame. I ricercatori si sono spinti oltre, identificando un gene, Or35, che produce il recettore del feromone, quindi attraverso CRISPR-Cas9 gene editing hanno dimostrato che le locuste con un gene Or35 mutato non erano in grado di captare il feromone e quindi non si riunivano in sciami.

Quando quattro o cinque locuste si aggregano, iniziano a produrre il feromone 4VA, che attrae altre locuste, fino a creare uno sciame

Un altro gruppo di ricerca sta progettando degli strumenti di previsione utilizzando i dati ottenuti dalle precedenti piaghe. In questo modo sarà possibile anticipare il momento e la zona della prossima invasione di cavallette. Lo studio, pubblicato a luglio 2020, di Emily Kimathi e colleghi, prevede una prima bozza di un algoritmo in grado di predire i luoghi in cui le locuste di riprodurranno. Il funzionamento si basa su un set di dati, messi a disposizione dalla FAO, su più di 9.000 record provenienti dalla Mauritania, Marocco, Arabia Saudita, e includono informazioni relative a piogge, temperature, umidità del suolo e della sabbia. Finora l’algoritmo ha funzionato bene, prevedendo i siti di riproduzione in tutte e tre nazioni coinvolte, dimostrando che può essere possibile anticipare il momento e la zona della prossima invasione di cavallette.

Se poco di nuovo si può fare per contrastare l’ondata di locuste attuale e ancora in atto, molto potrà essere fatto in vista della prossima, a patto di investire, da subito, nella ricerca scientifica in questi ambiti. La prossima ondata potrebbe avvenire tra meno di 15 anni, visto l’andamento del cambiamento climatico, quindi è importante non farci trovare impreparati.

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