SCIENZA E RICERCA
Geni antichi e fenotipi moderni: negli europei di oggi le tracce dell'incontro di tre popolazioni
Nella composizione del grande e complesso puzzle genetico che ha portato agli umani moderni uno spartiacque fondamentale, per quanto riguarda l'Europa, è stata la fine dell'ultima era glaciale. Al termine di quel periodo di sconvolgimento climatico, quando le temperature ricominciarono a salire, i discendenti dei cacciatori-raccoglitori locali sopravvissuti furono sostituiti da una popolazione di origine diversa e soprattutto nelle aree meridionali del continente si verificò un rinnovamento quasi completo che naturalmente produsse anche mutamenti culturali.
Uno studio pubblicato su Nature nel 2016 aveva svelato la discontinuità tra le popolazioni che vissero in Europa prima e dopo l'ultima era glaciale e aveva scoperto che intorno a 14.500 anni fa una nuova ondata migratoria che dal Mar Nero si spostò verso ovest portò a un grande cambiamento sotto il profilo genetico. Il famoso rimpiazzamento villabruniano fa riferimento proprio a questa sostituzione e alle ricerche che i reperti del sito archeologico di Villabruna, nel bellunese, hanno reso possibili.
A partire da quel momento il DNA degli europei moderni è stato plasmato da una complessa stratificazione di nuove migrazioni, le cui tracce possono oggi essere ritrovate nel nostro aspetto fisico e anche in alcuni tratti che hanno a che fare con la nostra salute.
Finora la chiave attraverso cui la storia delle migrazioni preistoriche e degli incontri di popolazioni si era arricchita di nuove conoscenze era stata quella, preziosissima, dell'analisi di DNA antico. Non tutte le caratteristiche fisiche di un individuo vissuto migliaia di anni fa possono però essere rivelate in modo diretto dallo studio dei reperti ossei di umani antichi. E se attraverso uno scheletro si possono ottenere indicazioni su un tratto come l'altezza il discorso cambia radicalmente quando, ad esempio, si cerca di conoscere il colore degli occhi o dei capelli di un nostro lontano antenato.
Un nuovo studio, pubblicato nei giorni scorsi su Current Biology, ha ribaltato l'approccio scegliendo di partire non da reperti di DNA antico ma da individui moderni per i quali i fenotipi sono misurabili e in questo modo ha rivelato come l'attuale aspetto degli europei sia frutto dell'incontro di tre antiche popolazioni e delle combinazioni con cui i contributi di ognuna di queste popolazioni possono essere ritrovati in specifiche parti del genoma. Alla fine dell'ultima glaciazione i cacciatori-raccoglitori locali si mescolarono infatti ai primi agricoltori che iniziarono a spostarsi dalla Mezzaluna fertile e, circa 3 mila anni dopo, ai pastori delle steppe che durante l'età del bronzo migrarono verso ovest, partendo dalle pianure tra il Mar Nero e il Mar Caspio.
Lo studio, realizzato in collaborazione tra ricercatori dell'università di Torino, dell'università di Padova e dell'università di Tartu, in Estonia, è stato condotto sulla popolazione estone perché questo Paese mette a disposizione un database di genomi e informazioni tra i più ampi che ci siano in Europa, ma come spiega a Il Bo Live Luca Pagani, professore di antropologia molecolare dell'università di Padova e autore senior della ricerca, "siccome il passato europeo di mescolanze e migrazioni è condiviso, studiare l’Estonia ha conseguenze e impatti validi anche, ad esempio, per l’Italia".
Gli studiosi hanno scelto di analizzare 27 caratteri fenotipici e hanno scoperto che i geni ereditati delle tre antiche popolazioni al termine dell'ultima era glaciale influenzano 11 di questi tratti. Ad esempio, i pastori delle steppe sembrano aver contribuito a una corporatura robusta, una maggiore statura e più ampie circonferenze della vita e dei fianchi, ma anche a livelli più elevati di colesterolo nel sangue che d'altra parte tende ad essere inferiore negli individui che, per questi geni specifici, hanno un contributo maggiore da parte dei cacciatori-raccoglitori. Il DNA di quest'ultima popolazione sembra poi aumentare le probabilità di avere un indice di massa corporea (BMI) più alto e di consumare quantità maggiori di caffè, mentre i geni degli agricoltori anatolici appaiono correlati a una corporatura più snella e una frequenza cardiaca più bassa. Dando uno sguardo complessivo sono state riscontrate differenze sostanziali anche nel contributo genetico che riguarda i geni responsabili della pigmentazione degli occhi e dei capelli, dell'età delle prime mestruazioni e dei comportamenti legati al sonno.
E' comunque importante chiarire sin da subito, come ha affermato anche Mait Metspalu dell’università di Tartu, coautore dello studio, che "è fuorviante e nella migliore delle ipotesi ingenuo utilizzare un determinato tratto per trarre conclusioni sull'origine o composizione ancestrale dominante nel proprio genoma".
Anche Luca Pagani insiste su questo punto spiegando che i risultati vanno sempre contestualizzati in modo corretto, riferendoli alle specifiche regioni del genoma responsabili di un certo tratto fenotipico. In altre parole le persone alte, per fare un esempio, non hanno necessariamente ereditato un maggiore contributo di DNA dai pastori delle steppe: probabilmente è così nei geni responsabili dell'altezza, ma potrebbero averne meno in altre parti del genoma.
Inoltre la corrispondenza tra un dato tratto e una popolazione antica non implica che tale tratto fosse predominante in quella particolare popolazione o assente in tutte le altre, così come non vi sono elementi per ritenere, come precisato da Davide Marnetto dell'università di Torino, primo autore dello studio, che "l'Europa comprenda una maggiore diversità genetica o un patrimonio di biodiversità più complesso rispetto ad altri continenti".
L'intervista completa a Luca Pagani, professore di antropologia molecolare all'università di Padova e autore senior dello studio che ha scoperto il legame tra geni antichi e fenotipi moderni. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar
L'incontro tra le tre popolazioni dopo l'ultima glaciazione
"Sapevamo già - introduce il professor Luca Pagani del dipartimento di Biologia dell'università di Padova e autore senior della ricerca - che le popolazioni europee contemporanee sono il frutto di incontri legati alle migrazioni avvenute dopo il Neolitico. Prima di quel momento dobbiamo immaginare un'Europa popolata da cacciatori-raccoglitori locali. Poi a partire da 8 mila anni fa, dopo l’invenzione dell’agricoltura nella Mezzaluna fertile, cominciano ad arrivare i primi agricoltori dal Medioriente: nel nostro studio li abbiamo definiti Neolitici anatolici perché sono popolazioni che dal punto di vista genetico si è visto essere principalmente dell’Anatolia e queste persone una volta giunte in Europa si sono mescolate con i cacciatori-raccoglitori locali. Successivamente durante l'età del bronzo, circa 3 mila anni dopo questo primo incontro, dalle steppe pontiche tra il Mar Nero e il Mar Caspio è partita un’altra popolazione. L'abbiamo chiamata delle steppe o Yamnaya e si è spostata verso ovest, portando altre componenti genetiche. Questo è lo scenario che già conoscevamo dal 2015 quando questi incontri di popolazioni hanno iniziato ad essere studiati attraverso il DNA antico".
Queste tre popolazioni erano sufficientemente differenziate tra loro da lasciare un segno caratteristico nella fisiologia e all'aspetto degli individui contemporanei e grazie a questo studio (che per l'università di Padova vede tra gli autori anche il professor Rodolfo Costa del dipartimento di Biologia, la professoressa Sara Montagnese del dipartimento di Medicina e Leonardo Vallini, dottorando del dipartimento di Biologia) è stato possibile comprendere meglio il contributo genetico delle grandi migrazioni del passato.
La biobanca estone
I ricercatori hanno condotto lo studio utilizzando genomi e informazioni di oltre 50 mila individui, grazie alla mole di dati messa a disposizione dall'Estonian Biobank (che nel frattempo si è ulteriormente ampliata). Proprio in questa disponibilità di informazioni, pubblicamente accessibili su richiesta, risiede la scelta di prendere la popolazione estone come riferimento.
"Siccome lo scenario legato alle grandi migrazioni è condiviso dalla maggior parte delle popolazioni europee abbiamo deciso di focalizzarci sull’Estonia perché questo Paese ha una biobanca molto ampia, arrivata attualmente a 250 mila individui dei quali sono noti genomi e fenotipi, quindi caratteristiche fisiche", spiega Pagani aggiungendo che in Europa l'unico altro Paese che mette a disposizione una tale mole di dati è l'Inghilterra. "Noi collaboriamo da tempo con il centro di studi genomici dell’Estonia e per questo abbiamo cominciato da lì".
Il fatto che l'Europa abbia un comune passato di mescolanze e migrazioni consente di estendere i risultati ottenuti sulla popolazione estone anche sul resto del continente, compresa quindi l'Italia. "Naturalmente ci sono delle specificità: per esempio l’Estonia ha nel suo patrimonio genetico una popolazione aggiuntiva che ha origini siberiane e che molto probabilmente non ha a che fare con la storia italiana. Allo stesso modo l’Italia ha probabilmente qualche affinità in più con il Nord Africa o con il Medioriente ma la stragrande maggioranza del segnale genetico è lo stesso", precisa Pagani.
Il "peso" dell'ancestralità è stato riscontrato per 11 dei 27 tratti fenotipici considerati
"Sappiamo che ciascun europeo è una mescolanza di queste componenti genetiche ma, e questa è la chiave dello studio, ciascuno di noi ha questi pezzetti di DNA delle varie ancestralità in posti diversi del genoma, fino ad arrivare all’incirca alla stessa percentuale di ancestralità su tutto il genoma", approfondisce il professore di antropologia molecolare dell'università di Padova.
E per 11 dei 27 tratti fenotipici scelti dagli autori della ricerca è emersa una correlazione con i geni ereditati dalle antiche popolazioni che si sono mescolate in Europa negli ultimi 10 mila anni. Un esempio riguarda l'altezza perché ci sono regioni del genoma che interessano questo tratto. "Partendo da qui abbiamo pensato di prendere i genomi presenti nella biobanca estone per vedere se i diversi contributi di una data ancestralità in una specifica regione del genoma potesse essere connessa all'altezza della persona. In questo modo abbiamo scoperto è che in effetti più una persona è alta più tende ad avere una componente genetica riconducibile alle steppe, nei geni che sono connessi a questo tratto", spiega Luca Pagani.
"Questo non vuol dire che le persone alte vengono dalle steppe o che le persone alte hanno un maggior contributo di genoma delle steppe ma che le persone alte, nei geni responsabili dell’altezza hanno un maggior contributo delle steppe. Magari ne avranno meno in altri geni", precisa il docente.
Davide Marnetto, ricercatore dell’Università di Torino e primo autore dello studio, ha realizzato un'immagine che rappresenta graficamente i contributi di una data ancestralità su ciascuno degli 11 tratti per i quali è emersa una correlazione con il DNA di una delle tre antiche popolazioni.
"Un tratto che ci ha molto interessato è il livello di colesterolo: abbiamo visto che persone che tendono ad averlo più alto presentano un maggiore contributo genetico dei pastori delle steppe, nei geni responsabili dei livello di colesterolo. Mentre persone che hanno un colesterolo più basso tendono ad avere un maggiore contributo da parte dei cacciatori-raccoglitori, sempre nei geni collegati a questo tratto. Questo potrebbe significare che le due diverse ancestralità rispetto al tratto del colesterolo hanno un potenziale protettivo in un caso e sfavorevole nell’altro oppure, e questo è sempre un problema negli studi genetici, potrebbe semplicemente essere che questi geni hanno un effetto sullo stile di vita, spingendo ad un maggiore o minore consumo di grassi animali che a sua volta ha un effetto sul colesterolo, e non invece una reale connessione causale a livello molecolare", approfondisce Pagani.
"Altri tratti riguardano la circonferenza della vita e dei fianchi o l’indice di massa corporea: a quanto pare, nonostante conferisca una riduzione di colesterolo, il contributo genetico dei cacciatori-raccoglitori è collegato a una corporatura più robusta".
Credit: Davide Marnetto
Un nuovo approccio
"Finora questo tipo di ricerche si basava sullo studio del DNA antico che è una ricchezza inestimabile. La novità del nostro studio è stata aver scelto di partire dalla conoscenza genetica accumulata su individui contemporanei, basandosi quindi su persone per le quali i fenotipi sono misurabili: l’altezza può essere misurata anche dalle ossa di uno scheletro, ma il colore degli occhi e dei capelli no", ricorda Pagani spiegando che il limite del precedente approccio è che per alcuni tratti i risultati inferiti geneticamente attraverso gli studi di associazione non si possono validare.
Va poi considerato sia il peso dell'ambiente sia quello delle forze evolutive. "I fenotipi, cioè la realizzazione biologica di un dato tratto genetico, hanno ovviamente moltissimo a che fare con l’ambiente, sia con quello contemporaneo, sia con eventi di selezione che possono essere avvenuti dopo queste migrazioni. Il massimo che possiamo fare al momento è dire che, data la genetica e l’ambiente di oggi, vediamo un contributo delle popolazioni antiche su quelle odierne".
Futuri sviluppi di questa linea di ricerca
Proprio per i suoi studi sull’eredità ancestrale al genoma delle popolazioni moderne (e per le prospettive che queste conoscenze aprono per la genomica medica) Luca Pagani ha ottenuto, nel luglio scorso, il prestigioso premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, nella categoria giovani per la sezione dedicata alla biologia.
Gli abbiamo chiesto se le scoperte ottenute con lo studio pubblicato nei giorni scorsi su Current Biology saranno oggetto di ulteriori approfondimenti. "Le due strade che ci si prospettano adesso sono andare più indietro nel tempo e vedere se riusciamo a trovare qualcosa di simile anche per quanto riguarda il contributo dei Neanderthal e replicare lo studio nell’altra biobanca disponibile, quella del Regno Unito. Non dovrebbero esserci delle sorprese perché dovrebbero esserci gli stessi tipi di risultati. Se dovessero esserci delle differenze sarebbe interessante capire se la selezione naturale che potrebbe essere intercorsa da quell’evento di mescolanza nell’età del bronzo, quindi negli ultimi 5 mila anni, possa aver creato differenti associazioni tra estoni e inglesi e quindi se ci siano differenze da aspettarsi anche tra gli italiani, per i quali stiamo ancora aspettando una biobanca e un dataset di riferimento utilizzabile per questi studi che necessitano di un gran numero di campioni disponibili pubblicamente", conclude Pagani.