Da sempre i numeri pesano nella competizione tra gruppi umani, per questo il rapporto tra politiche di potenza e dinamiche demografiche è costantemente oggetto di attenzione. Spesso interessata o distorta: la dottrina del Lebensraum giocò ad esempio un ruolo determinante nell’ascesa del nazismo e le sue guerre d’aggressione, così come sono arcinote le campagne a favore della natalità da parte del fascismo, ansioso di procurarsi carne da cannone e di rivendicare una “quarta sponda” come soluzione del proprio surplus demografico.
Anche oggi del resto il potere si gioca sui corpi, maschili e femminili, nonostante la globalizzazione abbia a lungo favorito città-Stato e Paesi medio-piccoli. Il ritorno alla divisione in blocchi rilancia l’importanza della demografia, come in parte vediamo anche dalla guerra in Ucraina. Per questo attualmente si parla di geodemografia, disciplina che – similmente alla geopolitica, oggi in gran voga – utilizza le dinamiche demografiche per studiare e comprendere le trasformazioni del mondo attuale.
Ad essa è dedicata l’ultimo libro di Massimo Livi Bacci, professore emerito dell’Università di Firenze e tra i più importanti studiosi italiani in questo campo: La geodemografia. Il peso dei popoli e i rapporti tra stati (Il Mulino 2024) affronta questioni fondamentali come la crescita e il declino delle popolazioni, i profondi cambiamenti dei flussi migratori e i diversissimi livelli di riproduttività tra Paesi ed etnie attraverso uno sguardo nuovo e più ampio, attingendo a un nutrito repertorio di casi esemplari tratti dalla storia mondiale recente.
Le questioni demografiche insomma continuano a rimanere centrali anche nel mondo attuale, come dimostrano le recenti elezioni europee, dominate dal timore di un’“invasione”. L'invecchiamento della popolazione è una realtà tangibile in Europa, soprattutto in un'Italia che registra l'età mediana più alta dell'UE, con quasi un quarto della popolazione oltre i 65 anni: una sfida alla sostenibilità del nostro welfare, mentre al contempo emergono i timori di una "sostituzione etnica" orchestrata da improbabili élites mondiali.
La storia dell'umanità è caratterizzata da differenziali di crescita tra popolazioni e la demografia non tollera vuoti: l’Europa, che all'inizio del '900 vantava il 24,7% della popolazione mondiale, vedrà la sua quota scendere al 7,2% nel 2050 e al 5,7% entro la fine del secolo. L'Africa intanto passerà dall'8,1% al 37,9%, ovvero quasi quattro miliardi di persone, alcune delle quali potrebbero decidere di emigrare verso paesi più ricchi. Se le migrazioni sono dunque nella natura delle cose, questo tuttavia non implica, secondo Livi Bacci, che la costruzione di società multiculturali sia priva di difficoltà, come dimostrano i conflitti etnici ancora ben presenti persino nella “civilissima” Europa contemporanea. A questo riguardo la nota frase di Max Frisch, "Cercavamo braccia, sono arrivati uomini", riassume perfettamente le sfide dell’immigrazione: il tutto in un contesto internazionale sempre più gravato dall’emergenza ambientale e climatica, in cui i conflitti per le risorse naturali – come quello che attualmente oppone Sudan ed Egitto all’Etiopia per la gestione del Nilo – sono purtroppo destinati a moltiplicarsi.
C’è però un altro problema in agguato che l’umanità dovrà prima o poi affrontare: quello dell’invecchiamento. Paesi come la Cina hanno già visto ridursi drasticamente i loro tassi di fecondità e si trovano a fronteggiare un fenomeno che si sta estendendo anche a Medio Oriente e Nord Africa. Entro la fine del secolo, bambini e adolescenti potrebbero diventare sempre più rari, con eccezioni significative per quanto riguarda contesti religiosi e conservatori, come dimostra la crescente popolazione haredi in Israele. Se la crescita incontrollata minaccia insomma gli equilibri naturali, anche la stagnazione demografica è un pericolo: le dinamiche demografiche mal si prestano insomma alle semplificazioni e necessitano costantemente di un, pur precario, equilibrio.