Il nuovo capo del governo Mitsotakis (a destra) saluta il premier uscente Tsipras
Quaranta giorni dopo la batosta incassata da Syriza alle elezioni europee, la Grecia ha ribadito di voler cambiare strada politica, mettendo fine all’esperienza di governo di Alexis Tsipras, e tornando a dar fiducia ai conservatori di Nuova Democrazia, centrodestra. Il prossimo premier sarà un figlio d’arte, perfetta prosecuzione della dinasty politica che da quelle parti è tutt’altro che rara: Kyriakos Mitsotakis, 51 anni, è figlio di una delle famiglie più potenti e ricche della Grecia, in esilio durante il regime dei colonnelli. Suo padre, Konstantinos Mitsotakis, scomparso due anni fa, è stato primo ministro greco dal ‘90 al ’93, anche lui all’epoca leader di Nea Dimokratia. Il risultato delle nuove elezioni, che Tsipras aveva immediatamente richiesto dopo la sconfitta del 26 maggio senza aspettare il naturale termine della legislatura, previsto a ottobre, sembra una fotocopia a numeri accresciuti: stessi contendenti, stesso distacco. Nuova Democrazia, che partita dal 33% di maggio, ha sfiorato il 40% domenica scorsa. Syriza, che aveva ottenuto il 23%, si è arrampicata fino al 31,5%: un buon risultato, ma non sufficiente a prolungare l’era Tsipras. Fuori dal Parlamento i neofascisti di Alba Dorata, che alle ultime consultazioni avevano sempre ottenuto risultati attorno al 7% e che invece questa volta non hanno superato la soglia di sbarramento, fissata al 3%.
Dunque la Grecia cambia. E tutto sommato è comprensibile, perché per i greci questi ultimi anni sono stati tutt’altro che semplici, per non definirli dolorosi, umilianti. E questo nonostante le promesse che portarono la sinistra di Syriza al governo, nel 2015: stop immediato alle misure di austerità, braccio di ferro a oltranza con l’Unione Europea per la rinegoziazione delle misure imposte per ripianare il colossale buco di bilancio creato dai governi precedenti. Le cose, poi, andarono diversamente. Tsipras decise (o fu di fatto costretto) di allontanare dal governo gli elementi più radicali (come il ministro delle Finanze, il temuto Varoufakis) finendo per accettare ancor più aspre misure imposte dalla troika, dall’aumento delle tasse a nuovi tagli della spesa pubblica. Una “medicina” durissima e dagli effetti devastanti che mise in ginocchio moltissime famiglie, spazzando via posti di lavoro, abbattendo drasticamente i salari e spingendo l’intera classe media greca ai margini della povertà, se non oltre. L’Ocse stima che oggi nove famiglie della classe media su dieci incontrano serie difficoltà a soddisfare perfino i bisogni di base. C’è chi sostiene che comunque sia stato un passaggio indispensabile per salvare il paese dalla bancarotta. Lo stesso Tsipras, domenica scorsa, appena la sconfitta è apparsa inevitabile, ha dichiarato: «Usciamo a testa alta. La Grecia che consegniamo oggi non ricorda più quella di cui ci facemmo carico quattro anni fa. Oggi lasciamo in eredità un paese che è tornato libero». D’accordo, ma a quale prezzo?
LEGGI ANCHE:
Impossibile dimenticare il mea culpa di Christine Lagarde, appena nominata alla guida della Banca Centrale Europea, all’epoca direttore generale del Fondo Monetario Internazionale: "Noi e l’Unione Europea abbiamo sottostimato l'effetto recessivo di alcune delle misure imposte alla Grecia». Alla quale fecero eco i presidenti della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker ("Abbiamo calpestato la dignità dei greci") e del Consiglio Europeo, Donald Tusk, che confessò: "Nella partita greca nessuno è stato un angelo".
Storia passata, storia ormai in archivio. E poco importa che la Grecia sia ormai formalmente uscita, nell’agosto dello scorso anno, dal “piano di salvataggio”. Peraltro gli indicatori economici cominciano davvero a mostrare segni positivi e incoraggianti, anche se la disoccupazione viaggia ancora attorno al 18%, peggior performance in Europa (ma era arrivata al 26%). Insomma, la tempesta non è ancora passata. E si ha quasi la sensazione che Tsipras non vedesse l’ora di togliersi questo fardello di responsabilità, tornare a una più comoda, e forse più adeguata, opposizione e lasciare ad altri la patata bollente di completare quest’ultimo tratto di strada, tutt’altro che in discesa. Ad esempio: perché questa fretta di indire elezioni anticipate dopo la batosta europea? Ad appena 40 giorni di distanza dal primo voto? Con quali aspettative? "Voglio evitare al paese mesi di campagna elettorale che potrebbero avere conseguenze negative sull'economia", aveva dichiarato il premier.
Risposta fragile che non basta a spiegare fino in fondo l’accelerazione. E certo non ha giovato, per l’elettorato di Syriza, l’accordo politico raggiunto con la Macedonia sul cambio di denominazione (in Macedonia del Nord), accordo aspramente contestato e osteggiato in Grecia. Il voto di domenica (e prima, quello di maggio) potrebbe essere stato una sorta di punizione. A questo si aggiunga la notizia, riportata da alcune cronache, dell’esultanza con cui alcuni esponenti di Syriza avrebbero accolto domenica scorsa la sconfitta alle urne. Due indizi non fanno una prova, ma un sospetto sì.
Quindi ora tocca a Nuova Democrazia. Che in Parlamento avrà la maggioranza assoluta (158 deputati su 300), grazie anche al meccanismo che prevede 50 seggi automaticamente assegnati al primo partito. I mercati hanno immediatamente brindato alla vittoria dei conservatori, con uno spread in calo e il rendimento dei titoli di stato decennali greci sceso ai minimi storici (al 2,09%). Kyriakos Mitsotakis ha già giurato da premier (sta accadendo tutto molto in fretta) ribadendo quanto promesso in campagna elettorale: diminuzione delle tasse, aumento dei salari, più investimenti e una richiesta di maggiore flessibilità ai creditori internazionali. Mitsotakis punta a rinegoziare l’avanzo primario per recuperare risorse con cui tagliare le tasse a partire dal 2020. "Il popolo greco ci ha dato un forte mandato per cambiare la Grecia. E onoreremo questo comandamento per intero", ha scandito appena dopo aver giurato. "È ora che la Grecia si faccia sentire in Europa", ha concluso il nuovo premier. Sembra un déjà vu.