SCIENZA E RICERCA

Il Green New Deal di Ursula von der Leyen: più scienza e più tecnologia

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha lanciato un grande progetto ecologico ed economico per l’Unione: il Green New Deal. Investimenti per centinaia di miliardi di euro in dieci anni per trasformare l’economia europea in un’economia sostenibile. Il progetto richiede più scienza e più tecnologia. E interroga anche l’Italia. Anzi, soprattutto l’Italia e il suo sistema economico.

Perché? Lo abbiamo chiesto a Daniela Palma, economista che ben conosce sia i problemi della sostenibilità che quelli dell’innovazione.

Laureata in Scienze Statistiche ed Economiche su temi dell'Economia Internazionale presso la Sapienza, Università di Roma, è stata visiting research fellow presso il National Center for Geographic Information and Analysis del National Science Foundation degli Stati Uniti . Ora è primo ricercatore presso l'ENEA (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico) dove si interessa sia di economia dell'innovazione e dello sviluppo sia dell'analisi della sostenibilità ambientale ed economica. Dal 1999 coordina le attività dell'Osservatorio ENEA sull'Italia nella Competizione Tecnologica Internazionale.

Daniela Palma Il Green New Deal chiede ai paesi europei non meno ma più ricerca e innovazione. Perché?

Il contrasto alla crisi climatica rappresenta una grande sfida globale, che implica una profonda trasformazione dei moderni sistemi industriali per come li conosciamo oggi. Autorevoli economisti esperti di dinamiche del cambiamento tecnologico, come Mariana Mazzucato, da tempo spiegano che per raggiungere questo obiettivo sarà necessaria una vera e propria “rivoluzione tecnologica”, che attraversi tutto l’attuale paradigma di produzione e consumo, ottimizzando l’uso delle risorse e riducendo complessivamente l’impatto dell’attività umana sul clima. Ma per attuare tutto questo la base di conoscenze scientifiche e tecnologiche dovrà non solo ampliarsi, ma anche diventare l’asse portante delle risorse produttive di ciascun paese.

Ricerca e innovazione sono anche sempre più le leve di uno sviluppo di qualità dei paesi avanzati. Che riflessi può avere l’avvio di un Green New Deal nel contesto europeo?

Non c’è dubbio che gli effetti della grande crisi internazionale iniziata nel 2008 siano stati particolarmente gravi in Europa, minando non solo il potenziale di crescita di tutta l’area ma anche la possibilità di attivare un processo di sviluppo sostenibile nel senso più ampio della compatibilità con i vincoli ambientali e del benessere sociale. Il Green New Deal, inteso come progetto di grandi investimenti orientati alla sostenibilità, può dunque dare pieno senso al rilancio dell’economia europea e a un completo ripensamento delle politiche macroeconomiche - basate su astratte regole e vincoli - su cui si è retta finora l’architettura della casa europea.

Il nostro paese ha una crescita economica sistematicamente inferiore a quella del resto d'Europa da quasi trent'anni. Il Green New Deal può essere un'opportunità per l'Italia?

Il divario di crescita con l’Europa che l’Italia si porta dietro da così lungo tempo, e che si è andato ampliando, è andato di pari passo con un ritardo dello sviluppo tecnologico riconducibile alla scarsa entità dell’investimento complessivo (pubblico e privato) in ricerca in rapporto al Pil, tuttora lontano da soglie minime individuate come obiettivo per un recupero. In questo modo l’importante leva dell’innovazione è stata sistematicamente depotenziata, con l’aggravante che nel frattempo anche i paesi di nuova industrializzazione sono entrati nell’economia della conoscenza e che i margini per competere (e crescere) facendo leva sulla flessibilità dei prezzi sono diventati irrisori. Il Green New Deal può dunque assumere per l’Italia un importante valore, se significherà, innanzitutto, cambiare le direttrici dello sviluppo del paese.

Le analisi dell’Osservatorio sulla competitività tecnologica dell’Italia che lei coordina denotano ancora un deficit dell’Italia sul fronte degli scambi commerciali di high-tech. In che misura essi influenzano la transizione verso la green economy?

La dipendenza dell’Italia da importazioni di beni ad alta tecnologia è un fatto strutturale, stante il caratteristico assetto del sistema produttivo specializzato in settori a medio bassa intensità tecnologica, che condiziona a sua volta la bassa intensità della spesa in ricerca relativa alle imprese. Tale dipendenza investe anche le tecnologie utilizzate a fini ambientali e, nella prospettiva di un impiego crescente di queste ultime, la transizione verso la green economy può andare a sbattere contro scoglio del vincolo estero, frenando ulteriormente la crescita. I bassi livelli di attività economica di quest’ultimo decennio hanno certamente ridotto l’impatto delle importazioni sui saldi esteri, ma le cose sono destinate a peggiorare al primo accenno di miglioramento della congiuntura economica.

Può il Green New Deal aiutare il nostro paese a tentare di cambiare la sua specializzazione produttiva?

Se ripercorriamo la storia dello sviluppo economico italiano dal dopoguerra ad oggi scopriamo che non sono mancate grandi occasioni in cui, dopo aver passato la fase del paese inseguitore, l’Italia avrebbe potuto puntare sullo sviluppo tecnologico della sua economia. La prima crisi petrolifera del ’73 aveva già indotto i maggiori paesi europei, e non solo, a razionalizzare i processi produttivi investendo in ricerca e aumentando la capacità d’innovazione del sistema produttivo attraverso un allargamento della base delle produzioni high-tech. L’Italia è rimasta ai margini di questo processo, difendendosi sempre più con le ben note svalutazioni competitive per gestire il vincolo estero. Il Green New Deal è certamente per il nostro paese una nuova grande occasione, ma se non si interviene al più presto nel cambiare rotta può diventare l’ennesima “occasione mancata”.

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