“La musica lascia gli scienziati sull’orlo perenne di una cadenza sospesa. È una frase che dico spesso a fine lezione ai miei studenti. In musica una cadenza sospesa è una cadenza armonica in cui una frase musicale sembra restare incompiuta, senza una chiara risoluzione (a differenza della cadenza “perfetta”): un modo per dire che la musica ci lascia sempre in bilico e con tanti dubbi” ci dice Christian Agrillo, docente del dipartimento di Psicologia generale dell’Università di Padova.
Ma riavvolgiamo il nastro: qual è il nesso tra musica e scienza in psicologia? Diversi studi hanno evidenziato che studiare musica può influenzare lo sviluppo di determinate abilità cognitive quali, ad esempio, capacità linguistiche, spaziali e matematiche. Un team di ricercatori tutto padovano composto da Alessandra Pecunioso, Andrea Spoto e Christian Agrillo del dipartimento di Psicologia generale dell’Università di Padova ha “sfidato” i meccanismi percettivi di musicisti e non musicisti attraverso illusioni acustiche. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Psychonomic Bulletin & Review nello studio dal titolo Investigating acoustic numerosity illusions in professional musicians, che abbiamo approfondito proprio con Christian Agrillo, uno degli autori.
Professore, le pongo una domanda che è più una premessa: esistono illusioni per ognuno dei cinque sensi?
Sì, le illusioni sensoriali sono di diverso tipo. Prevalentemente studiamo quelle visive perché noi umani siamo specie diurne che utilizzano molto la visione ma esistono anche le illusioni acustiche – la più famosa è la illusione della scala – e, in maniera minore, di altre modalità sensoriali (per esempio le cinestetiche).
Da dove arriva l’intuizione di indagare le illusioni ottiche e acustiche proprio nei musicisti?
Diversi studi documentano che l’apprendimento musicale è in qualche modo associato a miglioramenti nelle abilità numeriche e cambiamenti a livello percettivo. Da qui l’idea nata un paio di anni fa: ci siamo chiesti se la pratica musicale determinasse anche cambiamenti nelle componenti percettive che sono alla base della stima di numerosità. Prima abbiamo studiato un’illusione di numerosità con materiale visivo e ora, nel lavoro appena pubblicato, abbiamo testato l’analogo di questa illusione di numerosità in modalità acustica. Le cosiddette “illusioni acustiche” sono raggruppamenti di suoni che sembrano differenti per determinate caratteristiche rispetto alla reale stimolazione fisica.
I tre schemi (a, b, c) della versione visiva della Solitaire Illusion (puntini bianchi e neri) e la corrispondente versione acustica (partitura musicale).
In cosa consisteva l’esperimento?
La ricerca ha coinvolto 20 musicisti con almeno 13 anni di esperienza musicale, la maggior parte di questi provenienti dal Conservatorio Pollini di Padova, e un gruppo di controllo di 20 non musicisti. Ognuno dei partecipanti ha indossato delle cuffie e ascoltato dei file che contenevano note di pianoforte e trombone.
Le note erano arrangiate casualmente o secondo schemi ordinati. Questi ultimi riproducevano gli schemi che sono propri di due illusioni numeriche, la Solitaire illusion e la Regular-Random Numerosity Illusion (RRNI): la prima è la tendenza a sovrastimare il numero degli elementi quando questi formano un unico raggruppamento e, al contrario, a sottostimarli quando gli stessi elementi sono presentati in piccoli gruppetti. La seconda, la RRNI, è la tendenza a sovrastimare gli elementi che sono raggruppati in maniera ordinata rispetto a quando gli stessi sono posizionati in modo casuale.
Il compito dei soggetti era stimare le note del pianoforte, il numero esatto cioè di note sentite per ogni file. I due gruppi erano simili per età e studi ma differivano per la presenza o assenza di un prolungato studio musicale. Nel caso dei musicisti si trattava di un gruppo eterogeneo: chitarristi classici, pianisti, violinisti, flautisti, arpisti, tutti accumunati da studi classici in conservatori italiani.
Gli audio sottoposti ai due gruppi erano stati registrati ad hoc per l’esperimento o erano brani casuali?
Sono stati generati con un software per controllare al meglio i vari parametri fisici dei suoni. Non erano i veri suoni di un pianoforte, quindi, ma il risultato di un software musicale che riproduce suoni. Questo però permette di controllare con estrema precisione durata, intensità e altezza dei nostri stimoli acustici.
E cosa avete osservato?
Per quanto riguarda la Solitaire illusion non sono emerse differenze significative tra i due gruppi. Quando abbiamo analizzato l’effetto RRNI, invece, abbiamo osservato che i musicisti erano meno suscettibili al fenomeno illusorio, essendo meno influenzati dalla disposizione (ordinata o casuale) dei suoni e più precisi nello stimare il numero di note di pianoforte. Questo studio rappresenta una delle poche indagini sperimentali su illusioni acustiche di numerosità, nonché l’unico ad avere individuato una differenza nella prestazione tra musicisti e non musicisti in presenza di un’illusione sensoriale non-visiva.
In che modo la pratica musicale è associata a cambiamenti nei meccanismi percettivi? Cosa “cambia” nel cervello?
Purtroppo è una domanda senza risposta. Non si hanno prove di nessi causali forti tra pratica musicale e miglioramenti cognitivi o percettivi. Si nota per lo più un’associazione tra anni di pratica musicale e una diversa – e di solito migliore – prestazione in compiti cognitivi e percettivi. Su questo tema c’è un dibattito infinito in letteratura, quindi non posso darle una risposta: posso solo assumere che l’analisi del repertorio musicale (per esempio la codifica del materiale visivo di uno spartito nella lettura a prima vista) sia sicuramente un compito complesso e la sua prassi prolungata potrebbe determinare dei miglioramenti nell’esplorazione del campo visivo, una maggior attenzione ai dettagli o una maggior rapidità di spostamento dell’attenzione. Questi miglioramenti percettivi potrebbero essere poi universali e non legati alla sola modalità visiva, come nel caso delle illusioni acustiche indagate nel nostro ultimo lavoro.
Come i musicisti sono meno suscettibili alle illusioni acustiche, allo stesso modo è verosimile pensare che le illusioni ottiche abbiano meno effetto sui pittori o comunque su persone il cui senso della vista è più “sviluppato”?
È un tema che vorremmo davvero approfondire come gruppo di ricerca. Tenga conto che ora sta parlando con un musicista diplomato in chitarra classica che insegna al Conservatorio Pollini di Padova, ragion per cui le mie competenze sono sempre state sul versante musicale. Tuttavia non c’è alcun motivo per pensare che questi cambiamenti siano confinati a chi studia musica: esiste una vasta letteratura su cambiamenti percettivi e cognitivi negli esperti di varie discipline – dai giocatori di scacchi alle persone poliglotte, per citare due esempi – per cui mi aspetto che un’indagine sulle illusioni sensoriali in questi gruppi di esperti in altri ambiti possa portare a risultati simili. E non dimentichiamo che esistono studi antropologici che hanno mostrato una diversa sensibilità a illusioni ottiche in popolazioni non industrializzate, a conferma del ruolo dell’esperienza nel modellamento dei principi percettivi alla base delle illusioni.
Possiamo dire di aver svelato il “mistero” dell’interazione tra musica e cervello? Quali sono le prospettive future di questa ricerca?
Esistono diverse varianti di illusioni visive di numerosità: vorremmo generare la versione acustica di queste per assicurarci che i risultati qui osservati si replichino – e quindi siano robusti statisticamente – anche in presenza di altre “variazioni sul tema”.
A questo proposito, anche in qualità di musicista-scienziato, vorrei proporre una riflessione: quando si studia il rapporto musica-cervello si aprono continuamente nuove porte, sembra sempre di essere sul punto di svelarne il segreto e poi… la musica non fa altro che lasciarti con la sensazione che – in fin dei conti – di lei non hai capito nulla. E dopotutto il suo fascino è anche quello: a quale bambino piacerebbe vedere un gioco di magia di cui si conosce già il segreto?
Risultati della fase di test. (a) Percentuale di errore medi e (b) risposte assolute medie di musicisti e non musicisti in rapporto alla disposizione degli stimoli (note di pianoforte ordinate in un unico raggruppamento, ordinate in due gruppi più piccoli o distribuite in modo casuale). In media, i non musicisti hanno mostrato una maggiore sottostima di 16 note di pianoforte quando queste erano distribuite in modo casuale