SOCIETÀ

Innovazione in cambio di privacy? Benvenuti a Google City

Avreste mai pensato che un giorno la tecnologia sarebbe stata scelta per governare una città? Se la risposta è negativa, ora sarete costretti a ricredervi. Toronto, città del Canada: le attività preparative per la realizzazione del primo quartiere ‘intelligente’ e interamente automatizzato procedono a gonfie vele, supportate da un entusiasmo travolgente da parte degli addetti ai lavori per quella che potrebbe essere una delle più grandi rivoluzioni del secolo. Nessuno scenario fantascientifico, nessuna storiella ambientata in realtà virtuali: il tutto sta accadendo qui, sul nostro pianeta, dall’altra parte dell’oceano.

Le prime notizie risalgono ad aprile 2016 quando alcune indiscrezioni affermano la volontà da parte di Larry Page - co-fondatore di Google - di far sorgere una città-stato ipertecnologica in cui mettere in pratica le competenze in campo informatico dell’azienda statunitense che offre servizi online. Rimane sconosciuto, però, il nome della località prescelta per l’ambizioso progetto. Bisogna infatti aspettare ottobre 2017 per ‘l’elezione ufficiale’ che proclama Toronto come vincitrice del contest. E la metropoli canadese accetta, mettendo a disposizione l’area affacciata sul lago Ontario

Sidewalk Labs - organizzazione di innovazione urbana dell’azienda Alphabet Inc. - dichiara dunque il suo impegno per migliorare l’infrastruttura del centro abitato con l’obiettivo di dare vita a una vera e propria smart city che rispetti tutti i criteri ecologici e ambientali grazie ad un supporto tecnologico di ultima generazione.

In cosa consistono le principali innovazioni? Tra le numerose novità spiccano certamente bus e auto autonomi, semafori in grado di percepire la presenza di pedoni e vetture, robot che si muovono in tunnel sotterranei, ma anche abitazioni riscaldate ad energia solare per abbattere il problema dell’inquinamento. Un quartiere quindi più green, pulito e sicuro che svela al mondo intero come la tecnologia possa aiutare a sviluppare soluzioni infrastrutturali all’avanguardia e nel pieno rispetto della natura.

 

Un progetto interamente positivo? Non si direbbe. Il costo dell’operazione risulta infatti altissimo e non si parla solamente dell’ingente quantità di denaro investita. Il problema principale sarebbe da individuare nell’organizzazione strutturale di base del nuovo quartiere hi-tech che preannuncia un costante controllo assoluto sull'uomo. Il rispetto della privacy verrebbe infatti minato a causa della registrazione quotidiana di ogni singolo spostamento degli abitanti di Google City attraverso un sistema di sensori, necessaria per il corretto funzionamento dei meccanismi automatizzati e per la gestione delle tecnologie impiegate.

Una questione non di poco conto che ha già provocato i primi disappunti: lo scorso ottobre, Ann Cavoukian, ex commissario per la privacy della provincia dell’Ontario, ha deciso di interrompere la propria collaborazione per la realizzazione della smart city. La motivazione viene chiaramente esplicitata e assume i toni di un’accusa contro il trattamento dei dati personali dei futuri abitanti del quartiere di Toronto, tutelati solo in minima parte. La preoccupazione principale si fonda sul fatto che queste informazioni potrebbero essere letteralmente vendute a terze parti con diversi fini, tra cui quelli di marketing per l’offerta e la vendita di prodotti in base alle abitudini del cittadino. Inoltre c’è il rischio di avere accesso a dati sensibili in grado di identificare in maniera univoca ciascuna persona, violando gravemente la riservatezza della popolazione.

Gli stessi cittadini di Toronto hanno cominciato a ribellarsi all’intrusione della tecnologia nella loro vita: l’euforia iniziale per il progetto ha dunque lasciato spazio ad un timore crescente dovuto al fatto di essere costantemente controllati.

Si viene così a creare un paradosso che interessa da vicino questo quartiere smart, ma anche la nostra stessa società. La realtà odierna, infatti, si caratterizza per il motivo ricorrente della privacy, un vero e proprio leitmotiv degli ultimi anni: essa ha assunto un ruolo sempre più rilevante tanto da diventare un diritto degli esseri umani che deve essere rispettato da tutti. Si evidenzia una maggiore sensibilità nella concezione della sfera privata dell’individuo rispetto al passato tanto che molti governi hanno agito in questo campo servendosi di leggi che puniscono con sanzioni chiunque violi l’intimità altrui, compiendo senza dubbio un passo in avanti nella tutela della persona.

Allo stesso tempo, però, lo sviluppo delle nuove tecnologie non ha certamente aiutato la salvaguardia della riservatezza dell’individuo dal momento che informazioni, immagini e video viaggiano molto velocemente in rete, sfuggendo spesso al controllo - non sempre in maniera involontaria - di chi dovrebbe evitare la loro diffusione. Inoltre, utilizzando i moderni sistemi di geolocalizzazione, è possibile registrare quasi in ogni momento la posizione pressoché esatta dei cittadini, riuscendo a ricostruirne spostamenti e usi abituali.

In riferimento a quest’ultimo aspetto, emergono nuove preoccupazioni da parte della cittadinanza che deciderà di vivere nel quartiere digital. In primo luogo sorge spontaneo un dubbio in merito all’eventuale rifiuto dell’individuo di autorizzare l’uso al trattamento dei dati personali: tale operazione comporterebbe l’’esilio’ dalla smart city canadese? Se così fosse, la tutela della sfera personale diventerebbe quindi un elemento di selezione degli abitanti da parte del web sovranista che si troverebbe a esercitare una sorta di tecno-dittatura. Un web eletto democraticamente? Per alcuni no. E se la democrazia viene meno, si può parlare di una nuova schiavitù del terzo millennio?

Cercare una risposta univoca ai quesiti insorti risulta estremamente difficile. Da un lato vi sono coloro che prevedono un futuro apocalittico dove l’uomo sarà totalmente sottomesso al potere della tecnologia; dall’altro c’è chi assicura che il cambiamento apporterà solo ottimi benefici per la vita e il benessere personale e collettivo. La sfida che attende Google City non è quindi assolutamente facile: dovrà dimostrare al mondo intero di essere in grado di unire innovazione e difesa della privacy, un accostamento che spesso può sembrare un ossimoro. Una strada decisamente in salita per il colosso statunitense.

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