SOCIETÀ

Il laboratorio ecofascista delle destre estreme

Il 15 marzo 2019 è un venerdì. In Nuova Zelanda, a Christchurch, i fedeli musulmani si raccolgono per la preghiera. Alle 13:40 un uomo entra nella moschea di Al Noor e fa fuoco sulle persone. Poco più di dieci minuti dopo, alle 13:55 fa altrettanto al centro islamico di Linwood, poco lontano. Il bilancio dei due attentati, perpetrati dallo stesso uomo, è di 50 morti e altrettante persone ferite. L’attentatore si chiama Brent Harrison Tarrant e trasmette tutto in diretta su Facebook. Viene arrestato dalla polizia e nel 2020 è condannato all’ergastolo.

All’epoca degli attentati Tarrant ha 28 anni ed è nell’orbita dei movimenti neofascisti e suprematisti bianchi. Prima di realizzare gli attentati, Tarrant pubblica online un documento intitolato The Great Replacement (letteralmente: ‘la grande sostituzione’): una sorta di manifesto infarcito di ideologia white power e di odio verso tutto ciò che non è “razza bianca”. Tra le 74 pagine del testo si può leggere che “non esiste conservatorismo senza natura, non c’è nazionalismo senza ambientalismo, l’ambiente naturale della nostra terra ci ha formato tanto quanto noi stessi abbiamo fatto con esso”. C’è un apparente cortocircuito tra ideali neofascisti, e in generale fortemente conservatori, e un’idea di tutela della natura e dell’ambiente. Ma non si tratta di una contraddizione. Anzi, come ci racconta la giornalista scientifica Francesca Santolini nel suo ultimo libro Ecofascisti (Einaudi 2024) esiste un legame tutt’altro che nuovo tra destre estreme e forme di ambientalismo ed ecologismo. 

C'è una strumentalizzazione del tema della migrazione, nel tentativo di addossare alla popolazione migrante la causa della crisi climatica e provando a trasformare l’ecologia nella difesa delle frontiere Francesca Santolini

“Negli ultimi anni”, ci racconta Santolini al telefono, “è sempre più difficile sostenere pubblicamente posizioni negazioniste sul cambiamento climatico”. Da destra, la mossa è quindi provare a riappropriarsi di questi temi in chiave conservatrice, spesso avvicinandola se non sovrapponendola con la xenofobia, l’odio per l’altro. Ne è un esempio la posizione di Rassemblement National, il partito guidato in Francia da Marine Le Pen. A metà aprile del 2019, fatalità un mese dopo i fatti di Christchurch, Le Pen ha dichiarato che  «L'ambientalismo è il figlio naturale del patriottismo, perché è il figlio naturale del radicamento [...] se si è nomadi, non si può essere ambientalisti. Chi è nomade [...] non si interessa dell'ambiente; i nomadi non hanno una terra natia». Sembra di sentire Tarrant, ma è invece la leader politica di un partito di destra che, come ci spiega Santolini, “ha strumentalizzato il tema della migrazione cercando di addossare alla popolazione migrante la causa della crisi climatica e provando a trasformare l’ecologia nella difesa delle frontiere.” Secondo questa logica, un buon ambientalista è colui che respinge i migranti e difende la frontiera.

Le radici dell’ecofascismo

Le posizioni di Tarrant e Le Pen non sono delle novità. Possono essere lette come aggiornamenti di un armamentario di argomenti delle destre, specialmente più estreme, che viene adeguato al XXI secolo. Ma il libro di Santolini è molto utile anche perché ripercorre agilmente, ma in profondità, il legame tra destre e ambientalismi che ha attraversato oltre un secolo e mezzo di storia europea. L’ecologia nasce, infatti, negli ambienti conservatori della Germania di fine Ottocento con spiccati accenti antimoderni che trovano terreno fertile nelle ideologie di destra. Il caso più celebre è probabilmente quello del nazismo che mette al centro della propria politica temi eminentemente ecologici che si possono riassumere nel motto blut und boden, ‘sangue e suolo’.

Certo si tratta di una lettura tendenziosa anche dei fenomeni. “In questo modo è facile identificare un capro espiatorio - l’altro - come la causa della crisi ecologica”, puntualizza Santolini, “e contemporaneamente si allontana l’azione politica dalle vere cause dei fenomeni”. Un rovesciamento che oggi vede per questo tipo di destre le persone migranti causa, o concausa, della crisi e non vittime, come invece dimostrano gli studi sulla cosiddetta migrazione climatica: persone che lasciano terreni non più coltivabili, paesi che non riescono a far fronte alla domanda interna di cibo o che sono esposti a eventi estremi che portano distruzione su territori già fragili.

Si identifica un capro espiatorio esterno come causa delle crisi climatica e si allontana l’azione politica dalle vere cause dei fenomeni Francesca Santolini

In Italia

Nonostante il libro sia di dimensioni piuttosto contenute, Santolini ha condotto ricerche molto approfondite, studiando i programmi politici e i discorsi delle destre europee e occidentali in generale. L’idea che esce da questa ricerca è che l’ecofascismo sia ancora una posizione marginale nelle destre, ma che stia funzionando come una specie di laboratorio politico. Su questo fronte, si tratta di una mossa necessaria in paesi in cui il dibattito sull’ecologia è determinante anche ai fini elettorali. Non è così in Italia, dove però c’è una certa derisione di posizioni ecologiste che vengono definite “ecofollie” o si parla di “gretini”, giocando sul nome dell’attivista climatica Greta Thunberg.

Ne è un esempio l’immagine recentemente diffusa dalla Lega per le elezioni europee, in cui l’Europa viene vista come colei che obbliga alla scomodità di bere da una bottiglia di plastica da cui il tappo non si può staccare a causa di una direttiva. Ancora una volta la causa del disagio viene esternalizzata e pare quasi che si debba difendere l’italianità di poter staccare il tappo di plastica. 

In Italia, oltre a queste posizioni da misinformazione elettorale il dibattito politico sulla crisi climatica risulta ancora acerbo se paragonato ad altri contesti europei. “C’è ancora molto spazio per negazionismi, anche a livello di questo governo”, dice Santolini, “con posizioni che spesso si avvicinano all’antiscienza”. Anche questi tentativi di delegittimazione della scienza, come per esempio è avvenuto durante la pandemia di Covid-19 a proposito dei vaccini, convergono su un rifiuto della modernità tipico delle destre. 

Tecno-ottimismo problematico

C’è però un’altra apparente contraddizione all’interno delle ideologie ecologiste verdi, che può essere vista come tale solo se non si considera che le posizioni della galassia conservatrice sono molto variegate, come illustra Ecofascisti. Ponendo al centro della propria postura pubblica l’ideale di mantenimento dello status quo, le destre ecologiste talvolta ripongono grandi speranze in una soluzione tecnologica che risolva la crisi climatica senza modificare gli stili di vita.

Si tratta di una posizione tecno-ottimista che è soprattutto volta al mantenimento dei privilegi. “C’è l’idea che in qualche modo una soluzione si troverà”, precisa Santolini, “senza che sia necessario modificare lo status quo”. Ѐ un’idea che spesso assume le sembianze di un ‘capitalismo verde’ che non metta in discussione alcunché. Un esempio sono le soluzioni tecnologiche che Santolini raggruppa sotto l’etichetta ‘geoingegneria climatica’: “si può fare, può funzionare, ma è giusto?”. Qui sta uno dei nodi più odiosi degli ecofascismi, perché nel loro cercare di mantenere inalterato lo stato delle cose implicitamente, e talvolta anche esplicitamente come nel caso dei migranti, condannano proprio le persone che sono più esposte alle conseguenze della crisi climatica.

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