L’acqua oggi è prima di tutto un’emergenza, più di quanto non fosse mille anni fa. Non tanto perché sia poca, ma perché è mal distribuita e troppo spesso sprecata, finendo per compromettere la sicurezza delle persone, l’accesso ai servizi per la dignità della persona. Non a caso uno degli Obiettivi di Sostenibilità all’interno dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, il sesto, riguarda proprio questa risorsa: migliorare la gestione delle risorse idriche integrate, proteggere e ripristinare gli ecosistemi relativi all’acqua e sostenere l’impegno locale nella gestione di questa risorsa.
Siamo tuttavia ben lontani da questa visione del mondo. Sembra che l’uomo di oggi sottovaluti l’acqua, e la sfida è capire perché questo avvenga.
Due esempi vicini a noi. In Italia i dati Istat mostrano che su 9,5 miliardi di metri cubi d’acqua per uso potabile prelevati nel 2015, solo 8,3 sono stati immessi nelle reti comunali di distribuzione e solo 4,9 sono stati erogati agli utenti. L’Italia inoltre presenta il maggiore prelievo di acqua per uso potabile pro capite tra i 28 Paesi dell’Unione europea: 156 metri cubi per abitante. Secondo esempio: la legge regionale n. 14 del 04 aprile 2019 della Regione del Veneto “Veneto 2050: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio", ha stabilito che è possibile aumentare la cubatura degli edifici esistenti anche in aree a rischio idrogeologico P1 e P2 (Aree a bassa e a media pericolosità idraulica).
Dal 16 al 18 maggio l’università di Padova insieme all’abbazia benedettina di Praglia ha organizzato la quarta edizione del Convegno “Armonie Composte” che prende il concetto di interdisciplinarità estremamente sul serio, con un sguardo quasi ecumenico, riunendo storici, architetti, storici dell’arte, ingegneri, monaci, giornalisti, urbanisti, giuristi. Obiettivo: riflettere su che cosa è andato storto, prendendo le mosse dal sistema benedettino di progettazione e cura del territorio, che ha rappresentato per l’Europa un’avanguardia che nella storia non ha forse più trovato eguali.
Non va dimenticato che la Regola di Benedetto viene redatta nel VI secolo d.C., all’indomani della convenzionale caduta dell’Impero Romano, delle invasioni di Vandali e Visigoti, mentre a Bisanzio regnava Giustiniano. L’ideale benedettino nasce prima di qualsiasi forma di pensiero sull’igiene pubblica. Siamo soliti pensare a Venezia come la città della penisola che ha per prima predisposto logiche di salute pubblica. Le racconta un interessante libro di Nelli-Elena Vanzan Marchini “Venezia. La salute e la fede”. Con Benedetto ci collochiamo ben mille anni prima dell’Istituzione del Magistrato della Sanità del 1489. Il pionieristico sistema benedettino di gestione delle acque (abbattimento dello spreco, divisione dei flussi a seconda della funzione, concetto di acqua come fonte di igiene) ha cambiato l’Europa, dal momento che a metà del IX secolo, sotto l’impulso dell’Impero Carolingio, fu resa obbligatoria per ogni monastero l’assunzione della Regola Benedettina.
Si è a lungo discusso in questo “percorso di formazione comune” che ha coinvolto oltre 30 studiosi tutti intorno ai 30 anni di età, su quale fosse il quid del pensiero benedettino intorno all’acqua. A uno sguardo (troppo) profano viene oggi spontaneo mettere avanti le mani, escludendo la spiritualità dall’orizzonte della riflessione antropologica o sociologica. Non è un caso se Norberto Villa, monaco benedettino, in apertura dei lavori, nelle primissime battute ha messo le mani avanti a sua volta, precisando che la spiritualità altro non è che la dimensione dell’uomo che riflette sulla vita e sulla morte. “La forza storica della spiritualità è il linguaggio ed è così che l’acqua diventa simbolo di realtà spirituale”.
La Bibbia, per non parlare della biblia pauperum, cioè l’arte, è grondante di riferimenti al valore simbolico dell’acqua, come fondazione del suo valore economico. Pensiamo all’acqua come fonte di vita eterna nei Vangeli: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chiberrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno” (Gv 4,14); e ancora all’acqua come purificazione. Una frase scritta su di un pozzo nel chiostro dell'abbazia di Praglia recita “Aestus sordes sitim pulso, peccataque dito coelum”: rimuovo la sporcizia e i peccati e arricchisco il cielo”. Nella Regola è cruciale il momento della Lavanda dei piedi dell’ospite che si reca al monastero. “L'abate versi personalmente l'acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda; lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti”.
Forse – ma è solo una prima ipotesi emersa nelle discussioni – è per questo che abbiamo imparato a sottovalutare l’acqua? Aveva ragione il Pensiero Debole nichilista e non siamo più in grado come istituzioni di produrre un universo simbolico laico che ci accontenti, un nuovo immaginario per l’“economicamente vantaggioso”?
Il punto di partenza del dibattito è stato l’urgenza di ricollocare alcuni beni, fra cui l’acqua, fuori dal mercato, anche se è economicamente svantaggioso. Puntuale è stato l’intervento di Paolo Tarolli, docente di idraulica agraria a Padova, sul sistema di terrazzamenti nelle aree rurali nel sud della Cina. Un sistema perfetto, produttivo e fecondo per le comunità locali, che tuttavia imparano a percepirsi in crisi, perché fondate su una linea di vantaggio economico che non regge al confronto con il trend “progressivo” dell’economia globalizzata.
La cifra della Regola – e la sua attualità - è che ogni monastero è auto-responsabile. Responsabilità: un concetto che è stato ripreso (con scarsa presa sull’opinione pubblica) nel XX secolo da Emmanuel Levinas “La responsabilità non viene scelta ma ingiunge dall'altro” e da Hans Jonas “La necessità di applicare il principio di responsabilità ad ogni gesto dell'uomo che deve prendere in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti.” Nel suo intervento Ugo Mattei giurista dell’Università di Torino, ha illustrato come in un DDL della Commissione Rodotà pronto da 2008 (a Praglia era presente anche Romano Prodi, all’epoca Presidente del Consiglio) sia presente la proposta di inserire le “generazioni future” come terzo polo in una contesa giuridica fra due parti.
Sta a noi scegliere che risposta dare.
E non sembrano fuori luogo, in tutto questo, le parole di Angelo Branduardi, che parafrasa uno dei fioretti di San Francesco (che non era benedettino, evidentemente, ma gli echi non mancano): “Aver vinto su te stesso, sappi questa è la letizia”.