SOCIETÀ

L'appeal imprenditoriale dell'Estonia, reso ancora più forte dalla Brexit

Se fossimo nel Regno Unito, questa storia potrebbe cominciare così: “C’era una volta un potenziale mercato da 446 milioni di abitanti, che la Brexit ha sepolto sotto una montagna di divieti e di scartoffie”. Per le aziende britanniche l’uscita dall’Unione Europea è stata, ed è tuttora, un trauma: tasse di esportazione alle stelle, spese di spedizione moltiplicate, esclusione dai progetti europei e dalla possibilità di partecipare agli appalti pubblici, per non dire della difficoltà nel reclutare manodopera dall’estero. «L’unica maniera per fare affari in Europa sarebbe insediare un magazzino lì, e quindi evitare di pagare le spese su ogni spedizione», ammetteva alcuni mesi fa un piccolo imprenditore al Guardian. «Ma questo ci costringerebbe a fare licenziamenti nel nostro magazzino nel Regno Unito. È qui che i posti di lavoro saranno persi». Dinamiche di mercato, oramai tornare indietro non è possibile. Ma andare avanti sì. E quando il muro diventa troppo alto da scavalcare, tentare di aggirarlo, di trovare un’alternativa, è sempre una buona opzione. Come hanno fatto, nell’ultimo anno, oltre quattromila società britanniche, soprattutto tecnologiche, che hanno deciso di aprire succursali in Estonia proprio per non perdere il contatto, e i relativi benefici, con il mercato della Comunità Europea. Come chiedere una sorta di “asilo”, non politico ma commerciale. La politica del piccolo paese baltico (1,3 milioni di abitanti), cerniera all’estremo nord-est dell’UE (San Pietroburgo dista, dal confine, appena 150 km), è semplice: attrarre aziende straniere, garantendo anche permessi di soggiorno per i dipendenti, ma soprattutto offrendo la possibilità di ottenere la “e-Residency”: un'identità digitale e uno status, rilasciati dal governo (attraverso una smart card dotata di microchip), che consente di accedere, in assoluta trasparenza, a tutti i servizi online estoni (con firma digitale) riservati all’ambito commerciale e imprenditoriale. E l’Estonia, oltre a garantire una tassazione favorevole, è considerata la società digitale più avanzata al mondo. Per dire: sia il Centro militare per la Cyber Difesa Cooperativa della Nato (CCDCOE), sia l’Agenzia IT dell'UE (EU-LISA) hanno sede a Tallinn. E qui è nata Skype, poi acquisita da Microsoft.

Come archiviare la burocrazia

I risultati della strategia estone, politica e commerciale, si vedono chiaramente. La giovane premier Kaja Kallas ha stimato per quest’anno una plusvalenza fiscale superiore ai 50 milioni di euro, con un incremento del 60% rispetto al 2020. «È evidente, il nostro Paese sta beneficiando enormemente dell’uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, anche se il primo picco di richieste di “e-Residency” l’abbiamo riscontrato fin dopo il voto al referendum», ha commentato la premier estone. Una strategia che di per sé non è una novità, ma l’approdo di una politica pianificata già da molti anni, visto che già nel 2017, in occasione del “Summit digitale europeo” organizzato proprio a Tallinn, l’allora presidente del Consiglio europeo Donald Tusk aveva definito il paese baltico “leader della rivoluzione digitale a livello globale”. L’Estonia è un Paese costruito interamente su Internet: il Wi-Fi, con una copertura 4G, è ovunque, dalle città ai luoghi più remoti (le aree più popolate sono coperte da una rete gratuita fin dal 2002). Online si pagano le tasse, si firmano documenti, senza più code, senza più carta e ricevute “fisiche”. Nel 2005 è stato il primo Paese a introdurre il voto online (in Italia, con 16 anni di ritardo, siamo ancora alla sperimentazione). Per le sue caratteristiche, si è guadagnato l’appellativo di “e-Estonia”, con tanto di sito dedicato (qui) dove si possono trovare informazioni e soluzioni.    

Ma limitare il fenomeno estone alla Brexit sarebbe riduttivo. L’Estonia, proprio per le sue peculiarità, è diventato un paese di straordinario appeal imprenditoriale, simbolo e capofila europeo della “digital transformation”. Finora ha ricevuto richieste di “e-Residency” da 176 paesi, con la Gran Bretagna che si colloca al quarto posto nell’elenco delle nazioni non appartenenti all’Unione Europea (in cima alla classifica per domande c’è la Russia, seguita da Ucraina e Cina). Spiega il New York Times: «Ricevere la e-Residency non garantisce cittadinanza, residenza fiscale o ingresso in Estonia o nel resto dell'Unione Europea. Tuttavia, presenta il vantaggio di un’aliquota fiscale del 20% sia per l’imposta sul reddito sia per quella sulle società. E quest’ultima viene riscossa soltanto quando gli utili sono distribuiti (e non quando vengono conseguiti), consentendo così alle imprese di crescere con un basso carico fiscale».

Il ritorno dei cervelli in fuga

Per l’Estonia la situazione attuale è una sorta di rivincita, dopo l’esodo a partire dal 2004 (anno di adesione all’UE, come altri paesi baltici, dalla Lituania alla Lettonia) dei suoi migliori talenti, che scelsero di trasferirsi in paesi imprenditorialmente più competitivi, come la stessa Gran Bretagna. Ora la fuga dei “cervelli” va nella direzione opposta. E il governo ha fiutato l’affare: dopo essersi conquistato una reputazione di paese iper-digitalizzato (ancora nel 2000 aveva incluso l’accesso a Internet nell’elenco dei “diritti umani”), ha spinto sull’acceleratore dell’innovazione, con investimenti mirati, diventando il paradiso delle startup sia per numero (nel rapporto pro capite ne ha più della Silicon Valley californiana) sia per qualità (può vantare 7 “unicorni”, vale a dire startup del valore di almeno un miliardo di dollari), con parchi scientifici e tecnologici dedicati (il più importante è il Tehnopol, a Tallinn). Un altro punto di forza è la semplicità: “Bastano 13 minuti per aprire un’azienda”, promette il sito nomadidigitali.it. Mentre su workinestonia.com  si possono trovare tutte le info utili connesse, dalle offerte di lavoro aperte alle procedure per avere i permessi di soggiorno, dagli alloggi all’assistenza sociale e sanitaria.

«Quello che non capisco è perché non tutti i paesi adottino il nostro modello: è sicuramente il sistema più competitivo in circolazione», si domanda stupita la premier estone Kaja Kallas, figlia d’arte (suo padre, Siim Kallas, è stato Primo Ministro dal 2010 al 2014), attuale leader del Partito Riformista fondato dal padre. Convintamente europeista, liberale, femminista, fermamente risoluta nel mantenere la giusta distanza con Mosca (il governo ha appena annunciato che il confine con la Russia sarà “rafforzato con nuove barriere”, come misura di precauzione in conseguenza della crisi migratoria in Bielorussia) e il suo ingombrante passato. Il mese scorso, dopo un’iniziale perplessità, anche il governo estone ha deciso di aderire all’accordo internazionale dell’Ocse sulla global tax, che prevede una tassazione minima al 15% delle multinazionali. «Nulla cambierà per la maggior parte degli operatori economici dell'Estonia, ma riguarderà soltanto le filiali dei grandi gruppi multinazionali», si è affrettata a chiarire la premier, molto attenta a difendere il business del suo paese.

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012