CULTURA

L’architettura prigioniera delle nostre speranze, delle nostre attese

Il quaderno sottobraccio, gli occhiali arrotondati divenuti tratto distintivo della sua immagine, l'architetto Mario Botta spiegava a Padova cosa fosse la creatività nella pratica dell’architettura. Cosa significhi nel suo quotidiano ideare e realizzare, confrontarsi col committente e col paesaggio, soprattutto quello svizzero, suo luogo di nascita e d’elezione, dove ha scelto di stabilire il suo studio e di fondare l’Accademia di Architettura di Mendrisio.

“Ancora adesso, dopo molti anni che faccio questo mestiere, non so fino a che punto il lavoro dell’architetto possa considerarsi una disciplina tecnica, di derivazione,  di conseguenze dovute a risposte tecniche e funzionali, e fin dove invece lo spazio espressivo e interpretativo che viene dato a questo bisogno dell’uomo, quello di avere un tetto, una protezione, una casa, un rifugio, possa invece interpretare al meglio lo spirito di questo nostro tempo. L’architettura, infatti, è prigioniera della cultura, delle speranze, delle attese del momento storico, e non importa quale architetto rifletta questa condizione.” Botta insiste sull’architettura come specchio dell’epoca in cui è concepita, più che del linguaggio di un singolo architetto: se è vero che riconosciamo più facilmente un manufatto romanico, barocco, postmoderno piuttosto che l’esito del progetto di Peter Behrens o Arata Isozaki, è pur vero che la cifra di alcuni architetti è molto evidente, come nel suo caso.

Impossibile non riconoscerlo nei progetti per il Moma di San Francisco, per la cattedrale della Resurrezione a Evry, in Francia, o anche per il Polo universitario di biologia e biomedicina di Padova. È un segno forte e perentorio, quello che Botta incide sul paesaggio. Avviene anche nel caso della chiesa di S. Giovanni a Mogno, in Svizzera, realizzata sulle spoglie di una chiesa seicentesca letteralmente spazzata via da una valanga nel 1986. È attraverso la descrizione del processo che lo portò alla definizione del nuovo disegno per la chiesa, che Botta vuole esemplificare il concetto di creatività logica costitutiva del suo modo di progettare. In quel caso, a commissionare il lavoro fu la gente del villaggio, anche se, precisa Botta,  “la vera committenza per l’architetto è la storia. Si veste da signor Bianchi o signor Rossi  ma di fatto è il cittadino di quel periodo storico che domanda una casa o, in questo caso, una chiesa”. Disarmante la motivazione che spinse alla richiesta di un nuovo luogo di culto, in realtà non più necessario, vista la vicinanza del villaggio: “Vogliamo costruire qui una chiesa perché qui ce n’era una”, riporta l’architetto. Una motivazione semplice, e allo stesso momento molto complessa, lontana da questioni funzionali, e in cui si riconosce la valenza dell’oggetto architettonico come segno di storia e memoria, quindi di identità locale

Una volta liberata l’area della frana dalle macerie, riapparvero al suolo solo pochi segni che ricalcavano parte della vecchia pianta: da quei segni Botta partì per ridisegnare un nuovo spazio, del tutto dissimile rispetto al preesistente, ma in questo modo concettualmente legato. “Qualcuno chiedeva la chiesa così com’era e dov’era: uno slogan molto vicino alla cultura della salvaguardia attuale. Ma sarebbe stato come rimuovere il fatto tragico della frana, come se la storia di quattro secoli fosse stata annientata. L’ho trovato sbagliato dal punto di vista concettuale”. Il risultato del processo progettuale, di fatto, sconvolge  il preesistente, ruotando di 45° una pianta plasmata fino a creare un’ellissi, con l’intento di non offrire pareti piatte a una eventuale altra frana. Quindi, tagliata sull’asse minore, l’ellissi si è trasformata in cerchio al livello della copertura. Il ragionamento creativo ha dunque portato a una configurazione completamente diversa da quella di partenza: “Non so dirvi in che misura sia entrata la creatività. So che c’è stato un procedimento logico, senza alcun elemento arbitrario. Il risultato finale porta con sé una componente di creatività, ma non di bizzarrìa.”

Nell’architettura la creatività porta con sé una serie di interrogativi ai quali è difficili rispondere in termini perentori. La realtà del costruire è sempre determinata da una ragione tecnica, funzionale, statica: questo è il dato rappresentativo, della materia. Ma, come tutte le forme espressive, ha una forza evocativa che parla della poesia e della sensibilità del proprio tempo.

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