Foto di Karolina Grabowska Pexel
192 miliardi di euro è il valore dell’economia non osservata in Italia. Il dato arriva dal rapporto Istat ed è riferito al 2021, anno in cui anche l’economia sommersa si è attestata a poco meno di 174 miliardi di euro, mentre le attività illegali hanno superato i 18 miliardi. Rispetto al 2020, il valore dell’economia non osservata cresce di 17,4 miliardi, ma la sua incidenza sul Pil resta invariata (10,5%).
Prima di scandagliare a fondo il report dell’Istat è bene fare un ripasso delle definizioni. L’economia non osservata, quella cioè che vale circa 192 miliardi di euro nel 2021 è quella costituita dalle attività produttive di mercato che sfuggono all’osservazione diretta. I motivi possono essere diversi ma di fatto questo dato comprende, essenzialmente, l’economia sommersa e quella illegale.
L'economia non osservata
Nel 2021 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, cioè appunto la somma di economia sommersa e attività illegali, è stato, come abbiamo visto, di 192 miliardi di euro, segnando una crescita del 10,0% rispetto all’anno precedente, quando era di 174,6 miliardi.
L’incidenza dell’economia non osservata sul Pil invece, si è di conseguenza mantenuta costante al 10,5%, con una piccola variazione di 0,8 punti percentuali al di sotto di quanto osservato nel 2019 (11,3%). La crescita dell’economia non osservata è stata guidata dall’andamento del valore aggiunto da sotto-dichiarazione, cioè di fatto l’occultamento di una parte del reddito fatto attraverso false dichiarazioni del fatturato oppure dei costi. Nel 2021 questa ha segnato un aumento di 11,7 miliardi di euro (pari al 14,6%) rispetto al 2020 mente minore è stato l’incremento del valore aggiunto generato dall’utilizzo di lavoro irregolare (5,7 miliardi di euro, pari al 9,2%) e dalle attività illegali (0,9 miliardi di euro, pari al 5,0%).
Insomma circa il 10% del nostro Pil svanisce tra valore aggiunto occultato tramite comunicazioni volutamente errate del fatturato o dei costi (sotto-dichiarazione del valore aggiunto) o generato mediante l’utilizzo di lavoro irregolare, valore dei fitti in nero, delle mance e una quota che emerge dalla riconciliazione fra le stime degli aggregati dell’offerta e della domanda. L’economia illegale invece include sia le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibite dalla legge, sia quelle che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati. Le attività illegali incluse nel Pil dei Paesi Ue sono la produzione e il commercio di stupefacenti, i servizi di prostituzione e il contrabbando di sigarette.
L'economia sommersa
Analizzando solamente l’economia sommersa invece, vediamo come nel 2021 questa vale 173,9 miliardi di euro, in aumento di 16,5 miliardi rispetto al 2020, con un’incidenza sul Pil stabile al 9,5%. In questo caso la componente legata alla sotto-dichiarazione vale 91,4 miliardi di euro mentre quella connessa all’impiego di lavoro irregolare è pari a 68,1 miliardi (erano, rispettivamente, 79,7 e 62,4 miliardi l’anno precedente).
Ci sono naturalmente dei settori in cui il sommerso è maggiore rispetto ad altri. Questi sono i servizi alle persone, dove il sommerso è il 34,6% del valore aggiunto del comparto, il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (20,9%) e le Costruzioni (18,2%). Per gli Altri servizi alle imprese (5,2%), la Produzione di beni d’investimento (3,4%) e la Produzione di beni intermedi (1,5%) si osserva invece un’incidenza minore ma pur sempre presente.
Il sotto-dichiarato invece è ha un ruolo significativo per gli Altri servizi alle persone (11,8% del totale del valore aggiunto), il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (11,7%) e le Costruzioni (10,5%). Meno presente invece nei settori dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza sociale (2,5% del totale del settore), della produzione di beni di investimento (2,3%) e della produzione di beni intermedi, energia e rifiuti (0,5%).
Il focus sul lavoro irregolare
Un focus necessario infine è quello sul lavoro nero. Lo stesso report sottolinea che questo ”è una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano". Una frase che non può lasciar indifferenti: nel 2021 infatti, sono 2 milioni e 990mila le unità di lavoro a tempo pieno (Ula) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (circa 2 milioni e 177mila unità). Ancora più allarmante il fatto che, rispetto al 2020, il lavoro non regolare sia in crescita del 2,5%. Pur essendoci dei segnali di ridimensionamento del fenomeno, è necessario prestare attenzione ad un comparto che vede anche diverse differenze settoriali. Nel Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, ad esempio, “il tasso di irregolarità scende di 0,8 punti percentuali, passando dal 13,5% del 2020 al 12,7% del 2021, che rappresenta il valore più basso dall’inizio della serie storica (a partire dal 1995). In questo settore, fortemente caratterizzato dalla presenza di lavoro irregolare, il calo è riconducibile alla dinamica di entrambe le componenti, dipendenti e indipendenti. Nel complesso, delle circa 270mila Ula irregolari perse nel 2020, rispetto al 2019, ne vengono recuperate solo circa 31mila, causando una contrazione del tasso di irregolarità”.
Insomma tra lavoro irregolare, economia sommersa, false dichiarazioni fiscali, ogni anno noi italiani ci “mangiamo” quasi 200 miliardi di euro. Una cifra che, ribadiamo, dovrebbe rientrare pienamente nell’economia regolare.