CULTURA

L’economia sentimentale di Edoardo Nesi

Quando accadde ci volle del tempo perché ce ne rendessimo conto, e poi ci volle del tempo perché fosse Storia. Anzi, ancora non è successo ma sta succedendo: alla pandemia ci siamo in mezzo. E se è vero che le vicende dei singoli diventano letteratura quando il narratore vi è a una giusta distanza, è immaginabile che gli autori debbano vincere una certa qual ritrosia per iniziare a mettere il covid nei loro romanzi. Lo ha fatto di striscio Tony Laudadio che però ha ambientato Il blu delle rose (NNEditore, 2020) nel 2047 rendendo il maledetto virus qualcosa di passato; lo fa coraggiosamente Edoardo Nesi, già Premio Strega nel 2011 con Storia della mia gente, un romanzo ibrido che ha molto di autobiografico, nel suo nuovo Economia sentimentale (La Nave di Teseo).

Anche qui come allora il racconto sfugge alle definizioni: non ha il plot del romanzo, non ha la pretesa di spiegare nulla come fa invece il saggio. È come se l’autore si fermasse a pensare e ci mettesse a parte del suo ragionare. E l’intrecciarsi dei pensieri e degli scambi (con persone reali) che l’autore riporta sulla pagina hanno come oggetto questo nostro mondo sconvolto.

Nesi, per molti versi, è il narratore delle crisi. Nel libro che vinse lo Strega raccontava la storia di un imprenditore tessile di Prato costretto ad affrontare il disastro economico-finanziario iniziato nel 2008 (di proprietà della sua famiglia è il lanificio Nesi) mentre nel precedente, L’età dell’oro, le vicende dei protagonisti si incardinavano sul declino, e sul ricordo del miracolo, del Belpaese. Nesi, quindi, non ha paura di rompere il tabù e di raccontare le vite anche attraverso le cause-effetto generate dal danaro.

In Economia sentimentale si legge: “Sono anche e soprattutto i soldi a determinare il nostro stato d’animo e i nostri pensieri, a concederci d’amare la vita invece d’odiarla, a far decidere a una giovane coppia di avere figli o no, ed è la loro mancanza a suggerire empiamente a un imprenditore fallito che è meglio suicidarsi che vivere nella vergogna”.

L’epidemia scardina i mostri meccanismi: “E poi il mondo impazzisce”, scrive Nesi per rompere il ghiaccio, all’inizio del libro.

Quindi, diverse pagine dopo: “Nell’incessante mareggiata di pensieri inutili che mi si affollano in testa, l’unico chiaro è come in questi giorni sospesi l’economia mi appaia sempre più una scienza viva e umanissima, certamente la più adatta di tutte le discipline a raccontare la sostanza delle nostre vite e il fervore dei nostri sogni e la miseria delle nostre paure: una stupefacente generatrice di storie e di speranze, lontana anni-luce dal gelo tagliente dei numeri coi quali si usa raccontarla”.

Quello che ci sta succedendo, la perdita di controllo della salute collettiva, non può non avere un secondo, immediato, riflesso sulle dinamiche economiche delle genti.

Chi meglio di un romanziere, meglio di Nesi, poteva raccontarlo?

Lo abbiamo intervistato.

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