Nel museo dell’Educazione dell’università di Padova si trova un interessante e unico modellino di un ottovolante, quello che potete vedere alla mia sinistra.
Se avete paura di salire su una giostra di questo tipo è perché si percepisce il rischio potenziale di un’avventura di questo genere. E proprio di rischio che voglio parlare oggi. Continuo a essere stupito dai problemi che abbiamo di concepire questa idea di rischio. E possiamo applicare questa analisi a quello che è accaduto in estate e nel primissimo autunno con degli eventi che ci sorprendono: dalla siccità, ai temporali, passando per gli incendi e le inondazioni. Situazioni che noi pensiamo sempre come imprevedibili. Ma, la siccità del Po era stata ampiamente prevista, che i ghiacciai siano sempre più fragili è risaputo, pure per gli incendi e la loro aumentata frequenza. Così come l’immaginare di vivere in un clima con lunghi momenti di siccità con poi piogge molto forti.
Allora sapevamo, non era imprevedibile. Imprevedibile rimane il momento in cui accade il momento specifico. Perché, però, lamentarsi quando succede un evento perché non era stata previsto ma eravamo a conoscenza del rischio? Con i terremoti siamo sulla strada giusta: non possiamo prevedere quando possa accadere un terremoto, ma abbiamo delle mappe precise del rischio che ci avvisano del grado di pericolosità in una data regione. È un dato utilissimo per prevenire, costruendo case con criteri di sicurezza maggiore e mitigare eventuali danni a seguito del sisma.
Ecco, la logica del rischio sismico dovrebbe essere applicata al cambiamento climatico e dovremmo mettere in atto veri piani di adattamento contro questa grande problematica.
Il rischio è complicato da comprendere: implica i concetti di prevenzione, d’incertezza e di probabilità. Propongo però di smettere di pensare che tutti questi disastri siano una calamità quando accadono. Poi viene chiesto lo stato di calamità naturale, ma, prima di tutto, di “naturale” non c’è molto, perché è tutto frutto di come noi esseri umani stiamo cambiando il mondo. In secondo luogo, non è una calamità: è una nuova normalità e non più un’emergenza. Non chiamiamola più emergenza.