C’è una ricorrenza, di cui le riviste scientifiche stanno parlando molto. Sono i 50 anni dalla pubblicazione di un rapporto che ha fatto storia: i limiti dello sviluppo. Un documento del 1972, commissionato dal Club di Roma, che sostenne – 50 anni fa – che se la crescita economica e della popolazione fosse proseguita come stava accadendo mezzo secolo fa, avrebbe portato a un rapido e continuo sfruttamento e impoverimento delle risorse del pianeta. Fino ad arrivare a un collasso economico totale nel 2070.
Il rapporto creò molto scompiglio e fu aspramente criticato. La rivista Nature fa autocritica: “Quando uscì questo rapporto noi di Nature lo definimmo un altro soffio del giorno del giudizio”. Insomma, accusarono il rapporto di inaccuratezza e catastrofismo. Il contributo fu invece molto importante. Fu trattato quasi come un’eresia perché metteva in discussione tutti i pilastri della civilizzazione industriale: lo sfruttamento, le emissioni di gas serra che prima o poi avrebbero presentato il conto. Altre critiche si focalizzarono sui modelli statistici, altre ancora – forse la critica più importante – sostennero che fosse impossibile fare una previsione di quel tipo senza essere a conoscenza di quali scoperte ci avrebbero potuto permettere di modificare l’impatto delle nostre azioni.
Anche grazie a questo dibattito, nel 1972 venne creato il programma ambientale delle Nazioni Unite. L’articolo di Nature mi ha colpito perché, in uno dei paragrafi, viene scritto “è da 50 anni che parliamo di queste questioni, ora sappiamo che gli effetti ambientali di quelle attività sono pesanti e irreversibili, i ricercatori non sono d’accordo sulle soluzioni ma è ora di concludere questo dibattito”. Che è fondamentale, è il sale della scienza. Come mai allora Nature dice di chiuderlo? Ricorda come gli scienziati si dividono tra i sostenitori della crescita “verde”: continuare a crescere, ma riducendo le emissioni. Altri invece sostengono di dover “rallentare”. Il dibattito – dice Nature – ha stancato perché rischia di paralizzare. Di condizionare i politici nell’incertezza di non fare nulla davanti al fatto che i limiti planetari sono chiaramente evidenti, che ci sono nuovi studi sulle cause del crollo della biodiversità e finalmente è stato intrapreso un processo di revisione delle regole che misurano il PIL, in modo che includa anche valori di sostenibilità, benessere sociale e ambientale. La conclusione è che si deve chiudere il dibattito perché da questo rapporto tutte le scuole di pensiero hanno tratto profitto, sono tutti debitori del Club di Roma. E ora è necessario allargare il quadro: abbiamo nuovi dati, pessimi e non c’è più tempo. Smettiamola di litigare su un documento di 50 anni fa, ringraziamo per il dibattito e troviamo delle soluzione, insieme. Chissà se i nostri colleghi accetteranno questo invito.