SCIENZA E RICERCA
Noi e il mare. In tavola: la sostenibilità dei prodotti ittici
Illustrazione di Erica Meloni
I mari e gli oceani che ricoprono la maggior parte della superficie terrestre possono sembrarci una massa omogenea d’acqua salata, ma non è così. C’è una grande variabilità sia nelle caratteristiche chimico-fisiche degli ambienti marini (temperatura, salinità, concentrazione di nutrienti, tipo di fondale, ecc.) che nelle specie che li abitano. Si parla così di ecosistemi marini, al plurale. All’interno di ogni ecosistema vi è una grande e importante diversità di specie viventi. Ciascuna specie ha la propria funzione ecologica: esse interagiscono tra di loro e con l’ambiente circostante permettendo all’ecosistema di autosostenersi, di resistere a eventuali cambiamenti dell’ambiente e di fornire benefici agli esseri umani (produzione di ossigeno, stoccaggio di CO2, prodotti ittici, riduzione dell’erosione costiera, ecc.). Tuttavia diversi fattori, spesso conseguenza delle attività umane, minacciano la biodiversità marina con conseguenze potenzialmente irreversibili. Il cambiamento climatico è uno dei fattori di cui sentiamo maggiormente parlare. L’innalzamento delle temperature e l’intensificarsi di eventi estremi (ondate di calore, precipitazioni intense, ecc.) mettono a dura prova la resistenza di alcune specie, che non tollerano grandi variazioni ambientali o che per adattarsi sono costrette a aggiustare il proprio metabolismo o il proprio comportamento, con effetti sulla loro crescita, riproduzione e risposta immunitaria. Anche la presenza di sostanze chimiche inquinanti, di rifiuti e l’eccessivo arricchimento di nutrienti cambiano le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua, con effetti negativi sulla sopravvivenza di alcuni organismi, sia animali che vegetali. Inoltre, la forte urbanizzazione delle aree costiere, con la costruzione di strutture a ridosso del mare, comporta non solo un maggior inquinamento, ma anche la distruzione di habitat di particolare importanza ecologica, come ad esempio gli habitat dunali, le praterie di fanerogame e le barriere coralline. Un ambiente fortemente stressato da questi diversi fattori è tipicamente più vulnerabile all’invasione di specie aliene, cioè specie originarie di un’altra area geografica che vengono introdotte accidentalmente o volontariamente dove non erano già presenti. In un ecosistema sano, queste specie non riuscirebbero facilmente a prosperare, ma in un ecosistema indebolito possono sostituirne una già presente e spostare gli equilibri del sistema. Infine, ma non perché meno importante, anche la pesca può avere un forte effetto negativo sulla stabilità degli ecosistemi marini.
L’impatto della pesca
Il prelievo eccessivo di risorse ittiche può portare al declino o addirittura al collasso di una popolazione. Le caratteristiche del ciclo vitale di una specie determinano il tasso di prelievo che essa può sostenere nel lungo termine. Quando questo tasso supera la capacità riproduttiva della specie e porta al calo del quantitativo pescato rispetto al massimo ottenibile si parla di sovrasfruttamento della risorsa. La pesca intensiva è una grande minaccia per le specie commerciali e in passato ci sono già stati casi di specie che hanno localmente raggiunto livelli di abbondanza così bassi da non riuscire più a riprendersi (Why do fish stock collapse? The example of cod in Atlantic Canada – Ecological Applications 1997). Le specie commerciali non sono tuttavia le sole ad essere minacciate dalla pesca eccessiva. Alcune tecniche di pesca sono molto selettive, ovvero permettono di catturare quasi esclusivamente individui di una specie, mentre con altre tecniche il pescato risulta composto sia da specie target che da percentuali considerevoli di by-catch, ovvero catture accidentali di altre specie commerciali non-target e di specie non commerciali. Quest’ultime vengono rigettate in mare, ma non sempre sopravvivono allo stress della cattura. Tra le specie by-catch si trovano spesso invertebrati marini, ma anche vertebrati di interesse conservazionistico come i mammiferi marini e i pesci cartilaginei (squali e razze) che sono molto più vulnerabili a causa dei tratti del loro ciclo vitale (Overfishing drives over one-third of all sharks and rays toward a global extinction crisis – Current Biology 2021). Le attività da pesca possono anche modificare fisicamente i fondali. Alcune reti a strascico, ad esempio, operano a contatto con il fondale e possono alterarne radicalmente l’aspetto e la composizione quando l’attività viene ripetuta con elevata frequenza e per lunghi periodi sempre nella stessa zona. Un recente studio condotto su diverse aree del globo ha misurato gli effetti che la pesca a strascico ha sulle specie marine degli habitat a fondi sabbiosi, evidenziando come il Mediterraneo, ed in particolare il Mar Adriatico, sia tra le zone più impattate da questo tipo di attività (Trawl impacts on the relative status of biotic communities of seabed sedimentary habitats in 24 regions worldwide – PNAS 2022).
Dovremmo dunque smettere di pescare e di consumare prodotti ittici?
La pesca è fonte di molti posti di lavoro e il consumo di pesce è una parte importante della dieta per molte persone nel mondo, ma è essenziale pescare in modo sostenibile per preservare gli ecosistemi marini e le specie che ne fanno parte. Di conseguenza, come consumatori di risorse ittiche, abbiamo una grande responsabilità in quanto la sostenibilità delle nostre scelte a tavola si riflette sulla pesca. Un buon punto di partenza è la conoscenza della piramide ecologica, che è la rappresentazione grafica del flusso di energia attraverso la catena alimentare degli ecosistemi. Semplificando, tutto parte dagli organismi foto sintetizzanti (produttori primari) che trasformano l’energia del sole in biomassa e che costituiscono la base della piramide, avendo un’elevata produttività. Nelle zone intermedie della piramide ci sono i consumatori primari (specie erbivore) e secondarie (carnivore) e infine i predatori apicali, che si pongono al vertice della piramide e hanno una biomassa totale ridotta. Nel passaggio da un livello trofico inferiore ad uno superiore si ha un trasferimento di energia (che viene convertita in biomassa) pari circa al 10%, mentre il resto dell’energia viene dissipata nei processi metabolici degli organismi. Dunque c’è una grande differenza nel costo energetico della produttività di zone alte o basse della piramide, a causa della grande quota di energia persa nel passare da un livello trofico all’altro. Quindi è consigliabile prediligere specie di basso livello trofico per la loro abbondanza e ridotto costo energetico per l’ecosistema (ad es. pesce azzurro e crostacei a ciclo rapido come i gamberi). All’opposto troviamo le specie di alto livello trofico (grandi predatori come tonni e squali) il cui consumo non è spesso sostenibile per la loro ridotta produttività combinata con un alto costo energetico per l’ecosistema. Un’ulteriore ragione per scegliere specie di piccola taglia e basso livello trofico è rappresentata dal minore rischio di ingestione di sostanze inquinanti. La concentrazione di sostanze inquinanti (es. mercurio, metalli pesanti) generalmente aumenta avvicinandosi all’apice della piramide, perché i grandi predatori consumano grandi quantità di altri organismi e vivono a lungo e possono così accumulare nei loro tessuti sostanze nocive (processo di biomagnificazione). Tra le specie poco produttive poi ne esistono alcune che sono particolarmente vulnerabili al prelievo della pesca poiché hanno cicli vitali lenti e lunghi, riproducendosi solo in età avanzata e con un basso numero di prole. Squali e razze sono l’esempio più rappresentativo: la loro vulnerabilità ne ha determinato la forte riduzione in Mediterraneo nel corso dell’ultimo secolo per via dello sfruttamento ad opera della pesca.
L’importanza di informarsi
Queste buone pratiche sono generali, ma ogni prodotto ittico è a sé e ci sono fattori specifici da considerare per capire la sostenibilità di un prodotto ittico. Essere consapevoli delle problematiche legate alla pesca e al consumo di pesce è il primo passo verso scelte più sostenibili. Informarsi sulla provenienza del pesce, sulle pratiche di pesca locali e sugli impatti ambientali e sociali aiuta a prendere decisioni consapevoli: ad esempio una tecnica di pesca può non essere sostenibile in un ecosistema ma esserlo altrove. Inoltre, sensibilizzare amici, familiari e comunità sulle buone pratiche per il consumo di pesce può amplificare l'impatto positivo. Riguardo la provenienza del pesce e le specie da consumare, la scelta migliore ricade nel pescato “a km zero” e nella scelta di specie localmente o stagionalmente disponibili, ovviamente se pescate in modo sostenibile, invece che nel seguire le tendenze culinarie che ci spingono all’acquisto delle solite specie note, come salmone, tonno o gambero rosso. La scelta del pescato locale non solo è quella che ci garantisce la massima sostenibilità in termini di costi di trasporto, ma spesso la ridotta distanza di trasporto equivale a freschezza elevata del prodotto ed economicità (per via della corta filiera dal pescatore al consumatore). È anche importante conoscere le metodologie di pesca che hanno un’influenza diretta sulla qualità e sostenibilità del prodotto ittico. Il pesce proveniente dalla cosiddetta pesca artigianale, effettuata seguendo i cicli stagionali delle specie con attrezzi passivi selettivi e con basso impatto sui fondali marini, è tipicamente più sostenibile. Anche la qualità del prodotto è garantita, perché questa pesca è svolta da piccole imbarcazioni che operano vicino alla costa e sbarcano giornalmente il pescato. Infine anche chi vive lontano dal mare e non può acquistare pesce fresco locale può adottare comportamenti sostenibili nell’acquisto presso la grande distribuzione. Leggere le etichette è fondamentale, in quanto è possibile trovare informazioni su provenienza, metodo di cattura e tipologia di lavorazione del prodotto. Infine esistono dei marchi di pesca sostenibile che certificano alcune filiere produttive garantendo la sostenibilità e la qualità del prodotto finale. Per facilitare la vita ai consumatori il WWF propone il “semaforo del mare”, attraverso cui è possibile avere un’indicazione sulla sostenibilità di molte specie ittiche (WWF - Come diventare consumatori responsabili).
Il consumo responsabile di specie ittiche è essenziale per proteggere la biodiversità marina e garantire che le risorse marine rimangano disponibili per le generazioni presenti e future. Evitando i predatori apicali, preferendo specie con cicli vitali brevi e meno vulnerabili, supportando la pesca sostenibile e informandoci costantemente possiamo contribuire a un futuro più sostenibile per i nostri oceani.