Un mese fa si è svolto in Italia un dibattito interessante riguardante il Salone del libro di Torino e l’opportunità di ospitare una determinata casa editrice. Vorrei tornare sugli argomenti addotto dai critici della scelta di non avere questo stand, di questa cosiddetta censura. “È inutile censurare queste espressioni perché in questo modo si rende il soggetto vittima, dandogli visibilità”: questo è uno degli argomenti portati, anche corretto dal punto di vista pragmatico. D’altra parte qualche illustre commentatore ha portato argomenti di principio: le parole devono essere sempre libere, ma sono sanzionabili le azioni. Questa distinzione mi ha colpito: tutti vogliamo difendere la libertà di parola, ma questa dicotomia non regge. La libertà di espressione non è assoluta: i reati di diffamazione e le apologie ci dicono che non siamo del tutto liberi di parlare. In più, la distinzione tra azione e parola non è così netta: a volte diffondere parole di odio e violenza non è un’azione di per sé, ma contribuisce a inquinare il dibattito pubblico con il rischio che poi qualcuno le tramuti in azioni. Karl Popper, un grandissimo liberale, sosteneva il cosiddetto paradosso della tolleranza: in una democrazia non puoi far pagare alla democrazia il prezzo di dover tollerare davvero chiunque. In particolare una società tollerante ha il diritto di non tollerare gli intolleranti.