A distanza di un anno ancora non si hanno numeri certi che quantifichino i danni prodotti dall’uragano Vaia. I venti che si sono abbattuti tra il 27 e il 30 ottobre 2018 sui versanti e nelle valli del nord Italia hanno superato i 200 km/h. 494 le municipalità colpite tra Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e, in modo più marginale, Valle d’Aosta e Piemonte.
Sono venuti a mancare quei servizi ecosistemici che in condizioni normali i boschi in salute garantiscono alla cittadinanza. Intere aree abitate sono state esposte al rischio di valanghe e di inondazioni; la viabilità è stata interrotta, isolando per diversi giorni molti paesi di montagna; i sentieri di montagna sono stati gravemente danneggiati. Inoltre l’estrazione di legname ha subito un colpo durissimo. Interessati i boschi di abete rosso e larice, soprattutto, ma anche quelli di abete bianco, pino, pino silvestre e faggio.
Le prime stime (Chirici et. al. 2019) parlavano di e 8,7 milioni di metri cubi di legname abbattuto, un valore, quest’ultimo, 7 volte superiore alla quantità di tronchi lavorati nelle segherie italiane in un anno. Nel solo Trentino è stata danneggiata una quantità di legname 8 volte superiore a quella ordinariamente programmata per la lavorazione annuale.
I dati che oggi abbiamo a disposizione tuttavia non costituiscono ancora numeri certi. “Questo perché non c’è un sistema di rilevazione centrale che possa consentire di raccogliere e utilizzare i dati” sottolinea Davide Pettenella, professore e coordinatore della scuola di dottorato del dipartimento Territorio e sistemi agroforestali (Tesaf). Proprio il suo dipartimento è il partner che è stato identificato per la collaborazione tra università di Padova e il commissario delegato alle attività di ricostruzione, presidente della regione Veneto, Luca Zaia. Tra le attività di assistenza agli enti locali, il Tesaf ha messo in piedi il programma di ricerca Young scientists for Vaia, 4 borse di studio di dottorato che sostengono ricerche interdisciplinari collegate a Vaia. Domani si terrà a Belluno un convegno organizzato dalla Fondazione Giovanni Angelini – Centro studi sulla montagna, che rappresenta il primo passo del progetto coordinato dal Tesaf, dove si tenterà di fare il punto sulla gestione della ricostruzione del territorio.
Il disastro nella valle dell'Agordino, provincia di Belluno. Fonte: Regione Veneto
Secondo Pettenella, l’incertezza sui dati a disposizione è figlia di un mancato coordinamento sui rilevamenti. “Non esiste nemmeno un’unica metodologia concordata a livello delle singole amministrazioni regionali. Le informazioni raccolte sono buone nelle province autonome di Trento e Bolzano, sono abbastanza complete per il Friuli. Sono invece molto scarse quelle per il Veneto. L’Istat non ha attivato nessun intervento di monitoraggio e questo è un fatto a mio avviso abbastanza grave. I dati riportati sono stati raccolti grazie al coordinamento della Sisef, la Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale. A tre mesi di distanza dall’evento si è rivolta alle singole amministrazioni, sfruttando i mezzi di monitoraggio satellitare, e ha chiesto alle regioni e alle province autonome i dati sui metri cubi abbattuti. Da quest’indagine sono stati ottenuti gli 8,7 milioni di metri cubi di legname abbattuti, ma è un dato che andrebbe aggiornato, perché sicuramente è una sottostima. Si tratta infatti di stime complesse, basti dire che non sono state considerate le formazioni boschive danneggiate al di sotto del 30%”.
Le percentuali di bosco su cui si è già intervenuti poi variano da regione a regione. “Nell’Alto Adige è stato trattato il 60-70% dei boschi, in Veneto siamo tra il 20% e il 30%” riporta Pettenella. Spesso addirittura il legname esboscato viene venduto senza che i prodotti di scarto, come il legname da triturazione, venga misurato. Se prima di Vaia il legname valeva circa 80 euro a metro cubo, ora si vende tra i 10 e i 20 euro al metro cubo, un quarto del suo valore a condizioni normali. “Il crollo del prezzo è legato all’inesperienza da parte dell’amministrazione a gestire il mercato” dichiara Pettenella, ma c’è da considerare anche una congiuntura sfavorevole a livello europeo. “Su scala europea si stima la presenza di 60 milioni di metri cubi di legname danneggiato, non solo da fattori meteorologici estremi (Vaia ha colpito anche in Austria), ma anche da insetti che crescono sotto la corteccia: è il caso dei boschi della Germania, della Slovacchia, della Repubblica Ceca, dell’Ungheria e della Francia”.
Provando a fare una gerarchia della gravità dei danni prodotti da Vaia, secondo Pettenella, al primo posto vanno quelli alle infrastrutture di protezione idraulica che hanno esposto i centri abitati ai rischi di inondazioni, e al secondo posto i danni alla viabilità. “Il Veneto è stato particolarmente colpito su questi fronti, tanto da portare la autorità amministrative a dare troppa poca importanza al legname. È passato il messaggio: prima sistemiamo idraulicamente il territorio e ricostruiamo le infrastrutture; ripristiniamo la viabilità e la comunicazione; poi pensiamo al problema urgente delle valanghe. Se abbiamo tempo e possibilità per ultimo penseremo ai boschi, intanto il problema se lo vedano le amministrazioni comunali”.
Il rapporto problematico tra boschi e comunità locali naturalmente non nasce con la violenza di Vaia. Fino a pochi decenni fa il Veneto era un modello per la gestione del territorio forestale tra le regioni a statuto ordinario. “Oggi l’amministrazione dei boschi del Veneto è stata totalmente destrutturata. Oltre a un mancato turnover del personale, c’è stata una frammentazione delle competenze”. Ogni realtà territoriale ha delle specificità che andrebbero trattate secondo le esigenze locali, dichiara Pettenella. “Una scelta a mio avviso sbagliata è stata quella di mantenere a livello centrale della Regione le politiche forestali per i piani di sviluppo rurale. La gestione delle superfici forestali deve essere inscindibilmente legata alla gestione dei territori di montagna, dell’attività pastorale e dell’attività agricola. Non si può concepire l’attività forestale solo come un’attività collegata al genio civile, la gestione della foresta non può essere ridotta alla sola manutenzione idraulica. Un bosco va gestito, per salvaguardarlo, ma anche se si vuole creare attività economica”.
Quest’errore, sottolinea Pettenella, è stato fatto solo dalla regione Veneto, ed è quello che ha pagato maggiormente. È stato scisso il legame tra foresta e attività dell’industria del legno. L’attività delle segherie è crollata nel Veneto e di conseguenza non si è riusciti ad assorbire la quantità di legname prodotto da Vaia, che è stato dunque venduto, e a volte svenduto, all’estero. La nuova via della seta infatti è approdata anche nel comune di Belluno, che ha piazzato più di 17 mila metri cubi di legname ad acquirenti cinesi. “Questo dal punto di vista economico è una grande battaglia persa” commenta Pettenella. “Ci troviamo in una situazione opposta a quella di 30 anni fa, quando importavamo tronchi di faggio dai Balcani per ricavarne prodotti ad alto valore aggiunto, mobili ad esempio, che magari esportavamo anche nei Balcani. Ora questo trend si è invertito e siamo noi a vendere tronchi a Austria e Cina”.
Pulizia dei boschi in Cadore e Val Visdende, maggio 2019. Fonte: Regione Veneto
Non mancano tuttavia gli aspetti positivi: “per lavorare il legname in eccesso abbiamo chiamato ditte da fuori, dalla Svizzera, dall’Austria, dalla Slovenia, dall’Estonia, che si sono portate un’organizzazione dei cantieri molto moderna, che ha prodotto un effetto di imitazione da parte delle ditte locali. Alcune hanno fatto grandi investimenti in direzione di un ammodernamento dei macchinari. C’è stato quindi un indotto positivo. Ma il rischio per queste aziende è alto, perché nei prossimi anni, quando sarà finito il picco di attività del legname in eccesso, l’offerta interna sarà più contenuta.”
Le opportunità tuttavia non mancherebbero: “nel nord America e in nord Europa vengono utilizzati i cosiddetti prodotti ingegnerizzati. Si tratta di tavole di legno incollate e giuntate, impiegati soprattutto nel settore edilizio: ci si costruiscono addirittura grandi edifici, come grattacieli, a uso residenziale. Il legname ingegnerizzato permette di costruire edifici leggeri in tempi rapidi e dal punto di vista della sostenibilità sono all’avanguardia. Si dice che in ambito edilizio l’800 è stata l’era del cemento, il ‘900 l’era dell’acciaio, il 2000 sarà l’era del legname. L’Italia purtroppo riveste ancora un ruolo marginale in questo settore”.
Lavori di ricostruzione in valle di Cadore, località Ronco. Fonte: Regione Veneto
In definitiva, se la risposta delle imprese boschive c’è stata, così come pure l’impegno e l’abnegazione della società civile (prova ne sono i quasi 4 milioni di euro arrivati dalle donazioni) e delle amministrazioni locali, secondo Pettenella “non sono state all’altezza delle loro responsabilità le amministrazioni regionali e le province autonome”. Per via dei cambiamenti climatici, fenomeni della portata di Vaia saranno sempre meno rari. “Ci sarà necessità di un maggiore coordinamento orizzontale. Se questo non avverrà, perché le regioni non si parlano, occorrerà pensare a una revisione dell’assetto istituzionale nella relazione tra Stato e regioni”.
E andrebbe cambiato secondo Pettennella anche il paradigma di riferimento delle politiche forestali. “Fino ad oggi il criterio generale di impostazione delle nostre politiche, dopo gli estesi disboscamento di fine ‘800, è stato quello di vincolare il patrimonio forestale per garantirne la ricostituzione. Questo ha funzionato, da allora la superficie forestale è raddoppiata e il 27% delle nostre foreste rientra in aree protette, è la più alta percentuale tra i Paesi europei: la Germania ne ha 21%, la Francia 17%. Ora questa politica mostra dei limiti: il patrimonio è stato ricostruito, ora va gestito. La foresta è come un essere vivente che va incontro a fenomeni di senescenza, in più è esposta ai rischi dei cambiamenti climatici. Dobbiamo aiutare le nostre foreste anche con interventi artificiali, dobbiamo sì lasciare che i boschi di abete rosso si rinnovino naturalmente, ma dobbiamo anche introdurre provenienze meridionali di abete rosso, per accompagnare l’adattamento. L’uomo non è solo distruttore del bosco, l’attrezzatura moderna e le conoscenze scientifiche ci possono permettere di tutelare i nostri boschi”.
Entro fine anno è attesa la pubblicazione di un importante documento con un orizzonte di 20 anni in cui questo cambio di paradigma sarà tangibile: si tratta della prima Strategia forestale nazionale, predisposto dal Ministero dell’agricoltura e la cui redazione è stata coordinata proprio da Davide Pettenella.