SCIENZA E RICERCA

L'esposizione all'inquinamento può aumentare il rischio di mortalità per Covid-19

L’idea di indagare su un possibile nesso tra l’esposizione di lungo periodo all’inquinamento e la maggiore probabilità di un esito infausto in caso di contagio da SARS-CoV-2 le è arrivata mentre correva sulle rive del Po. Francesca Dominici, scienziata italiana di fama internazionale, i cui studi pionierostici sulla stastistica applicata all’ambito della salute l’hanno portata a diventare condirettore della Harvard Data Science Initiative, è anche una maratoneta di ottimo livello e quando, durante la scorsa primavera, la Lombardia fu travolta dalla prima ondata di contagi della pandemia, iniziò a riflettere su come l'aria che respirava nella pianura padana sottoponesse i suoi polmoni a uno sforzo molto maggiore rispetto a quando correva a Roma o quando si allenava a Boston.

D’altra parte Francesca Dominici lavorava già da tempo negli Stati Uniti su studi che avevano dimostrato come l’esposizione alle polveri sottili, anche quando di poco superiore alla soglia considerata di sicurezza, fosse associata a un considerevole aumento del rischio di mortalità: 7,3% in più a livello generale, un dato ricavato su 550 milioni di osservazioni e che tra le aree più densamente abitate da afroamericani finiva però per risultare triplicato, a causa del peso delle condizioni socioeconomiche.

Intervenendo al Festival della salute globale, la cui seconda edizione è in corso di svolgimento fino al 15 novembre in modalità interamente fruibile online, l’esperta di data science ha ricostruito il percorso che ha portato il suo team di ricerca a realizzare lo studio, pubblicato in questi giorni su Science Advances, che ha messo in relazione l’esposizione al particolato sottile, le particelle di Pm 2.5, con un maggiore rischio di mortalità per Covid-19. Lo studio è partito dall'analisi dei dati di oltre 3 mila contee statunitensi (dove vive il 98% della popolazione complessiva) e confrontando le informazioni sulle concentrazioni di polveri sottili nell'aria con il numero di decessi causati dal contagio di SARS-CoV-2, ha concluso che le persone che nei 16 anni precedenti alla pandemia sono state esposte a livelli di inquinamento anche di poco superiori alla soglia di sicurezza presentavano un rischio di mortalità per Covid-19 superiore dell'11%. Il lavoro del team di ricercatori di Harvard era già uscito in primavera come preprint e nei mesi successivi si è arricchito di nuovi dati che hanno incluso gli oltre 116 mila decessi avvenuti fino al 18 giugno negli Usa. Nella prima fase l'analisi aveva stabilito che l'inquinamento comportava un tasso di mortalità superiore del 15%. In seguito la considerazione di dati aggiuntivi e di più fattori che possono influenzare il decorso della malattia hanno portato a ridurre questo numero all'11%. Tuttavia se estendiamo lo sguardo all'intero pianeta un altro lavoro, pubblicato sulla rivista Cardiovascular Research - che ha usato dati e studi sull'inquinamento atmosferico globale, incluso il lavoro di Harvard - è giunto alla conclusione che l'inquinamento atmosferico ha contribuito al 15% dei morti per Covid-19 in tutto il mondo, un numero che sale al 27% se si considera la sola Asia orientale.

Francesca Dominici ha sottolineato che è già ampiamente noto come il particolato danneggi il sistema immunitario, penetri nei polmoni, metta a dura prova l’apparato cardiovascolare e possa avere un impatto negativo anche sull’Alzheimer e sulle malattie neurocognitive. Inoltre la scienziata ha spiegato che due anni fa in occasione di una tesi di dottorato da lei seguita era stato condotto uno studio che aveva collegato un’esposizione lungo periodo al particolato con lo sviluppo di malattia rara ma molto pericolosa: quella sindrome da distress respiratorio che è anche una delle cause principali di mortalità da Covid-19.

Davanti a un virus come SARS-Cov-2 che è capace di minacciare l’intero organismo e che può andare a bersagliare con particolare ferocia il sistema respiratorio i ricercatori si sono subito chiesti se alcuni fattori ambientali, come il livello di inquinamento atmosferico, potessero avere un ruolo nel decorso dell’infezione. L’articolo pubblicato su Science Advances ricorda che gli studi epidemiologici per stimare l'associazione tra l'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico e la manifestazione di Covid-19 in forme severe che comportano il rischio di morte sono un'area di ricerca in rapida espansione che sta attirando l'attenzione in tutto il mondo e sono già stati pubblicati anche alcuni lavori che si sono concentrati sull’elevata letalità che SARS-CoV-2 ha fatto registrare nel Nord Italia durante la prima ondata.

Gli autori dello studio relativo alle oltre 3 mila contee statunitensi hanno evidenziato che in questo tipo di ricerche una delle principali difficoltà è insita nell'assenza di dati individuali sugli esiti sanitari di Covid-19 per popolazioni ampie e rappresentative. Queste informazioni, spiegano i ricercatori, non sono pubblicamente disponibili o accessibili alla comunità scientifica. Un tema su cui Francesca Dominici si è ampiamente soffermata durante l'incontro online del Festival della salute globale definendo "fondamentale" il lavoro della Johns Hopkins su cui si è basato anche lo studio realizzato dal suo team, ma illustrando anche tutti i limiti collegati al dover maneggiare dati aggregati. In situazioni di questo tipo, la scienziata ha affermato che occorre considerare con estrema attenzione tutti i possibili fattori confondenti e lo studio ne ha identificati più di 20 inclusi, ad esempio, la densità di popolazione nelle diverse contee, le misure di contenimento dell'infezione a livello statale, la fornitura di letti ospedalieri e le condizioni sociali ed economiche. Chiaramente, ha esplicitato Dominici, per stabilire un legame diretto di causa ed effetto bisognerebbe realizzare uno studio randomizzato in cui l'unica variabile diversa sia il livello di inquinanti a cui è sottoposta una popolazione. Una strada che però non è percorribile e per questo motivo occorre garantire trasparenza e riproducibilità degli studi osservazionali, oltre a fortificarli con una solida base statistica, in modo che altri scienziati possano continuamente migliorare i risultati ottenuti in precedenza.

La biostatistica di Harvard ha concluso il suo intervento con l'auspicio che l'ingresso di Biden alla Casa Bianca rappresenti una svolta per il mondo della scienza e possa essere anche il punto di partenza per un movimento globale che garantisca un maggiore accesso ai dati da parte degli scienziati. "Abbiamo tutte le capacità tecnologiche per metterli a disposizione e tutelare al tempo stesso la privacy del paziente. Gli unici ostacoli sono di natura politica e spero che di fronte a una pandemia questi ostacoli vengano messi da parte per salvare tante vite" ha affermato Dominici e, rimarcando il carattere fortemente internazionale del suo team di ricerca, ha espresso la speranza che la fine della presidenza di Donald Trump porti anche a un rilassamento delle politiche contro gli studenti stranieri

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