UNIVERSITÀ E SCUOLA

L'Europa secondo il ministro Fontana

Cos’hanno in comune Erika Stefani e Lorenzo Fontana? Sono veneti (rispettivamente vicentina di Valdagno e veronese), esponenti della Lega Nord, deputati al Parlamento (Senato per Stefani e Camera dei Deputati per Fontana), ministri del governo presieduto da Giuseppe Conte. E sono entrambi laureati all’università di Padova: Stefani in giurisprudenza e Fontana in scienze politiche, indirizzo storico-politico.

Una presenza istituzionale di non poco conto, soprattutto se si considera anche l’elezione a presidente del Senato, prima donna a ricoprire questa carica, di Maria Elisabetta Alberti Casellati, che a Padova non si è laureata ma ha svolto per anni attività accademica come ricercatrice di diritto canonico ed ecclesiastico, in seno all’allora facoltà di giurisprudenza.

Tornando ai ministri, il Bo Live ha potuto vedere le loro tesi di laurea negli archivi dell’università di Padova, dove sono disponibili alla consultazione, e la lettura è stata non priva di interesse. Se nel caso del ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Erika Stefani, laureata in diritto processuale civile nel 1998 a 27 anni, l’argomento appare piuttosto tecnico (“Cumulo e concorso di mezzi di esecuzione forzata”, relatrice Annalisa Lorenzetto Peserico) e forse può dire poco sul suo successivo percorso politico e istituzionale, discorso invece diverso vale per Lorenzo Fontana, laureatosi nel novembre 2011 quando era da poco entrato in Parlamento europeo.

La tesi discussa dal ministro per la Famiglia e le disabilità è infatti intitolata “I movimenti populisti in Europa e la loro azione all'interno del Parlamento Europeo (relatore Antonio Varsori) e traccia un’analisi della situazione politica europea, offrendo diversi elementi importanti per la una comprensione meno superficiale di un partito in forte ascesa come la Lega (di cui è anche vicepresidente federale), oltre che un quadro dei suoi punti di riferimento a livello europeo.

Le critiche al multiculturalismo e all’Europa

Il punto di partenza è la crisi in cui in particolare verserebbe l’Europa: anzitutto culturale e valoriale, ma anche demografica; un tema su cui Fontana tornerà anche in seguito, ad esempio nel recente libro scritto con Ettore Gotti Tedeschi La culla vuota della civiltà. All'origine della crisi. Una situazione alla quale, sempre secondo Fontana, non danno risposte credibili il processo di costruzione europea e neppure i partiti tradizionali, di destra come di sinistra: dopo “la definitiva caduta delle ideologie” si assisterebbe infatti, in Europa e non solo, al “superamento della dicotomia destra-sinistra con la nuova dicotomia identità-globalizzazione”.

Tra le cause dell’attuale situazione di spaesamento ci sarebbero i movimenti migratori e il multiculturalismo, inteso come porre tutte le culture sullo stesso piano sulla base di una sorta di indifferentismo. Una critica a sostegno della quale Fontana cita alcune dichiarazioni di Angela Merkel e di David Cameron, assieme alle posizioni di intellettuali come Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, Giorgio Israel e Rocco Buttiglione.

Critiche non vengono risparmiate neppure agli stati nazionali “complici della globalizzazione”, troppo piccoli per governarla e al tempo stesso troppo grandi per un’azione veramente efficace sulle comunità: “Oggi, nel mondo industrializzato come in quello in via di sviluppo, l’entità di business naturale per attingere all’economia globale e produrre ricchezza è la regione, non la nazione”, scrive Fontana citando l’economista giapponese Kenichi Ohmae (The End of Nation State. The Rise of Regional Economies, New York 1995).

Gli identitari hanno raccolto quell'elettorato che si trova privo di reti e legami che soffre dello spaesamento culturale e valoriale rispetto alle innovazioni e alle differenziazioni nei rapporti sociali e interpersonali Lorenzo Fontana

Secondo il ministro i partiti populisti vincono proprio perché sanno cogliere e interpretare le ansie degli strati più disagiati della popolazione: “Gli identitari hanno raccolto quell'elettorato che si trova privo di reti e legami – scrive – che soffre dello spaesamento culturale e valoriale rispetto alle innovazioni e alle differenziazioni nei rapporti sociali e interpersonali sbandierate dalla cultura politica postmaterialista e libertaria”.

Sempre i nuovi partiti identitari e “postindustriali” sarebbero “qualcosa di diverso dai partiti fascisti e neofascisti: non sono organizzati militarmente, non rivendicano azioni violente o progetti eversivi, non sono ‘stato-centrici’, non prefigurano nuovi ordini e nuovi modelli di società precisamente definiti: esprimono, più semplicemente, insofferenza e ostilità verso molti aspetti della modernità - il pluralismo culturale, la diffusione di una morale libertaria, la presenza degli stranieri, il declino delle figure di autorità”. Ne conseguirebbe che gli elettori sostengono queste formazioni perché “danno risposte in termini di valori e di identità molto più che di interessi”.

Se il multiculturalismo è il problema, è chiaro che la soluzione starebbe secondo il ministro in tutte quelle misure che salvaguardano o addirittura rafforzano l’identità: “Siamo prima di tutto un popolo europeo di razza bianca, di cultura greca e latina e di religione cristiana”, scrive Fontana citando Charles De Gaulle. Spazio dunque alla valorizzazione delle ‘radici cristiane’ della società europea, delle quali “la presenza di genti di altre etnie e culture non solo non giustifica l'abbandono […] ma al contrario ne impone il rafforzamento”. E spazio anche ai filtri all’immigrazione, privilegiando ad esempio le popolazioni europee e soprattutto cristiane.

Siamo prima di tutto un popolo europeo di razza bianca, di cultura greca e latina e di religione cristiana Lorenzo Fontana, citando Charles De Gaulle

Un altro obiettivo polemico su cui i toni si accendono è rappresentato dall’euro e dall’“Europa dei banchieri”: “Ci si scontra oggi con il fallimento strutturale della politica monetaria europea, con il fatto che i singoli Paesi non possono contare su una propria politica monetaria ma hanno adottato una divisa comune, l'euro, sono stati resi schiavi ai diktat della Banca centrale che coordina le politiche monetarie per tutti i Paesi dell'Unione europea e impedisce a ciascuno di intervenire per risanare situazioni di bilancio particolarmente gravose”.

Cugini e alleati

La seconda parte della tesi di laurea, come detto, traccia una mappa dei “partiti identitari” presenti nel Parlamento europeo: di ognuno vengono brevemente descritti la storia e i principali punti programmatici, seguiti dall’intervista a un esponente di primo piano presente nel Parlamento Europeo. Le formazioni politiche interpellate sono otto: Freiheitliche Partei Österreichs (Austria), Vlaams Belang (Fiandre), Dansk Folkeparti (Danimarca), Partij voor de Vrijheid (Paesi Bassi), BNP - British National Party (Gran Bretagna), Perussuomalaiset (Finlandia), Front Nationale (Francia) e Jobbik (Ungheria). Grande assenti Fidesz di Viktor Orbán e l’Ukip di Nigel Farage, che pure all’epoca era già presente nel Parlamento Europeo.

I temi dei colloqui sono immigrazione, Islam, euro, identità e l’allargamento dell’Ue alla Turchia, che proprio in quel periodo tiene banco a livello europeo. Qui Lorenzo Fontana sembra volere mantenere una certa distanza rispetto all’oggetto della sua indagine, anche se in qualche caso sembra trasparire la vicinanza (talvolta la lontananza) con alcuni degli intervistati. “L'Europa è una civiltà, affonda le sue radici nella storia – risponde ad esempio la leader del FN Marine Le Pen –; è un territorio, io sono europea. Tuttavia, io considero l'UE come è una struttura totalitaria, è l'Unione sovietica europea. Oltre rovinare le nostre economie e a limitarci dal punto di vista budgetario, ci impone uno stile di vita che non è il nostro”.

Marcato è l’interesse per il Vlaams Belang, il partito indipendentista fiammingo. “È innegabile che Fiandre e Vallonia sono due paesi completamente diversi – scrive Fontana –. Le Fiandre producono i tre quarti prodotto interno lordo belga e vanta l’80% delle esportazioni belghe e quindi non si può che considerare come un paese piccolo ma ricco e a livello economico a vocazione internazionale”. Valutazioni applicabili anche alla situazione italiana, oppure non più compatibili con il nuovo corso di una Lega che ha rinunciato persino alla parola Nord nel nome?

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