SOCIETÀ

Amnistia per i crimini dei militari: il Perù rischia una crisi istituzionale

Un tratto di penna e via: di quei massacri, degli stupri, delle sparizioni e delle torture che per oltre vent’anni, tra il 1980 e il 2000, hanno scandito la vita quotidiana in Perù, in uno dei più cupi e drammatici periodi della sua storia più recente, non rimarrà traccia. Almeno per quel che riguarda i crimini commessi dai militari e dagli agenti di polizia che furono chiamati a contrastare l’avanzata di Sendero Luminoso, il gruppo terrorista d’ispirazione maoista, il più violento e sovversivo mai comparso nella storia del paese sudamericano, guidato da Abimael Guzmán, morto in prigione nel 2021. La settimana scorsa la presidente del Perù, Dina Boluarte, ha firmato l’amnistia generale (che era stata approvata a maggioranza dal Congresso) per tutti gli ufficiali militari e di polizia accusati di aver commesso in quel lungo arco di tempo crimini contro i diritti umani. «Con l’emanazione di questa legge - ha dichiarato Boluarte - il governo e il Congresso peruviani riconoscono il sacrificio dei membri delle forze armate, della polizia e dei gruppi di autodifesa nella lotta contro il terrorismo. Stiamo restituendo loro la dignità che non avrebbe mai dovuto essere messa in discussione». Eppure la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (TRC) aveva accertato, nel suo rapporto finale, non soltanto che le atrocità erano state commesse da entrambe le parti, ma che i combattenti di Sendero Luminoso (e di altri gruppi armati, come il Movimento Rivoluzionario Túpac Amaru) erano responsabili di “appena” il 54% dei 70mila morti totali (spesso contadini delle regioni più povere: il 75% era di lingua quechua, vittime dell’odio razziale). E al conto finale bisogna aggiungere altre ventimila persone, scomparse e mai più ritrovate. Inoltre la TRC ha accertato che il comportamento di membri delle forze armate non ha riguardato soltanto alcuni eccessi individuali da parte degli ufficiali o soldati, ma dimostrava anche “generalizzate e sistematiche pratiche di violazioni dei diritti umani” in contrasto con quanto stabilito dalle norme del diritto internazionale umanitario. «La lotta contro la sovversione - si legge sempre nel rapporto finale della Commissione - ha rafforzato le preesistenti e pratiche repressive tra i membri della polizia. La tortura durante gli interrogatori e le detenzioni indebite, che erano già frequenti, acquisirono un carattere massiccio durante l’azione contro-sovversiva. Inoltre, la Commissione per la Verità e la Riconciliazione ha stabilito che le violazioni più gravi dei diritti umani da parte di agenti militari sono state: esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate di persone, tortura, e trattamenti crudeli, inumani o degradanti. La TRC condanna in particolare la pratica estensiva della violenza sessuale contro le donne. Tutti questi atti disonorano gli autori direttamente coinvolti e anche quelli, nel loro ruolo di gerarchici superiori, che hanno istigato, permesso o coperto tali atti con meccanismi di impunità». 

Polemiche e accuse

Ora però la storia si ribalta: non soltanto quei delitti non saranno più perseguiti, ma la presidente del Perù ha voluto in qualche modo “chiedere scusa”, restituendo agli autori di quei crimini «la loro dignità che non avrebbe mai dovuto essere messa in discussione». I tribunali peruviani avevano finora ottenuto più di 150 condanne e si stima che fossero ancora in corso 600 indagini, a carico di circa 900 militari. Che, com’è ovvio, hanno festeggiato partecipando, invitati, alla cerimonia per la firma dell’amnistia, allestita al Palazzo del Governo di Lima, nella quale la presidente Boluarte ha voluto sottolineato come la legge restituisca “giustizia e onore a coloro che hanno combattuto contro il terrorismo”. «Molti di questi uomini e donne hanno dato la vita in difesa della pace di cui godiamo oggi» (circa 1000 furono le vittime tra le forze dell’ordine, in quei vent’anni di guerriglia civile). «Altri sono sopravvissuti, ma per anni hanno portato il peso di processi infiniti, di accuse ingiuste, di un dolore che non ha raggiunto solo loro, ma anche le loro famiglie». Come fossero eroi della patria e non criminali, come qualsiasi organismo, finora, li aveva considerati. 

La promulgazione dell’amnistia ha scatenato un’infinità di polemiche, in Perù e non soltanto. Le associazioni dei familiari delle vittime dicono di sentirsi “tradite dallo Stato”. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, ha definito il testo di legge una “battuta d'arresto”. «Sono costernato - ha dichiarato Turk - dall’emanazione di questa legge di amnistia, che viola gli standard internazionali e che è un affronto alle migliaia di vittime che meritano verità, giustizia, riparazione e garanzie di non ripetizione, non certo d’impunità. Questa battuta d'arresto nella ricerca della giustizia e della riconciliazione in Perù dovrebbe essere revocata immediatamente». Durissima anche la reazione di Juanita Goebertus, direttrice della Divisione Americhe dell’ong Human Rights Watch, che arriva a denunciare «una complicità diretta del Congresso con la criminalità organizzata, con il consenso del Governo di Dina Boluarte». In un recente rapporto pubblicato lo scorso luglio, dal titolo “Legiferare per l’impunità”, la stessa ong denunciava che «il Congresso peruviano (più della metà dei parlamentari ha indagini a carico per corruzione e altri crimini) ha aveva approvato una serie di leggi che di fatto favorivano il crimine organizzato, minando l’indipendenza della magistratura e la separazione dei poteri, oltre a indebolire le protezioni ambientali. E tutto senza che il governo di Boluarte riuscisse ad agire come contrappeso». Un esempio è la legge forestale approvata nel 2024, che di fatto aumenta il rischio di deforestazione e indebolisce la protezione dei territori andini. Lo studio di Human Rights Watch era stato stilato intervistando 125 tra pubblici ministeri, giudici, leader indigeni, giornalisti e funzionari governativi, nonché sulla revisione di 34 leggi e 54 decreti presidenziali approvati tra il 2023 e l’aprile del 2025. Il rapporto conclude così: «Il Congresso, con molti dei suoi membri con indagini penali in corso, ha creato le condizioni che favoriscono l’espansione dei gruppi criminali, indebolendo persino le istituzioni governative».

In Perù aumentano omicidi e insicurezza

La sicurezza complessiva, in Perù, sta drasticamente peggiorando negli ultimi anni. Il tasso di omicidi, tra il 2023 e il 2024, è aumentato del 75%, la crescita più alta dell’intero Sud America (mentre il paese con il più alto numero di omicidi resta l’Ecuador). Scriveva l’anno scorso il sito investigativo Ojo Publico: «Mentre le denunce di estorsione e omicidi sono aumentate nel 2023, nel 2024 la polizia ha ridotto le proprie operazioni rispetto all'anno precedente. Nonostante la grave crisi di insicurezza nelle strade, il Congresso insiste sul mantenimento della legge 32108, che indebolisce le indagini sulle organizzazioni criminali. La polizia ha quasi la metà dei suoi veicoli non operativi». Nella prima metà di quest’anno gli omicidi sono in ulteriore aumento (1098 vittime) rispetto al 2024, secondo i dati del Sinadef, il centro di controllo sui decessi gestito dal Ministero della Salute. Un recente sondaggio condotto da Ipsos Perù ha rilevato che il 90% della popolazione peruviana si sente “insicura” quando è per strada, mentre secondo il 70% degli intervistati la situazione è peggiorata rispetto al 2024. «Il paese vive imbavagliato dalla criminalità»ha scritto Ipsos lo scorso febbraio. «Proiettili ed esplosivi vanno e vengono. I crimini fanno parte della vita quotidiana di questo Perù non protetto, il cui governo, in uno stato di negazione e non sapendo cosa fare dal primo giorno della sua amministrazione, ha rassegnato i suoi cittadini all’assoluta insicurezza. Nel frattempo, il paese sembra essersi abituato a convivere con omicidi su commissione ed estorsioni che avanzano a un ritmo costante con le leggi approvate dal Congresso».

Anche per questo il gradimento nei confronti della presidente Dina Boluarte continua a precipitare. L’ultimo sondaggio le accredita appena un misero 3% di approvazione, con un 94% che disapprova apertamente il suo operato. La presidente, peraltro, dovrà ora affrontare una serie di ricorsi legali contro l’amnistia appena promulgata, perché secondo diversi analisti è in contrasto con quanto stabilito dalla Convenzione interamericana dei diritti umani (IACHR), il principale organo giuridico del continente. A chiedere l’inapplicabilità della norma è anche Gino Costa, ex deputato e ricercatore dell’Istituto di studi peruviani (IEP): «Grazie a Dina Boluarte stiamo finendo come Venezuela e Nicaragua», dove è certificata, secondo le parole della presidente della Corte interamericana dei diritti umani, Nancy Hernández, una situazione di “deterioramento democratico”. Anche secondo l’avvocato costituzionale Luciano López Flores, la legge è «chiaramente incostituzionale e contraria alle convenzioni internazionali», e ricorda che la Corte stessa ha già invalidato le leggi di amnistia in altri paesi sudamericani. Al punto che il governo peruviano starebbe ipotizzando un ritiro del paese dalla giurisdizione della IACHR. «Il Perù non è la colonia di nessuno - ha dichiarato la presidente Boluarte -. Non permetteremo l’intervento della Corte».

Insomma, una situazione di altissima tensione e di fragilità dell’assetto politico peruviano (pochi giorni fa è stato arrestato per corruzione il quinto ex presidente, Martin Vizcarra) a pochi mesi dallo svolgimento delle prossime elezioni generali (presidenziali e parlamentari), previste per domenica 12 aprile 2026. L'Ufficio nazionale dei processi elettorali ha già dichiarato che saranno “le elezioni più complesse della storia del Perù”. Con un 73% di peruviani che dichiara di non fidarsi affatto dell’operato degli organismi elettorali, mentre l’apatia e il disinteresse ha ormai conquistato la maggioranza del paeseil 63% dei peruviani afferma di non provare simpatia per alcun partito politico. 

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