SOCIETÀ

L'Europa si (ri)scopre antisemita

“Erano in tanti, urlavano forte. Ho rischiato di essere linciato: se non fossero arrivati i poliziotti mi avrebbero spaccato la testa”. Alain Finkielkraut, filosofo e giornalista francese, settant’anni da compiere tra pochi mesi, figlio d’una coppia di ebrei polacchi riusciti a fuggire ai rastrellamenti nazisti, è tra le ultime vittime dell’ondata di antisemitismo che sta sommergendo la Francia. Vittima di un’aggressione, per fortuna rimasta verbale, il 16 febbraio scorso quando alcuni partecipanti al corteo di gilet gialli, uno dei quali indossava la Kefiah, l’hanno riconosciuto e circondato mentre usciva da casa, gridandogli insulti (“merda sionista”) e minacce (“il popolo ti punirà”). Un episodio eclatante che segna il definitivo ritorno sulla scena sociale e politica dell’odio anti ebraico, chiamato con nome e cognome, senza più maschera, senza vergogna. Ma che al tempo stesso diventa emblema di un fenomeno che sta inesorabilmente scivolando fuori controllo. Perché le cronache raccontano centinaia di micro eventi che nemmeno riescono a conquistare titoli sui giornali al di fuori dei confini francesi. Episodi che presi singolarmente provocano scalpore e un sussulto d’indignazione, ma a osservarli tutti insieme fanno venire i brividi. Perché qualcuno è arrivato a scrivere “Juden” a caratteri cubitali, in quello stesso giallo usato dai nazisti durante la Shoah per identificare gli ebrei, sulle vetrine della panetteria Bagelstein, a Parigi, sull’Île Saint-Louise, nel IV arrondissement. O le svastiche a imbrattare due ritratti di Simone Veil (sopravvissuta all’Olocausto, prima donna a essere eletta presidente del Parlamento Europeo) sulle caselle postali in Place d’Italie, nel XIII arrondissement. Oppure la profanazione, nel cimitero ebraico di Quatzenheim, in Alsazia, di oltre 80 tombe: lapidi imbrattate con scritte e svastiche, con vernice blu e gialla. O ancora le svastiche naziste, accompagnate dalla scritta negazionista “Shoah blabla”, fiorita nel Giardino della memoria, a Champagne-au-Mont-d'Or, nei pressi di Lione. Un’incursione, quest’ultima, avvenuta all’indomani dell’imponente manifestazione del 19 febbraio scorso (ventimila partecipanti a Parigi, migliaia in altre città francesi) per dare voce e forma allo sdegno contro gli attacchi antisemiti. 

In fondo sapevamo che la lebbra antisemita era sempre presente

Il ministro dell'Interno francese, Christophe Castaner, ha dichiarato che nel 2018, in Francia, gli atti contro gli ebrei sono aumentati del 75% in un anno: 541 denunce, quando nel 2017 erano state 311.  "L’antisemitismo si diffonde come un veleno" - ha commentato il ministro. Dati che dimostrano come qualche argine abbia ceduto di schianto. L’intolleranza, l’aggressività verbale e fisica, l’odio culturale e razziale, il terrore strisciante, sono entrati a far parte della quotidianità. Ci si convive. Il messaggio che arriva è: si può. Di nuovo si può. Nonostante siano passati poco più di settant’anni, un’inezia, dalla più colossale persecuzione e massacro di vite umane che la storia ricordi. L’avvocato Jean Veil, figlio di Simone Veil, ha così commentato gli ultimi eventi: «L’antisemitismo è una vecchia storia, ma dopo la guerra nessuno osava manifestarlo. Eppure, in fondo, sentivamo che la lebbra era sempre presente». Il premier francese, Edouard Philippe, li ha definiti «Atti ripugnanti», mentre il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ha dichiarato: "Non voglio abituarmi a questa indignazione", annunciando nuove misure per contrastare l’esplosione di slogan contro gli ebrei diffusi su internet, soprattutto sui social. 

Omicidi e agguati dal 2006

Un netto aumento di episodi, ma il fenomeno è tutt’altro che recente. Qualche esempio: all’inizio del 2006 l’omicidio di Ilan Halimi, un ebreo francese, nato in Marocco, di 24 anni rapito da una banda capeggiata da un fondamentalista islamico. Il ragazzo è stato torturato per tre settimane ed è morto in ospedale, poco dopo il suo rilascio. Sequestro a scopo d’estorsione, ma il tribunale ha riconosciuto l’aggravante dell’antisemitismo. Nel 2012 l’agguato all’ingresso di una scuola ebraica, a Tolosa: quattro morti, un professore, i suoi figli di 3 e 6 anni e una bimba di 8. Nel 2015, due giorni dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo, l’attentato all’Hyper Cacher, un supermercato ebraico nel XX arrondissement, a Parigi: 12 persone prese in ostaggio dai terroristi, 4 morti. Nel 2017 la tragica fine di Sarah Halimi, un’ebrea ortodossa di 65 anni gettata dalla finestra del suo appartamento da un ragazzo, un suo vicino di casa di religione musulmana: la Procura francese, dopo un’iniziale titubanza, ha riconosciuto che si è trattato di un omicidio con motivazioni antisemite. L’anno scorso, sempre a Parigi, l’assassinio feroce di Mireille Knoll, 85 anni, scampata alla Shoah, malata di Parkinson e trovata bruciata nel suo appartamento, dopo essere stata più volte accoltellata. Pochi mesi fa la Cnn ha realizzato un sondaggio, dal quale risulta che un francese su cinque, tra i 18 e i 34 anni, non ha idea di cosa sia l’Olocausto. Lo stesso Alain Finkielkraut, in un’intervista rilasciata al The Times of Israelalcuni mesi prima dell’aggressione subìta, dichiarava: «Sono estremamente preoccupato, per gli ebrei francesi e per il futuro della Francia. L’antisemitismo che stiamo sperimentando oggi è il peggiore che io abbia mai visto nella mia vita e sono convinto che andrà peggiorando».

Così vince la paura. E gli ebrei continuano a fuggire dalla Francia, che ritengono evidentemente terra non più sicura (400mila i residenti in Francia stimati dall’Osservatorio antisemitismo della Fondazione CDEC di Milano), seguendo il consiglio del ministro dell’immigrazione israeliano, Yoav Gallant, che pochi giorni fa su Twitter ha scritto: «Condanno fermamente l’antisemitismo in Francia e faccio appello agli ebrei: rientrate a casa, immigrate in Israele». Solo nel 2018, si stima che 2300 ebrei francesi abbiano lasciato la Francia e fatto l’aliyah, che in ebraico vuol dire “salita”, e indica l’immigrazione in Israele, il ritorno in patria (molti però hanno trovato rifugio in Gran Bretagna o negli Stati Uniti). Ma i numeri confermano che non si tratta di un fenomeno recente, anzi: 5000 partenze nel 2016, 7900 nel 2015, 7200 nel 2014. Un esodo che ha coinvolto circa 55mila persone negli ultimi vent’anni.

Non solo Francia: Germania, Italia, Ungheria e Polonia

Ma l’antisemitismo non è un’emergenza soltanto francese. I numeri della Germania, ad esempio, sono impressionanti: 1.646 reati ascrivibili all’antisemitismo nel 2018, contro i 1.504 nel 2017. Quasi raddoppiati i crimini violenti: 62 contro 37. Altri numeri, ma in preoccupante aumento, anche in Italia: 181 episodi registrati nel 2018 (dall’Osservatorio antisemitismo della “Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea”), dopo i 130 avvenuti sia nel 2017, sia nel 2016. Tra gli atti più odiosi, e dall’enorme valore simbolico, il furto avvenuto la notte tra l’8 e il 9 dicembre 2018, a Roma, nel rione Monti, di venti “pietre d’inciampo”. Erano state realizzate nel 2012 dallo scultore tedesco Gunter Demnig, in memoria dei cittadini ebrei deportati nei campi di concentramento. La Procura di Roma ha aperto un’indagine per furto aggravato dall’odio razziale. Situazioni estremamente preoccupanti anche in Austria e in Polonia. Due mesi fa il vicepresidente della Commissione Europea, l’olandese Frans Timmermans, ha denunciato la presenza di «campagne antisemite in Ungheria». Aggiungendo poi: «Non vi è paese nell'Unione che non sia vittima di questo fenomeno». Secondo un altro sondaggio pubblicato lo scorso dicembre, condotto dall’Unione Europea in 12 paesi tra i cittadini di origine ebraica, il 28% degli interpellati ha dichiarato di essere stato vittima di molestie fisiche o verbali almeno una volta nell'ultimo anno. Il 38% sta valutando l’ipotesi di lasciare l’Europa, mentre il 70% degli intervistati ritiene “non sufficienti” gli sforzi dei governi nazionali per contrastare l’escalation di episodi. Il tema dell’antisemitismo è invece percepito come un problema dal 50% dei cittadini dell’Unione Europea: a stabilirlo è “Eurobarometro 484”, un’indagine sempre realizzata dall’Unione Europea, per analizzare le tendenze dell’opinione pubblica in generale: un problema “molto importante” per il 15%, “abbastanza” per il 35%. Soprattutto in Svezia (l’81% degli intervistati lo ritiene un problema), poi in Francia (72%), Germania (66%), Paesi Bassi (65%), Regno Unito (62%) e Italia (58%). Il 68% dei cittadini europei ritiene che nel loro paese le persone non siano ben informate sulla storia e sulle tradizioni degli ebrei. 

Troppi perché e una società inerte

Sul perché l’antisemitismo sia, pressoché ovunque in Europa, in crescita si potrebbero scrivere alcune enciclopedie. E non esistono giudizi “terzi”. C’è chi tira in ballo ragioni religiose, economiche, politiche, storiche. C’è chi punta il dito contro il radicalismo islamico, chi spiega l’odio come reazione alle politiche israeliane in Medio Oriente, chi accusa il ritorno di un antisemitismo come marchio distintivo della destra estrema, chi addita l’ultrasinistra da sempre a sostegno della causa palestinese, chi ancora sottolinea la crescita dei populismi che stanno condizionando le agende politiche di mezza Europa. Ognuno ha le sue certezze, o i propri dubbi. Ma resta un fatto, incontrovertibile: gli atti contro gli ebrei, non soltanto in Francia, sono diventati quotidianità. E la società, intesa nel più ampio senso possibile, resta sconcertata, ammutolita di fronte a una simile escalation, nonostante le manifestazioni di piazza e le solidarietà, nonostante le indagini di polizia. All’indomani della scoperta della profanazione al Cimitero ebraico di Quatzenheim, il quotidiano cattolico francese La Croixha dedicato all’evento l’intera prima pagina. E un editoriale, nel quale si legge: «La piaga dell’antisemitismo riguarda tutti i francesi. Coloro che sono scesi in piazza ieri per denunciare la banalizzazione dell’odiosanno bene che il loro gesto non metterà fine alle offese antisemite. La risposta non può però essere soltanto la coercizione o la repressione, che non contribuiscono a far cambiare le mentalità e le convinzioni, specialmente in coloro che sono immersi in un’atmosfera di cospirazione. Gli atti antisemiti, compiuti da individui isolati, possono essere anche frutto di una disperazione economica, culturale e sociale che li favorisce. E di questo noi tutti siamo responsabili».

 

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