SCIENZA E RICERCA

L'impatto ambientale dei data center

L’attività dei computer ha come effetto collaterale la produzione di calore. Un calore residuo che è - di fatto - uno spreco di energia. Allora perché non utilizzarlo come fonte di riscaldamento? È quello che si sono detti ai Laboratori Federali Svizzeri per le Scienze dei Materiali e la Tecnologia (Empa) dove sta per essere installato un nuovo data center che sfrutterà il calore prodotto dai server per riscaldare l’edificio che lo ospita. Come ricorda lo stesso Empa, si tratta di un micro data center che servirà soprattutto a testare il concetto e esplorarne le potenzialità. Altri due data center simili verranno installati anche in Turchia e nei Paesi Bassi all’interno di un progetto più ampio sulla sostenibilità ambientale dei data center che si chiama ECO-Qube.

Quanto consumano i data center

Il tema della sostenibilità dei data center, strutture che indirettamente utilizziamo tutti noi nella vita quotidiana quando facciamo ricorso a servizi in cloud, è al centro di un grosso dibattito all’interno del settore e non solo. I giganti digitali della Silicon Valley pubblicano quasi tutti un report annuale sul proprio impatto ambientale. Nel caso di Google, per esempio, negli ultimi anni è diventato uno dei maggiori investitori nel settore delle rinnovabili a livello planetario. In più, Google mette a disposizione un servizio, Carbon Footprint, che permette di calcolare la propria impronta ecologica rispetto all’utilizzo dei servizi in cloud.

Amazon, che proprio nel settore del processamento dei dati in cloud ha uno dei suoi business più redditizi, continua invece a mantenere una certa opacità sui propri consumi di energia elettrica. Lo raccontava poco più di un anno fa su Forbes Robert Bryce, un esperto di energia e consumi in ambito industriale, e lo conferma l’ultimo bollettino ufficiale della stessa Amazon, che parla di un aumento del 19% dei consumi di elettricità nel 2020 rispetto all’anno precedente.

Secondo uno studio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), a oggi i data center contano per l’1% della domanda globale di elettricità. Secondo una ricerca finanziata dalla Direzione generale delle reti di comunicazione, dei contenuti e della tecnologia della Commissione Europea, già nel 2018 i data center presenti nei paesi dell’Unione contavano per il 2,7% dei consumi di energia elettrica, con una previsione di aumento sostanziale negli anni successivi.

NEST: oltre le rinnovabili

Sempre su Forbes, nel maggio scorso Asaf Ezra, cofondatore di Granulate, un’azienda che si occupa di ottimizzazione del calcolo in tempo reale, sosteneva che quello che stanno facendo le grandi aziende - comperare energia rinnovabile - non sarà sufficiente a ridurre l’impatto dei data center sull’ambiente. C’è bisogno di fare qualcosa in più e di diverso. L’idea di utilizzare il calore generato dai computer per riscaldare un edificio non significa solamente sfruttare uno scarto per recuperarlo a nuovo utilizzo, ma pensare di progettare i data center in modo diverso. Fino a oggi, infatti, i computer che li compongono si trovano in anonimi capannoni lontano dai centri abitati. Come sottolineano all’Empa, molti sono addirittura posizionati alla latitudini più nordiche possibili per cercare di sfruttare le basse temperature locali per il raffreddamento dei sistemi.

Come mostra il grafico qui sopra, infatti, il raffreddamento attraverso il condizionamento o altri sistemi, è una delle componenti più energivore del funzionamento di un data center. Utilizzare il calore per il riscaldamento degli edifici significa risparmiare anche in questi termini, ma vuol dire anche pensare di costruire i data center direttamente negli edifici, nel caso di NEST dentro a una delle nuove palazzine dei Laboratori Federali.

 

Ma c’è di più

Il progetto dietro al nuovo data center di NEST offre però l’occasione anche per testare nuove tecnologie in altri campi. Per esempio, secondo i dati messi a disposizione dal progetto ECO-Qube, l’utilizzo medio dei computer dei data center è compreso tra l’11 e il 14%. Il che significa che per la maggior parte del tempo i data center sono inattivi (“idle”, come si dice in gergo), ma continuano a consumare senza contribuire al processamento dei dati. ECO-Qube sfrutta un sistema basato sull’intelligenza artificiale che permette di gestire il carico di lavoro in maniera più efficiente, anche dal punto di vista energetico.

All’interno del data center, ancorché micro, il monitoraggio del calore prodotto permette di individuare in quale zona di server è più efficiente andare a caricare il lavoro di calcolo per ottenere il massimo in termini di prestazioni. Le CPU, infatti, funzionano al meglio se non si surriscaldano. Ma questo significa anche che in tempo reale dovrebbe essere possibile spostare i carichi di lavoro per mantenere un equilibrio termico che comporta anche un minor impatto in termini di spreco di calore.

Per il Green New Deal, nel 2030 tutti i data center nell'UE dovranno essere "climate neutral"

I data center carbon neutral

I risultati di ECO-Qube e dei nuovi micro data center arriveranno nei prossimi anni, nel frattempo, almeno a livello dell’Unione Europea, il tema della loro sostenibilità è necessariamente centrale. Una delle misure contenute nella serie di iniziative europee che vanno sotto il nome di Green New Deal prevede che entro il 2030 i data center nell’Unione Europea diventino neutrali dal punto di vista climatico. Potrebbe non bastare, come scriveva Ezra, ma ci sarà sicuramente un ricorso sempre maggiore alle rinnovabili come fonte privilegiata di energia. È il caso per esempio del nuovo supercomputer che nel 2022 dovrebbe diventare operativo a Bologna. Leonardo sarà uno dei cinque computer più potenti al mondo e fin dalla sua progettazione si è privilegiato l’approvvigionamento energetico da rinnovabili: metà dell’energia che lo alimenterà sarà da fonti rinnovabili. Ciononostante, il suo funzionamento consumerà come una città di 180 mila abitanti

 

Il nuovo supercomputer del CINECA di Bologna consumerà energia come una città di 180 mila abitanti. Metà dell'elettricità che utilizzerà sarà prodotta da rinnovabili

È per questo motivo che all’interno della comunità scientifica che utilizza sempre più massicciamente grandi potenze di calcolo per le proprie ricerche si comincia anche a domandarsi se tutti i calcoli che vengono richiesti ai data center siano davvero necessari. Per esempio, recentemente uno studio pubblicato su Nature Astronomy condotto sui consumi energetici della comunità di astrofisici e cosmologi australiani mostra come oltre la metà derivi proprio dall'impiego dei supercomputer. Si parla di affinare le domande che poniamo ai data center, all’individuazione di strade alternative per ottenere gli stessi risultati (con minor costo energetico) e altro. Certo, in alcuni casi non si può sostituire la forza bruta del calcolo. Allora ben vengano maggiori esperimenti per rendere più efficiente i data center, a cominciare - perché no? - dal riscaldamento degli edifici.

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