Foto di Wendy Wei Pexel
“Il lavoro delle organizzazioni culturali è fondamentale se si vuole realizzare lo sviluppo sostenibile a livello locale e nazionale”. L’incipit del documento rilasciato da ASviS e redatto dal gruppo “Cultura per uno sviluppo sostenibile" parla in modo chiaro e diretto. Ma cosa significa sviluppo sostenibile? C’è una definizione che è diventata quella ufficiale ed è da attribuirsi al Rapporto Brundtland, che dice che “lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Per fare ciò quindi, non si può prescindere dalle organizzazioni culturali in nessun caso né se ci riferissimo al livello locale, né a quello nazionale. Le organizzazioni culturali sono tutti quegli enti o associazioni che vanno dall’insieme delle istituzioni culturali nazionali, civiche, d’impresa e private (come ad esempio i musei, le biblioteche, gli archivi o teatri, dai centri di produzione culturale pubblici, privati e non-profit fino alle cosiddette industrie culturali e creative (come l’editoria, l'audiovisivo, la musica e produzioni culturali tradizionali e digitali. Non sono poi da escludere gli enti del terzo settore a vocazione sociale che svolgono attività culturale.
Insomma se vogliamo uno sviluppo che sia veramente sostenibile non si può fare a meno della cultura e di conseguenza di tutte quelle persone che con la cultura ci lavorano. Nel pieno della pandemia da Covid-19 ricordiamo un’infelice battuta di un ex premier che disse di non dimenticare gli artisti “che tanto ci fanno divertire”, ecco ora potremmo cambiare l’affermazione in “che tanto ci permettono di progredire in modo sostenibile e senza compromettere le generazioni future”.
Ma perché le organizzazioni culturali sono così importanti? Innanzitutto bisogna capire il perché lo sono e uno degli obiettivi del rapporto dell’ASviS, o per meglio dire del position paper, è proprio quello di aiutarci in questa comprensione. Non sempre i risultati delle organizzazioni culturali sono quantificati e quantificabili sia perché le organizzazioni coinvolte nella formazione, produzione, distribuzione, diffusione, conservazione e promozione della cultura sono numerose sia perché atavicamente “le organizzazioni culturali hanno scarsa dimestichezza a quantificare gli obiettivi; inoltre, i dati sono scarsi e difficilmente comparabili”.
Il lavoro dell’ASviS però serve proprio a comprenderne meglio l’importanza, alla luce del fatto che l’Agenda 2030 non fa un esplicito riferimento al ruolo della cultura. Nel position paper dell’alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile però si ribadisce che “le organizzazioni culturali contribuiscono alla tutela del patrimonio, come indicato nel Target 11.4 del Goal 11 “Città e comunità sostenibili”: “Rafforzare gli impegni per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo””.
Le stesse sono poi impegnate in favore dell’ambiente, e su questo il documento riporta dei dati dell’Osservatorio Innovazione digitale nei beni e attività culturali della School of management del Politecnico di Milano, in cui si dice che “l’83% delle istituzioni museali italiane e l’84% dei teatri ha intrapreso interventi per la sostenibilità ambientale”. Tali interventi sono mirati in particolare all’efficientamento energetico, al riuso e il riciclo dei materiali (49%) e per attività di sensibilizzazione del personale su comportamenti virtuosi (45%).
Le attività culturali però possono essere destinate anche a contrastare la povertà educativa, cioè a raggiungere il Goal 4 “Istruzione di qualità”, a ridurre il tasso di giovani disoccupati che non studiano né si formano (Goal 8 “Lavoro dignitoso e crescita economica”) o a costruire uno spazio digitale pubblico per la cittadinanza (Goal 16 “Pace, giustizia e istituzioni solide”).
Gli esempi concreti citati nel documento sono diversi, dal progetto bibliotecario finanziato da Erasmus+ e destinato alla reintegrazione scolastica dei NEET (not in education, employment or training) chiamato CITYFUL al programma TECH che adatta i servizi bibliotecari alle persone con disabilità, fino a DigEDUCATI, finanziato da Fondazione Cariplo che vuole contrastare la povertà educativa nei bambini 6-13 anni.
Quello dell’ASviS è un position paper e quindi per sua natura incentrato nel far emergere un’opinione forte, ma il sillogismo che portano avanti non è campato in aria. Si dice che la “la cultura è il petrolio dell’Italia” e “allora è necessario che i settori culturali siano riconosciuti come una parte centrale del made in Italy” affermano. Tutto ciò inoltre, consapevoli che “l’Italia è tra i Paesi in Europa con i più bassi livelli di consumo culturale” e che il nostro paese è tra quelli che investono meno in spesa culturale in rapporto al proprio prodotto interno lordo. Secondo l’analisi inserita nel documento, meno del 50% delle persone con età uguale o superiore a 16 anni avrebbero partecipato ad almeno un’attività culturale negli ultimi 12 mesi.
C’è infine un’urgenza che è di tipo ambientale ed è la necessità di conservare e tutelare il patrimonio culturale dalle conseguenze del cambiamento climatico, garantendo una gestione congiunta del paesaggio culturale e naturale. Necessità che deve per forza di cose presupporre nuovi investimenti. Riassumendo, il position paper dell’ASviS mette in evidenza lacune e necessità di un settore cardine del nostro Paese, da cui non si può prescindere in nessun ambito, da quello sociale a quello economico.