SCIENZA E RICERCA
L'influenza non circola: la conferma arriva anche dalle piattaforme web europee
La possibilità che durante la stagione invernale i contagi di SARS-CoV-2 e influenza avanzassero insieme e in modo esteso era una preoccupazione molto diffusa.
Un editoriale di Science aveva definito questo scenario la “tempesta perfetta” da evitare e aveva sottolineato il rischio di una forte pressione sui sistemi sanitari dei diversi Paesi, già alle prese con l’emergenza della pandemia.
La buona notizia è che l’influenza è invece quasi scomparsa in modo omogeneo in tutto il mondo. Era già accaduto nei mesi scorsi nell’emisfero australe e adesso la stessa dinamica si sta verificando in quello boreale.
Restringendo lo sguardo all'Italia il monitoraggio dell’Iss, presentato settimanalmente nel rapporto epidemiologico Influnet, mostra che nella 2° settimana del 2021 l’incidenza delle sindromi simil-influenzali è stata pari a 1,5 casi per mille assistiti. Un calo di oltre cinque volte rispetto alla scorsa stagione quando, nella stessa settimana, il livello di incidenza era pari a 8,5 casi per mille assistiti. In tutte le Regioni che hanno attivato la sorveglianza la circolazione dell’influenza si mantiene sotto la soglia basale, stabilita a 3,5 casi per mille assistiti. Mancano però i dati di Sardegna, Campania, Calabria e della provincia di Bolzano che, a causa delle difficoltà legate all’emergenza Covid-19, non hanno ancora attivato il monitoraggio. Nella settimana presa in esame non sono pervenute anche le rilevazioni della Basilicata.
Un'incidenza nazionale pari a 1,5 casi per mille assistiti porta a stimare che tra l'11 e il 17 gennaio 2021 si sono ammalate di influenza circa 89 mila persone. Se consideriamo l'intero periodo della stagione influenzale 2020/2021 (la sorveglianza comincia alla 42° settimana dell'anno) i casi stimati sono circa 1.478.000, un numero molto più basso rispetto al 2019/2020 quando, nell'arco dell'intero monitoraggio, l'influenza aveva colpito oltre 7 milioni e mezzo di persone.
L'abbattimento della circolazione dei virus influenzali è dovuto in larga misura alle misure di contrasto a SARS-CoV-2: come era prevedibile l’uso delle mascherine, il lavaggio frequente delle mani, le ridotte occasioni di contatto e il distanziamento sociale aiutano a limitare fortemente la circolazione di tutti i virus respiratori e quindi anche dell’influenza.
Le campagne di vaccinazione antinfluenzale hanno contribuito ad appiattire la curva dei contagi ma il loro ruolo, pur importante, non è stato decisivo. Lo ha spiegato in un’intervista a Quotidiano Sanità Antonino Bella del dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità e responsabile della sorveglianza epidemiologica InfluNet, sottolineando che “è molto difficile dimostrare che la vaccinazione possa definire il trend dell’influenza in quanto ogni anno, purtroppo, solo 18% della popolazione si vaccina a differenza della fascia degli over 65 dove le percentuali arrivano al 54%”. E’ probabile che quest’anno più persone rispetto al passato abbiano scelto di effettuare la profilassi influenzale, ad esempio negli Stati Uniti il numero di vaccinati è passato dal 42% del 2019 al 53% del 2020, ma il contenimento dei contagi "sembra dipendere soprattutto dalle misure di prevenzione adottate per la pandemia".
Solitamente il picco epidemico stagionale nel nostro emisfero arriva tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio. Avere una circolazione al di sotto della soglia basale proprio a ridosso del periodo più critico dell'anno porta a ritenere che, se anche l'incidenza dovesse aumentare nel corso delle prossime settimane, rimarrà comunque nettamente al di sotto dei livelli delle passate stagioni.
E' stato anche osservato che i dati di quest'anno rischiano di non essere del tutto completi sia perché la pandemia può aver spinto molti pazienti a non frequentare gli ambulatori, sia perché gli stessi medici hanno dovuto dedicare molte risorse ai casi più severi di Covid-19, con possibili ripercussioni sulla capacità di monitorare malattie che in linea generale sono meno gravi. La sorveglianza tradizionale dell'influenza si basa infatti sulle segnalazioni dei "medici sentinella", una rete costituita da medici di medicina generale e di pediatri di libera scelta, reclutati dalle Regioni, che segnalano i casi di sindrome simil influenzale osservati tra i loro assistiti. E, confrontando i dati della seconda settimana di gennaio con quelli dello stesso periodo degli anni precedenti, si rileva anche una diminuzione nel numero di medici sentinella che hanno contribuito al monitoraggio: 738 contro una media che in passato era sempre superiore a 1.000.
Per questo motivo quest'anno assume una particolare rilevanza il lavoro di altre realtà che collaborano al monitoraggio dell'influenza. Il punto di riferimento a livello europeo è InfluenzaNet, una piattaforma web che riunisce dodici Paesi - Danimarca, Francia, Germania, Italia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Olanda e Belgio - e che ha mostrato tutte le sue potenzialità già durante la pandemia influenzale provocata dal virus H1N1 nel 2009. Oggi questo strumento conta sull'aiuto di circa 200 mila volontari. La partecipazione è abbastanza eterogenea ma ci sono Paesi che hanno quasi 10 mila utenti attivi che ogni settimana accedono alla piattaforma e compilano un questionario per riferire se hanno avuto dei sintomi, ed eventualmente quali, oppure se non hanno manifestato alcun sintomo.
"InfluenzaNet - spiega a Il Bo Live Daniela Paolotti, epidemiologa digitale e ricercatrice della Fondazione Isi - si basa sul supporto di volontari che riportano il proprio stato di salute tramite piattaforme web e mobile. L’idea alla base del progetto è quella di riuscire a raccogliere dati da quelle persone che quando si ammalano di influenza tipicamente non vanno dal medico, una cosa che succede alla maggior parte degli adulti sani e che può rendere più difficile stimare con precisione la circolazione del virus influenzale nella popolazione generale".
L'intervista completa a Daniela Paolotti, epidemiologa digitale e ricercatrice della Fondazione Isi, sul progetto InfluenzaNet. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar
"Il progetto InfluenzaNet - introduce Daniela Paolotti, ricercatrice della Fondazione Isi - è una rete europea di monitoraggio web per le malattie influenzali e ha più di dieci anni di vita. E’ nata con la precedente pandemia provocata dal virus H1N1 e l'obiettivo è utilizzare il supporto di volontari che possono riportare il proprio stato di salute tramite piattaforme che consentono la raccolta di dati con un’alta risoluzione nel tempo e nello spazio rispetto alla circolazione del virus influenzali".
Lo scopo è quindi intercettare una fascia di popolazione che solitamente quando si ammala di influenza non va dal medico ma che è disponibile a dedicare qualche minuto del proprio tempo, ogni settimana, per compilare un questionario in cui riferire il proprio stato di salute tramite un'applicazione per mobile o una pagina web. "E' proprio su questo aspetto che ci siamo focalizzati già dal 2008 con un progetto italiano, nato alla Fondazione Isi, che si chiama Influweb", spiega Paolotti.
Influweb, che in Italia è l'unico sistema riconosciuto dall'Istituto superiore di sanità per studiare i sintomi presentati dai malati che non fanno ricorso al sistema sanitario, "ci ha permesso di affrontare la pandemia influenzale del 2009, causata dal virus H1N1, con una nuova piattaforma, appena sviluppata, volta a raccogliere dati con un’adeguata granularità dalla popolazione generale in diversi Paesi europei. In questo modo siamo stati in grado di affrontare la prima ondata epidemica nel mese di giugno in Gran Bretagna, quando ancora nel resto d’Europa non si erano registrati casi di H1N1, e poi in seguito tutta l’ondata influenzale autunnale che ha interessato l'intero continente e che ha portato all’estensione di queste piattaforme in tutti i Paesi dell’Europa occidentale".
"Il nostro approccio - prosegue l'epidemiologa digitale Daniela Paolotti - ha avuto un grande successo sia di pubblico, sia scientifico perché sin da subito si è dimostrato molto utile per fornire dati per i modelli di propagazione delle malattie influenzali. Sono quei modelli di cui oggi sentiamo spesso parlare sui media ma che dieci anni fa rimanevano qualcosa per gli addetti ai lavori e i dati dettagliati sui casi nfluenzali nella popolazione generale erano di difficile reperibilità, soprattutto con una granularità spaziale e temporale adeguata. E così un progetto che era nato sulla spinta dell'urgenza legata alla pandemia da virus H1N1, per supportare la raccolta di dati finalizzati ai modelli epidemiologici, si è rivelato negli anni uno strumento di monitoraggio importantissimo per la sanità pubblica in tutti i Paesi europei in cui sono attive queste piattaforme".
InfluenzaNet affianca quindi in modo integrato l'attività dei medici sentinella attraverso un'esperienza di sorveglianza partecipatoria . "La sua affidabilità è stata tale che anche le agenzie europee come l’European Center for Disease Control o la divisione europea dell’Oms pubblicano i nostri dati nei loro bollettini settimanali che riportano l’andamento dell’influenza. Questo è possibile perché in tutti i Paesi in cui la piattaforma è attiva siamo in grado di monitorare l’influenza in modo totalmente complementare rispetto a quello della sorveglianza tradizionale che si basa sull’attività dei medici sentinella, cioè quei medici che effettuano il monitoraggio dei pazienti che mostrano sintomi riconducibili all’influenza e vengono quindi riportati come casi di influenza nelle statistiche ufficiali", approfondisce Paolotti.
Ma in un monitoraggio che si basa sulle informazioni fornite dagli utenti, senza l'intermediazione di un medico, come si fa ad avere la certezza che i volontari interpretino correttamente i propri sintomi? Non c'è, ad esempio, il rischio che un raffreddore pesante sia scambiato per influenza? La ricercatrice assicura che non è così: "nei Paesi in cui la piattaforma è attiva il monitoraggio mostra un andamento molto vicino a quello trovato dai medici sentinella. E’ quindi un segnale decisamente robusto e affidabile che è in grado di catturare la circolazione delle sindromi influenzali distinguendole da altre patologie respiratorie".
"Noi - prosegue l'epidemiologa digitale Daniela Paolotti - raccogliamo i sintomi individuali manifestati dai nostri utenti e poi utilizziamo le definizioni cliniche validate in letteratura per classificare la sindrome dei partecipanti. Questo è sostanzialmente anche quello che fanno i medici sentinella in quanto l’influenza viene monitorata con quella che è chiamata sorveglianza sindromica: a livello di routine non c’è la conferma virologica, se non su un campione abbastanza piccolo delle persone che vengono visitate".
Quest'anno, a causa dell'emergenza Covid, il protocollo italiano prevede che ad eseguire il tampone per la conferma virologica delle sindromi influenzali non siano direttamente i medici sentinella ma la Asl competente a cui il medico appartiene. Nel nostro Paese i dati di InfluNet-Vir mostrano che durante la seconda settimana di gennaio nessuno dei 149 campioni analizzati è risultato positivo al virus influenzale.
Nella maggioranza dei casi le diagnosi del medici sentinella sono basate sui sintomi e l'influenza presenta dei tratti distintivi facilmente riconoscibili anche in autonomia. "Ha delle caratteristiche talmente peculiari che la distinguono da un raffreddore: innanzitutto i sintomi possono insorgere molto rapidamente, nel giro di 6-12 ore e la febbre può salire molto. Inoltre, mentre un raffreddore in genere si risolve nei giro di qualche giorno, nel caso dell’influenza la durata dei sintomi è maggiore. A questo va aggiunto il fatto che l’influenza crea anche una serie di problemi sistemici come dolori muscolari e stanchezza", puntualizza Paolotti, precisando che i dati di InfluenzaNet "si basano sui sintomi individuali" che vengono poi "aggregati in base alla definizione di influenza like illness".
L'arrivo di SARS-CoV-2 può rendere più complessa la diagnosi ma sebbene possa manifestarsi con sintomi in parte sovrapponibili a quelli dei virus influenzali "stiamo constatando - afferma Paolotti - che le due patologie si distinguono bene. Raccogliendo i dati degli utenti e poi applicando le definizioni sia di sindromi influenzali, sia di casi di Covid-19, si ottengono segnali diversi e l’aspetto più interessante è che l’influenza non c’è o quantomeno presenta un segnale veramente basso, non solo in Italia ma in tutti i Paesi coinvolti nell’iniziativa. In questa decade sono stati creati progetti molto simili in altre parti del mondo, ad esempio negli Stati Uniti con Flu Near You e in Australia e Nuova Zelanda con FluTracking e anche i dati dei nostri partner vanno nella stessa direzione. Da noi probabilmente è ancora presto per trarre conclusioni definitive ma per il momento il segnale relativo alla circolazione dell’influenza è veramente piatto e questo ci conforta perché non andrà ad aggravare l’impatto sulle strutture sanitarie".
Piattaforme come InfluenzaNet permettono di raccogliere anche informazioni sui fattori di rischio per l’influenza e sull'adesione alle campagne di vaccinazione. "Negli anni abbiamo studiato quali sono i fattori comportamentali e di stile di vita che sono molto correlati con l’ammalarsi di influenza e abbiamo osservato che essere fumatori e vivere con dei bambini sono fattori più correlati rispetto, per esempio, all’utilizzo dei mezzi pubblici. Nei prossimi mesi proveremo a ripetere questo tipo di studi anche per Covid-19", aggiunge la ricercatrice della Fondazione Isi. Per quanto riguarda la vaccinazione antinfluenzale "il rate tra i nostri volontari è in linea con quello dei vari Paesi europei anche se nella fascia di età sopra ai 65 anni è addirittura superiore. E nelle prossime settimane inizieremo a chiedere informazioni anche sulla vaccinazione contro SARS-CoV-2".
"Altri dati interessanti che abbiamo raccolto durante la prima ondata di Covid-19 sono relativi alla percezione del rischio. Tra febbraio e aprile 2020 in alcuni Paesi del network abbiamo proposto un questionario che permettesse di stimare il rischio percepito per se stessi e per gli altri rispetto al nuovo coronavirus e lo abbiamo ripetuto tre volte per capire se questa percezione cambiava nel tempo. Abbiamo scoperto che a febbraio, nonostante ci fosse un’ampia allerta internazionale e si stava per entrare nel momento di massima emergenza, la percezione del rischio individuale, soprattutto in termini di probabilità di ammalarsi con sintomi gravi, era molto bassa ed è aumentata verso la fine del primo lockdown. Queste informazioni sono particolarmente importanti quando si vogliono costruire dei modelli di adozione di misure protettive, come le mascherine o il distanziamento sociale, perché la percezione del rischio potrebbe rendere le persone troppo sicure e convinte del fatto che la malattia non li riguarderà. Sono dati molto rilevanti per chi fa modelli, soprattutto per studiare le primissime fasi di una malattia di tipo pandemico", sottolinea Daniela Paolotti.
E quando finalmente ci lasceremo alle spalle la pandemia da Covid-19 riusciremo a tenere ancora lontana anche l'influenza? E' una domanda che si stanno ponendo in molti e che porta a riflettere sull'opportunità di mantenere anche in futuro alcuni comportamenti che adesso sono diventati parte del nostro vivere quotidiano.
"La percezione del rischio è cambiata e ha modificato anche le abitudini delle persone: il fatto che l’influenza non stia circolando è dovuto con tutta probabilità all’adozione di massa di misure protettive come le mascherine, il lavaggio delle mani e il distanziamento sociale. E adesso in molti si chiedono se, anche quando la pandemia di Covid-19 finirà, potrebbe essere una buona pratica continuare ad indossare le mascherine d’inverno nei luoghi chiusi, adottare misure di igiene più attente e aumentare misure protettive che precedentemente venivano considerate inutili. Stiamo infatti vedendo l’impatto di questo cambiamento sulla circolazione di una malattia come l’influenza che davamo tutti per scontata e che invece sembra essere fortemente condizionata da questo tipo di misure sociali", conclude Paolotti.
Immaginare di continuare ad avere queste precauzioni anche quando la pandemia sarà finita può sembrare un grande sacrificio, ma anche una semplice accortezza come quella di non uscire se si hanno sintomi febbrili potrebbe essere un punto di inizio. Come ci ricorda in questo articolo Antonio Massariolo ci sono stagioni in cui l'influenza ha un impatto rilevante sull'eccesso di mortalità, sia in Italia che nel resto d'Europa. Adesso però abbiamo capito che il suo ritorno non è ineluttabile, ma qualcosa che dipende in larga parte da noi.