SCIENZA E RICERCA
L'intelligenza artificiale e l'arte senza fine
"Il tempo consuma" di Michele Sambin. L'opera restaurata in funzione
Now and then (and tomorrow): preserving, re-activating and sharing interactive multimedia artistic installation creativity by means of AI and Metaverse(s) è il lungo titolo di un progetto ambizioso e complesso pensato per conservare e riattivare installazioni artistiche interattive attraverso l'intelligenza artificiale. Audio Innova, spin-off del CSC - Centro di Sonologia Computazionale, specializzato nell’uso di algoritmi per la tutela e la riscoperta dei beni culturali, con particolare attenzione ai suoni, replicando il successo dell'anno scorso, ha vinto il World Artificial Intelligence Cannes Festival, concorso internazionale che premia i progetti di intelligenza artificiale più innovativi tenendo conto anche del loro impatto sulla società o sul pianeta.
"Il tempo consuma", così a Cannes si apre lo speech di Anna Zuccante, laurea in computer engineering alll’università di Padova, dottoranda in ingegneria dell'informazione, coinvolta nello spin-off da Sergio Canazza del CSC insieme a Giada Zuccolo e Cristina Paulon. La citazione riporta a una delle prime opere su cui il gruppo ha lavorato: Il tempo consuma di Michele Sambin, performance del 1978, riprogettata e riattivata dal gruppo di ricerca che ha convertito il video-loop analogico della fine degli anni Settanta in dispositivo digitale. “Il tempo consuma le immagini, il tempo consuma i suoni” è la frase pronunciata dall'artista, come un metronomo: questo progetto dimostra che non tutto è perduto, l'usura del tempo e i limiti di tecnologie superate posso essere risolti.
"Il tempo consuma", il modello 3D originale
"Il tempo consuma anche l’arte. E questo è ancora più vero per le installazioni artistiche interattive e multimediali - spiega Zuccante -. Potrebbe sembrare sciocco, ma più è recente il supporto mediale, più veloce è il degrado. Pensaci: puoi leggere un libro di secoli fa, ma ti sfido ad accedere al contenuto di un floppy disk degli anni Ottanta. Per non parlare dei sensori e dei dispositivi. Le installazioni artistiche interattive basate su di essi rischiano di scomparire, e con esse una grande quantità di opere creative. Preservare e riattivare queste opere è essenziale per fermare il loro processo di invecchiamento, in modo che siano disponibili per le generazioni future". Per dare forza al proprio intervento, cita poi la scrittrice Margaret Atwood, ricordando che “quando una civiltà è ridotta in polvere e cenere, l'arte è tutto ciò che rimane. Immagini, parole, musica".
Dunque, attraverso l’utilizzo di tecnologie basate sull'intelligenza artificiale, con un approccio innovativo, vengono memorizzati e riattivati i dati di performance e installazioni artistiche interattive. Si tratta di una tecnologia di conservazione multilivello in cui l'interpretazione di un'opera creativa è descritta come un processo dinamico. Gli algoritmi di deep learning analizzano tutti gli elementi dell'installazione, scelgono i dati più rilevanti e li memorizzano in modo efficace nel DPO, Digital Preservation Object, che include informazioni sull’ambiente della performance, documenti e interviste. Oltre all’opera di Michele Sambin, tra i vari interventi, il gruppo ha lavorato sull’installazione realizzata nel 1999 da Carlo De Pirro dal titolo Il caos delle sfere, con un flipper interfacciato a un pianoforte disklavier.
Il tempo consuma, l'originale è del 1978
“Il Centro di Sonologia Computazionale fa musica da settant'anni - racconta Canazza al Bo Live -. Abbiamo iniziato occupandoci della conservazione di quello che abbiamo fatto noi: disponiamo infatti di uno dei dataset digitali più importanti al mondo sulla nuova musica contemporanea. Fin dagli anni Settanta molti musicisti o videoartisti hanno iniziato a utilizzare installazioni interattive multimediali basate su tecnologie, in particolare nel campo della sensoristica, che spesso oggi non sono più fruibili. Anche queste infatti invecchiano. Qui l’espressione artistica non consiste solo in un filmato o in un suono, ma anche nell’interazione con l’opera da parte dell’artista e del pubblico: conservare queste forme d’arte vuol dire in qualche modo conservare tutto questo. Così come conserviamo i nastri magnetici e i film, abbiamo dunque pensato a come catalogare e rendere accessibili questi dati utilizzando l’AI. Un problema non da poco, visto che spesso tali opere sono basate su prototipi o tecnologie non prodotte industrialmente, quindi molto difficili da conservare”.
“L’intelligenza artificiale che utilizziamo è di tipo non generativo: non si tratta di sistemi addestrati per produrre cose nuove (o false), per esempio fake news o la decima sinfonia di Beethoven - continua Canazza -. Non sono contro l’AI generativa ma questa implica questioni enormi e rappresenta un rischio, mentre noi operiamo su un versante completamente diverso come l’arte e la cultura, utilizzando gli algoritmi per selezionare le informazioni più importanti e per colmare i vuoti”.
Oltre a quello dell’accessibilità ci si pone l’obiettivo della sostenibilità. “Non ci sono risorse per selezionare decine di migliaia di ore video, perciò abbiamo iniziato a pensare all’AI”. Giada Zuccolo, laureata magistrale in ICT for internet and multimedia all’università di Padova, si occupa soprattutto di sound and music computing, in particolare di sviluppo di applicazioni interattive. È attualmente assegnista di ricerca al CSC del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione, dopo aver vinto il bando Roads to Oral Archives and Sustainability (ROADS), Progetto di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN), finalizzato al recupero e alla conservazione di archivi orali degli ultimi cinquant’anni, abilitando in questo modo l’attività di ricerca di studiosi nei campi della linguistica, della glottologia, della storia orale, dell’etnomusicologia. “La struttura multilivello serve a creare continuità nelle versioni di un’opera - spiega Zuccolo -. Lo scopo è salvare queste opere nel metaverso virtuale, dove il mondo reale si unisce a quello digitale, accessibile con il computer oppure con cuffie e visore per un’esperienza più immersiva. In futuro, con questo sistema, potremo visitare gallerie d’arte virtuali e interagire direttamente con la versione digitale delle varie opere. Il problema è che al momento il metaverso è ancora un far west, mancano standard definiti e validi per tutti e quindi ognuno si fa il suo”.
A proposito di standard, Canazza aggiunge e conclude: “È un aspetto sul quale stiamo cercando di lavorare. Internet e l’informatica sono basati sulla standardizzazione, un elemento che manca ancora nel mondo dell’intelligenza artificiale e appunto nel metaverso. Attualmente stiamo cercando di aiutare a fare qualche passo avanti; in questo campo oggi è utopico pensare a una normativa calata dall’alto: piuttosto pensiamo di offrire servizio di software per mettere in collegamento i vari metaversi già esistenti”.