CULTURA

L’intramontabile Javier Marías

I romanzi attraversano i tempi, tutti. Si tratta forse della forma d’arte che più delle altre, nei secoli, è rimasta fedele a se stessa, anche se in molte occasioni si è gridato alla “morte del romanzo” (era il 1980 e così titolava un grosso quotidiano, peccato che proprio in quei giorni usciva Il nome della rosa di Eco).

Attualmente di romanzi ne escono tantissimi ogni anno, per editori di tutti i tipi: gli stessi uffici stampa sanno che dovranno scegliere quale autore rispetto a un altro privilegiare nel “lancio”, e non necessariamente per ragioni di merito. Il turnover, poi, è velocissimo. Brevissima è la “vita” ipotetica di un libro: in libreria è un continuo aprire pacchi e prevedere resi.

E poi ci sono quei romanzi che non hanno confini di tempo, che possono essere scritti oggi, ieri, due, dieci o cento anni fa e sempre meritano di essere letti e riletti.

Uno di questi è Un cuore così bianco dello spagnolo Javier Marías (Einaudi), il romanzo con cui lo scrittore nel 1992 ha conquistato i lettori di trenta paesi e ha raggiunto la fama: da allora è considerato uno dei migliori esponenti della letteratura contemporanea mondiale. Negli anni, poi, e con titoli altrettanto belli (Domani nella battaglia pensa a me del 1994, Così ha inizio il male del 2017 o l’ultimo Berta Isla solo per citarne alcuni), ha abituato i lettori ai suoi tratti peculiari che in Un cuore così bianco ci sono già tutti.

L’incipit folgorante. Che dire se un pranzo di famiglia venisse sconvolto da una morte, anzi da un suicidio? Qui la giovane Teresa, di ritorno da poco dal viaggio di nozze con il padre di Juan, voce narrante della storia, si alza silenziosamente da tavola e va in bagno, si denuda il petto e si spara al cuore. Quando, poco dopo, viene trovata, lo sguardo del narratore – che riferisce a distanza di anni – indugia sui particolari “quotidiani” di una situazione sconvolta e sconvolgente, cifra inconfondibile, questa, di Marías.

Il lavoro sull’ossimoro. Non pronunciato, mai spiegato, ma lasciato agire nella sua più perturbante potenza è infatti il modo di procedere del narratore che indugia in descrizioni minute, e mai inutili, che diventano, nella mente e nell’inconscio del lettore, un elemento di disturbo da cui poi scaturirà la riflessione. In questo suo romanzo di successo, come negli altri, di questi dettagli ce ne sono tantissimi. Per esempio la torta che si squaglia sul tavolo mentre il consesso è radunato in bagno davanti al corpo inerme di Teresa, o ancora l’asciugamano azzurro (“il suo […] quello che usava di solito”) utilizzato dalla sorella per tamponare la ferita, e che s’inzuppa subito.

La costruzione di un ragionare complesso. Al contempo, però, oltre alle “cose” e ai “fatti” l’autore immerge il lettore in una fitta rete di ragionamenti che stanno ora in bocca ai personaggi ora sono proprio il pensiero di chi racconta: si segue il filo di un discorso e alla fine si ha la sensazione di aver compreso qualcosa di davvero difficile, che ha il più delle volte a che fare con l’animo umano e le sue attitudini. In Un cuore così bianco, per esempio, in un dialogo tra due statisti, mediato da due interpreti (che sono Juan, la voce narrante, e Luisa, la sua futura moglie), uno dei due si chiede: “Buona parte della gente ama perché la si obbliga ad amare. Questo succede anche nelle relazioni personali, non crede? Quante coppie non sono vere coppie perché uno dei due, uno solo, si è impegnato affinché lo fossero e ha costretto l’altro ad amarlo?”.

Ma nulla è come sembra, nei romanzi di Marías, mai. Neppure in questa chiacchierata “fuori onda” tra politici, e infatti Juan confessa di non aver tradotto fedelmente ma di avere deliberatamente inventato delle domande per fare colpo su Luisa, invitandola implicitamente alla complicità, e infatti lei tace l’iniziativa poco professionale del collega. Nei romanzi dello scrittore spagnolo c’è sempre un segreto inconfessabile e molte omissioni, e i personaggi – tutti – contribuiscono alla costruzione di una verità che non in effetti nulla di oggettivo.

E se l'inganno nei romanzi dello scrittore spagnolo è sempre presente, se ne ha però sentore. Soprattutto perché l’autore dissemina la narrazione di veri e propri indizi che restituiscono “il colpevole” soltanto alla fine, in una sorta di struttura circolare. In Un cuore così bianco il primo di questi indizi – che genererà dubbi e infine disvelamenti – recita: “Tutti dissero che Ranz, il cognato, il marito [di Teresa], mio padre, era molto sfortunato, in quanto restava vedovo per la seconda volta”. Ma quale sarà mai stata la ragione che ha spinto la giovane ad ammazzarsi?

E poi c’è Shakespeare. Se non già nel titolo come proprio in Un cuore così bianco o in Domani nella battaglia pensa a me o ancora in Così ha inizio il male, la citazione del Bardo per Marías è comunque imprescindibile. Qui è il Macbeth a essere richiamato, negli altri l’Amleto, il Riccardo III o altre tragedie ancora, che vengono citate nel testo, quasi come se quelle opere custodissero la completa verità sull’essere umano. Come dargli torto?

Quindi, senza troppo svelare, ecco cosa si legge in una delle ultime pagine di questo abbagliante romanzo: “I have done the deed, pensai, o forse pensai Sono stato io, o lo pensai nella mia lingua, Ho fatto l’azione, e ho commesso l’atto, l’atto è un fatto ed è un’azione e per questo prima o poi si racconta […] e raccontartela adesso è il mio ossequio, e mi amerai ancora di più sapendo ciò che ho fatto, benché il saperlo macchi il tuo cuore così bianco”.

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