SOCIETÀ

L’Italia delle stragi: le trame eversive raccontate dai magistrati protagonisti

I nomi di alcuni uomini spregevoli appaiono in questo libro più volte: piduisti, golpisti, politici, esponenti dei servizi segreti e militari, manovalanza neofascista, tutti colpevoli, a vario titolo, di esecuzione materiale e depistaggio, di omissioni e occultamento della verità sulle stragi che hanno insanguinato l’Italia degli anni ’70, pressappoco da piazza Fontana (Milano il 12 dicembre 1969) all’attentato alla stazione di Bologna (2 agosto 1980), passando per piazza della Loggia (Brescia, 28 maggio del 1974), in totale 135 morti e quasi 600 feriti.

Dei libri apparsi negli ultimi mesi sullo stragismo L’Italia delle stragi. Le trame eversive nella ricostruzione dei magistrati protagonisti delle inchieste (1969-1980) uscito per Donzelli a cura di Angelo Ventrone ha una peculiarità: i saggi che lo compongono sono scritti dai magistrati che si sono occupati dei fatti criminosi, e si tratta di magistrati importanti come Pietro Calogero, Giuliano Turone, Vito Zincani, Giovanni Tamburino, solo per fare qualche nome. In sintesi, e forse con troppa sintesi, con strategia della tensione, si indica quella serie di azioni terroristiche, ma non solo, dirette a impedire ogni sviluppo della politica italiana in senso riformista. Come è noto si trattò di una strategia che aveva come sfondo significativo la Guerra fredda che, con diversi attori e articolazioni, non necessariamente dirette da un solo soggetto interno o esterno (Cia, USA, Nato), in nome dell’anticomunismo e di una ottusa pregiudiziale nei confronti del Partito comunista limitò pesantemente la sovranità e la democrazia italiane.

Le stragi degli anni '70 hanno provocato in Italia 135 morti e quasi 600 feriti

L’espressione ‘destabilizzare per stabilizzare’ esprime molto bene quali erano gli obiettivi degli attentati e dei mandanti, infatti non si trattava di fare dell’Italia un’altra Grecia, quella del colpo di stato del 1967, ma si voleva in realtà bloccarla in una infinita glaciazione conservatrice imputando alla sinistra italiana il caos sociale e gli attentati.

Tuttavia quello che emerge da questo libro è il profilo di uno Stato italiano che nonostante sia stato attraversato da zone oscure e da ignobili civil servants, comunque è riuscito a far luce, almeno parzialmente, sui responsabili materiali delle stragi. L’Italia democratica ha retto di fronte alle spinte eversive del terrorismo di destra e sebbene con enormi difficoltà e lentezza è riusciti a fare luce sulle trame dei nemici della Repubblica. Non sempre, per citare il Rino Gaetano di Aida (1977), troviamo "sotto i fanali l’oscurità".

Scrive il curatore che le inchieste anche "se non sempre sono riuscite a trovare le prove definitive per individuare i singoli colpevoli, hanno però identificato con precisione gli ambienti politici da cui la strategia eversiva è nata: i gruppi neofascisti e neonazisti e in particolare Ordine Nuovo. Gruppi che hanno intrecciato la loro attività con settori dei servizi segreti italiani e stranieri, delle forze armate, delle istituzioni, del mondo imprenditoriale e di organizzazioni a cavallo tra la dimensione nazionale e internazionale, come la P2, nei suoi ulteriori oscuri intrecci con il mondo della criminalità organizzata".

 

 

Cosa possono imparare gli storici, dalle sentenze e dai materiali dei processi, dal momento la storia di quegli anni deve essere ancora scritta? Tra giudici e storici ci sono dei punti in comune, già ne parlava in un grande saggio Piero Calamandrei. Uno storico, dalla lettura degli atti processuali può cogliere e argomentare meglio la continuità ideologica e l’ identità di obiettivi politici dello stragismo laddove processi sono frammentati e stralciati in più parti; dove il magistrato è costretto a fermarsi nell’accertamento delle colpe individuali (il non luogo a procedere, si direbbe), lo storico invece può inserirsi e individuare le responsabilità storiche e intellettuali, e cercare di rendere meno insopportabile l’incompiutezza della verità giuridica.

Fino ad oggi chi ha reso precario il conseguimento della verità è riuscito nel suo scopo. Vito Zincani, che si occupato della strage alla stazione di Bologna, in pagine lucidissime e ammirevoli per passione civile e intelligenza investigativa, scrive che "i depistaggi hanno purtroppo ottenuto il loro scopo, riuscendo a separare nettamente gli esecutori dei mandanti". Si pensi all’uso disinvolto del segreto di Stato, per esempio nel 1974, anno in cui Andreotti è stato ministro della Difesa.

Naturalmente non bisogna fermarsi con le indagini per acquisire nuove prove e non bisogna rassegnarsi a interpretare la storia d’Italia come una sequela di misteri o un indecifrabile rompicapo metafisico alla Sciascia. Non si deve semplicemente per il rispetto che si deve agli uomini, alle donne e ai bambini vittime del terrorismo. In una poesia contenuta nella raccolta Idiomi, scritta dopo l’attentato bolognese, Andrea Zanzotto volle ricordare Maria Fresu di 24 anni morta con la figlia Angela di 3. Di Maria Fresu non si ritrovo più nulla, letteralmente volatizzata e annichilita dall’esplosione:

E il nome di Maria Fresu
continua a scoppiare
all’ora dei pranzi
in ogni casseruola
in ogni pentola
in ogni boccone

in ogni
rutto – scoppiato e disseminato –
in milioni di
dimenticanze, di comi, bburp.

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