SCIENZA E RICERCA

Il livello del mare aumenterà per tutto il secolo. Scenari e strategie per il futuro

Dal 1880 ad oggi il livello medio del mare è aumentato di oltre 20 centimetri e il più recente rapporto dell’Ipcc stima che entro la fine del secolo il livello degli oceani continuerà a salire in maniera significativa, anche se dovessimo riuscire a contenere il rialzo delle temperature entro la soglia di 1,5 °C. Lo scenario peggiore, quello in cui la riduzione delle emissioni non fosse sufficiente a limitare il riscaldamento globale, vedrebbe invece il livello del mare aumentare fino a un metro, principalmente a causa dello scioglimento delle calotte di ghiaccio e dei ghiacciai.

Le conseguenze sarebbero rilevanti e il rischo di inondazioni implicherebbe impatti particolarmente disastrosi nei paesi più poveri, come ha di recente ricordato anche Telmo Pievani in un editoriale su Il Bo Live.

Nei giorni scorsi a Venezia, una delle città-simbolo della vulnerabilità all’innalzamento del livello del mare, oltre 300 scienziati provenienti da tutto il mondo si sono riuniti in occasione della Sea Level Rise Conference 2022, una conferenza coordinata dalle Joint Programming Initiatives Climate e Oceans, due associazioni intergovernative europee che hanno istituito il Knowledge Hub sul Sea Level Rise come piattaforma scientifica che ha l’obiettivo di promuovere le conoscenze su questo focus di ricerca, condividere i più recenti dati globali e locali e mettere a punto possibili strategie di mitigazione e adattamento.

Ad aprire i lavori della conferenza è stata Nadia Pinardi, co-presidente del Knowledge Hub on Sea Level Rise, del Comitato strategico del CMCC  e docente di oceanografia all’università di Bologna. “L’innalzamento del livello del mare sta accelerando. Siamo di fronte a qualcosa che potevamo aspettarci, ma ora abbiamo forti prove che stia accadendo. Oggi riceviamo molti dati dai satelliti e da altre fonti, e vi sono molte meno incertezze. E’ una grande sfida globale”, ha detto Pinardi introducendo l’evento.

E sono proprio i dati a non lasciare dubbi. Gli studi che confermano il continuo innalzamento dei mari sono numerosi e se pensiamo che la nostra Terra è coperta dal 71% circa dagli oceani e da un altro 10% circa dai ghiacci è facile comprendere come la questione sia fortemente rilevante.

Un lavoro uscito qualche mese fa su Nature Communications aveva individuato nel 1863 la data di inizio della crisi climatica, stabilendo quindi una stretta relazione tra l’avvio della rivoluzione industriale e l’insorgere del momento dell’emergenza. La particolarità di questo studio, che avevamo commentato insieme a Simona Masina, oceanografa fisica e direttrice della divisione di modellistica oceanica e assimilazione dei dati della Fondazione CMCC, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, consisteva nel fatto che i ricercatori hanno analizzato il livello del mare degli ultimi 2000 anni, utilizzando un database globale. Proprio l'ampiezza dell'estensione temporale, che non si limita agli ultimi due secoli come fatto da molte altre ricerche di questo tipo, è uno degli elementi principali e innovativi della ricerca.

“La velocità con cui il livello del mare continua a crescere è più che raddoppiata nell’ultimo periodo”, spiegava in quell’occasione Masina, osservando che l’aumento medio del livello del mare è passato da 1.5 mm a un 3.6 mm all’anno, ovviamente con tutte le differenziazioni su scala locale che sono importanti.

A incidere sul fenomeno dell'innalzamento sono tre fattori principali, ognuno dei quali contribuisce con un peso simile. Il primo è l'espansione termica dovuta all'aumento delle temperature dell'acqua. Gli oceani catturano circa un quarto delle emissioni di CO2 che continuiamo a immettere in atmosfera (nel 2021 la concentrazione media annua globale di anidride carbonica nell'atmosfera è risultata pari a oltre 414 parti per milione, un dato in crescita dopo la diminuzione che aveva caratterizzato la crisi pandemica) e così facendo contribuiscono in modo fondamentale ad assorbire quantità enormi di calore e di anidride carbonica. Il loro ruolo è talmente importante che li porta a funzionare come vero e propri regolatori climatici. Questo processo non è però privo di conseguenze: acque più calde significa acque più dilatate che richiedono quindi un maggiore spazio. L'aumento delle temperature oceaniche produce però anche altri effetti negativi contribuendo alla perdita di volume delle piattaforme di ghiaccio continentale e del ghiaccio marino, favorendo l'acidificazione e andando ad impattare sulla biodiversità marina, a partire dai coralli.

Gli altri driver dell'innalzamento del livello del mare sono lo scioglimento dei ghiacciai montani e quello delle calotte glaciali di Groenlandia e Antartide sebbene su questo ultimo punto le stime non siano del tutto precise perché, come ricordava Masina, "modelli climatici non sono ancora in grado di rappresentare in modo accurato e realistico quelle che sono le interazioni tra l’oceano e il ghiaccio continentale". 

 

Secondo il 32° rapporto State of the Climate, pubblicazione peer review redatta dall'American Meteorological Society, le concentrazioni di gas serra, il livello globale del mare e le temperature degli oceani nel 2021 hanno raggiunto livelli record. Per quanto riguarda nello specifico l'innalzamento del livello medio del mare il documento sottolinea che se si prende come riferimento il periodo tra il 2013 e il 2021 l'aumento è risultato pari a 4,5 millimetri per ogni anno, un dato che testimonia una tendenza al rialzo ancora superiore rispetto a quei 3,6 millimetri all'anno che aveva caratterizzato il decennio precedente.

"Questo incremento è in accelerazione, anche nel Mediterraneo", ha spiegato Nadia Pinardi in un'intervista a la Repubblica aggiungendo che "quando i livelli del mare aumentano alla velocità mostrata negli ultimi anni, anche un piccolo aumento può avere effetti devastanti sugli habitat costieri verso l'entroterra". Il Mediterraneo nel 2100 rischia di essere un'apocalisse annunciata, come scrive il giornalista Stefano Liberti nel libro Terra bruciata in cui analizza come la crisi ambientale sta cambiando l'Italia e la nostra vita. Il motivo è da ricercare nel fatto che, per caratteristiche e posizione, si configura come un "hotspot climatico", un'area in cui le conseguenze delle trasformazioni in atto saranno più marcate rispetto ad altri Paesi che si trovano sulla nostra stessa latitudine. 

Secondo le proiezioni dell’ENEA, ente pubblico di ricerca che opera nei settori dell'energia, dell'ambiente e delle nuove tecnologie a supporto delle politiche di competitività e di sviluppo sostenibile, entro il 2100 migliaia di chilometri quadrati di aree costiere italiane rischiano di essere sommerse dal mare, in assenza di interventi di mitigazione e adattamento. Se si avverasse lo scenario più "ottimista" (quello che limiterebbe l'aumento a circa 1 metro) gli effetti sulle aree costiere sarebbero comunque devastanti ma lo scenario peggiore prevede che da qui alla fine del secolo il livello del mare Mediterraneo crescerà tra i 131 e i 145 centimetri e questo porrebbe a rischio di inondazione oltre 5.400 chilometri quadrati di pianura padana densamente abitati.

Nel libro Il mare che sale, pubblicato da poco da Edizioni Dedalo, l'oceanografo Sandro Carniel ricorda che sebbene il livello del mare sia notevolmente cambiato anche in passato, per cause non direttamente legate all'uomo ma dipendenti da trasformazioni geologiche, attività solare o variazioni orbitali che avvengono su scale di tempo estremamente lunghe (come quelle descritte dagli studi del matematico serbo Milutin Milanković), non esiste alcun dubbio sul fatto che la componente antropogenica sia attualmente la principale causa del riscaldamento del pianeta

In questo momento, osserva Carniel, nonostante secondo l'andamento del ciclo di Milanković la Terra si trovi attualmente in una fase di discesa termica, seppur lenta, il livello del mare sta in realtà salendo molto velocemente. Quello che è accaduto è che la concentrazione atmosferica media di CO2 è arrivata nel 2021 a 419 parti per milione, mentre prima della rivoluzione industriale non superava le 280 parti per milione. "L'aumento smodato di questi gas, che aggiungono all'effetto serra naturale una componente in più, detta appunto antropogenica, è quindi la principale causa di riscaldamento del pianeta".

Per tornare a Venezia, città anfibia per eccellenza, un contributo alla misurazione del fenomeno dell'acqua alta in un'epoca ben precedente all'inizio delle prime rilevazioni scientifiche arriva dai dipinti di Canaletto, datati tra il 1725 e il 1775. L'artista veneziano dipingeva utilizzando una camera oscura, provvista di uno specchio e di una lente, per poter così ricalcare le immagini proiettate su fogli di carta. A quel punto, anticipando così una pratica che si sarebbe diffusa solo a partire dal 1839 quando Daguerre inventò la fotografia, iniziava il quadro ripassando il contorno con estrema precisione e non trascurava di riportare anche i bordi verdastri impressi dalle alghe sulle sponde dei canali e sulle pareti dei palazzi. Qualche anno fa alcune ricerche condotte dal professor Dario Camuffo si sono dedicate al confronto tra quei dipinti e l'epoca contemporanea, riuscendo a capire che il segno delle alghe (un indicatore affidabile del livello del mare) oggi compare circa 70 centimetri più in alto rispetto a dove lo aveva dipinto Canaletto.

"La prospettiva dell'innalzamento delle acque costiere minaccia servizi di base, di sopravvivenza", ricorda Pinardi e molte città costiere stanno già pianificando misure di adattamento per affrontare le prospettive a lungo termine di un più alto livello dei mari, spesso con costi notevoli che i Paesi più poveri potrebbero però non riuscire ad affrontare. E anche su scala europea, puntualizza la co-presidente della nuova piattaforma interattiva Knowledge Hub on the Sea Level e del Comitato strategico del CMCC, occorre una connessione più diretta tra gli scienziati che lavorano sull'innalzamento del livello del mare in Europa, i decisori politici e i portatori di interessi locali. La fase successiva sarà "la pubblicazione di un documento che includerà linee guida ed esempi di impatti osservati e previsti".

"Dieci anni è il limite massimo per progettare le soluzioni più adeguate per ogni singola area urbana", mette in guardia Pinardi. Tra le misure già in fase di realizzazione in tutte le aree del mondo toccate dal problema ci sono la costruzione di dighe e barriere mobili, oltre a una diversa progettazione di strade e infrastrutture. Ma le comunità più esposte al pericolo di inondazioni rischiano di essere costrette a trasferirsi e migrare in aree più sicure.

 

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