SCIENZA E RICERCA

Il legame tra innalzamento del livello del mare e lo sviluppo industriale

Una delle conseguenze più allarmanti dei cambiamenti climatici è l'innalzamento del livello del mare, un fenomeno che procede a ritmi elevati e che in assenza di contromisure rischia di far finire sott'acqua 50 città costiere densamente popolate nell'arco di mezzo secolo. Un recente studio condotto dal gruppo di ricerca americano Climate Control ha mostrato cosa potrebbe accadere a queste aree urbane, complessivamente abitate da circa 800 milioni di persone, se il pianeta arrivasse a una temperatura media superiore di tre gradi celsius rispetto ai livelli pre industriali. Nello scenario più ottimistico, cioè limitando l’innalzamento a 1,5 gradi, le persone interessate sarebbero comunque circa 510 milioni.

Le città, sottolinea lo studio, sarebbero costrette a mettere in atto "misure di adattamento senza precedenti", il cui costo potrebbe non essere alla portata dei Paesi più poveri. Inoltre non bisogna dimenticare l'impatto che queste infrastrutture possono avere sull'intero ecosistema, soprattutto se dovesse essere necessario azionarle frequentemente. Un esempio di cui abbiamo parlato di recente sul nostro giornate riguarda il Mose: preziosissimo per proteggere Venezia dall'alta marea ma al tempo stesso impattante sul fragile equilibrio delle barene della laguna.

Secondo le ultime previsioni della Nasa entro il 2100 l'aumento del livello del mare in Italia potrebbe arrivare, nello scenario peggiore, fino a 80 centimetri e in ogni caso non sarà inferiore a 30 centimetri. Anche negli Stati Uniti, dove circa il 40% della popolazione vive in una città costiera, l'innalzamento del livello del mare sta accelerando in modo estremamente rapido, come sottolineato da un rapporto pubblicato nei giorni scorsi dalla National Oceanic and Atmospheric Administration.

Il riscaldamento globale, dovuto all'uso di combustibili fossili, è la causa principale dell'innalzamento del livello del mare. Gli scienziati osservano la tendenza ormai da decenni e hanno mostrato come l'aumento delle temperature, facilitando lo scioglimento dei ghiacciai e la diminuzione delle calotte glaciali, sia strettamente legato alla continua espansione dell'acqua di mari e oceani. 

Per capire quanto il fenomeno sia strettamente connesso alle attività umane possiamo analizzare più da vicino uno studio, pubblicato da poco su Nature Communications, che ha scoperto come l'inizio dei moderni tassi di innalzamento del livello del mare sia avvenuto nel 1863, in linea con la rivoluzione industriale.

Lo studio, condotto da ricercatori della Rutgers University in collaborazione con l'Atmospheric and Environmental Research di Lexington in Massachusetts e con la Nanyang Technological University di Singapore, ha analizzato il livello del mare degli ultimi 2000 anni, utilizzando un database globale. Proprio l'ampiezza dell'estensione temporale, che non si limita agli ultimi due secoli come fatto da molte altre ricerche di questo tipo, è uno degli elementi principali e innovativi di questo lavoro. Naturalmente le misurazioni del livello del mare di epoche così antiche non sono dirette, ma sono ricavate in modo indiretto da proxy che hanno origini molteplici (come vedremo meglio in seguito). 

Abbiamo analizzato più nel dettagli questo studio, sia a livello metodologico, sia per i risultati a cui ha condotto, insieme a Simona Masina, oceanografa fisica e direttrice della divisione di modellistica oceanica e assimilazione dei dati della Fondazione CMCC, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici.

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L'intervista completa a Simona Masina, direttrice della divisione di modellistica oceanica e assimilazione dei dati della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. Servizio di Barbara Paknazar

Lo studio copre un periodo molto più esteso rispetto a lavori precedenti 

Non è la prima volta che si tenta di stabilire una data di inizio della crisi climatica e questo studio la individua nell’1863. Diversamente da altri studi condotti in passato in questo lavoro si è però andati a cercare questo momento osservando un periodo temporale estremamente più lungo e proprio in questo, come spiega Simona Masina, risiede un elemento fortemente innovativo che giustifica la pubblicazione su una rivista importante come Nature Communications.

"Per la prima volta - spiega la direttrice della divisione di modellistica oceanica e assimilazione dei dati della Fondazione CMCC - il tentativo di identificazione di quello che viene chiamato time of emergence, il momento dell’emergenza, è stato fatto su un periodo significativamente più lungo rispetto a quanto era stato fatto in lavori precedenti. Il periodo che gli autori prendono in considerazione copre praticamente la Common Era, andando dall’anno 0 fino ai nostri giorni. In precedenza come periodo di analisi si utilizzava invece al massimo l’inizio dell’era industriale, quindi la metà del XIX secolo, fino ad arrivare agli scenari di proiezione futuri relativi al XXI secolo". 

"L’innalzamento del livello del mare è un indicatore significativo dei cambiamenti climatici e quindi determinare un range temporale in cui c’è stato questo cambio nella tendenza, nell’aumento del livello del mare è importante".

Come è stato identificato questo time of emergence

Un altro elemento di innovazione consiste nel modo in cui è stato identificato il momento dell'emergenza. "E’ interessante capire questo aspetto perché anche questo si differenzia da studi precedenti: gli autori hanno definito il time of emergence dei tassi moderni di innalzamento del livello del mare come il momento in cui è molto probabile che questo tasso cambi in modo significativo rispetto al periodo pre-industriale e rimane decisamente alto anche in tutti i periodi successivi. Il cambio è misurato rispetto a un valore medio di background", approfondisce Simona Masina. 

Aver portato indietro nel tempo il periodo entro il quale indagare il time of emergence ha reso impossibile il ricorso a misurazioni reali del livello del mare. Queste operazioni, ricorda Masina, hanno iniziato ad essere effettuate all'inizio del XIX secolo e non esiste quindi alcun dato simile relativo ai secoli precedenti. Oggi le informazioni arrivano infatti da satelliti, boe in situ e boe mareografiche che misurano l’innalzamento del livello del mare rispetto a un livello di riferimento, ma in epoche passate questi strumenti e tecnologie non erano ovviamente disponibili

Gli autori hanno superato questa difficoltà facendo riferimento a dei proxy, cioè dati indiretti che provengono, ad esempio, da coralli, da siti archeologici e dalla geochimica dei sedimenti. Si tratta di "una serie di indicatori di tutto quello che poteva essere il livello del mare in periodi passati", spiega l'oceanografa fisica precisando che gli scienziati hanno utilizzato un database di proxy che era già stato pubblicato in un precedente lavoro a cui avevano partecipato alcuni degli stessi autori.

"I dati sono su scala globale ma, e anche questo è un elemento innovativo del lavoro, l’aumento medio del livello del mare è valutato anche regionalmente nel Nord Atlantico, dove i dati comunque sono sempre stati più abbondanti rispetto al resto del globo", puntualizza Masina.

La velocità di crescita del livello del mare

Intanto il livello del mare continua a crescere più rapidamente del previsto e non è un dettaglio da poco visto che la nostra Terra è coperta dal 71% circa dagli oceani e da un altro 10% circa dai ghiacci. L'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ricorda che "le aree costiere vedranno un continuo innalzamento del livello del mare per tutto il 21° secolo, contribuendo a inondazioni costiere più frequenti e gravi nelle zone basse e all'erosione costiera. Gli eventi estremi sul livello del mare che si verificavano in precedenza una volta ogni 100 anni potrebbero verificarsi ogni anno entro la fine di questo secolo".

"La velocità con cui il livello del mare continua a crescere è più che raddioppiata nell’ultimo periodo. Si è passati da un livello del mare che cresceva più o meno ad un ritmo di 1.5 mm all’anno a un 3.6 mm all’anno. Questo studio conferma questo aumento nel tempo, ovviamente con tutte le differenziazioni su scala locale che sono importanti. Ci sono infatti ancora degli esempi, anche se molto limitati, nella parte di Nord Atlantico relativa ai Paesi scandinavi in cui il livello del mare sta diminuendo, mentre ci sono altre regioni, come l’Indonesia e tutta l’area del Pacifico occidentale in cui il rate di aumento è più che triplicato e si arriva anche ai 9 mm all’anno. L’importanza è anche comprendere localmente, in sovrapposizione ad un rate globale che è sicuramente dovuto ai cambiamenti climatici, che esistono dinamiche particolari che fanno cambiare in modo significativo l’innalzamento del livello del mare", commenta al riguardo Simona Masina.

Azioni e scenari futuri

Cosa potrà accadere in futuro e quali scenari ci si potrà attendere? Come accennato in precedenza l'IPCC stima che il livello del mare continuerà a crescere e secondo Simona Masina la direzione sembra proprio essere questa "anche perché le tre cause principali dell’innalzamento del livello del mare continueranno a esercitare un ruolo centrale e realisticamente non c’è la possibilità che a breve termine si osservi un’inversione di tendenza".

Analizziamo allora più da vicino queste tre cause, ognuna delle quali pesa in eguale misura sul fenomeno dell’innalzamento. "La prima è l’aumento della temperatura del mare: in pratica dall’era industriale in poi, da quando è iniziato l’aumento di gas serra in atmosfera, l’oceano ha sempre funzionato come una specie di grande spugna, come un assorbitore di questo calore che in modo anomalo noi stavamo iniziando ad immettere in atmosfera e in qualche modo ha fatto da mitigatore degli effetti dell’aumento di CO2. Questo calore continua ad essere assorbito dagli oceani ed è una delle tre cause di innalzamento di livello del mare. La seconda è lo scioglimento dei ghiacci continentali, della Groenlandia e dell’Antartide. La terza causa è lo scioglimento dei ghiacciai montani", approfondisce Masina.

Le principali incertezze rispetto al futuro riguardano la perdita di ghiaccio di Groenlandia e Antartide perché, spiega Masina, "i modelli climatici non sono ancora in grado di rappresentare in modo accurato e realistico quelle che sono le interazioni tra l’oceano e il ghiaccio continentale. Tutti i modelli climatici che hanno fatto parte dell’ultimo assessment dell’IPCC non hanno un modello di ghiaccio continentale accoppiato in modo diretto al resto del sistema climatico. Le stime che vengono date sono quindi indirette. Questo è sicuramente, a detta della comunità, l’incertezza maggiore che influenzerà ciò che accadrà al livello del mare e l’eventuale accelerazione dell’accrescimento del livello del mare".

Impatti sull'ecosistema marino

E' sempre l'IPCC a sottolineare il peso delle attività umane nei cambiamenti che investono gli oceani, non solo per quanto riguarda l'innalzamento del livello del mare. Fenomeni come il riscaldamento, l'acidificazione e le ondate di calore marine "interessano sia gli ecosistemi oceanici che le persone che fanno affidamento su di essi e continueranno almeno per il resto di questo secolo". 

"Gli effetti sono tanti: il mare non è solo un assorbitore di calore ma anche di CO2 e questo è un elemento che va ad aumentare l’acidificazione. Aumentano anche le ondate di calore marino: ci sono evidenze da dati osservati, non da proxy, che la frequenza di queste ondate è aumentata di circa il 50% nell’ultimo triennio rispetto al triennio precedente. Queste ondate hanno impatti enormi sulla biodiversità, possono andare a impatta in modo drastico sulla crescita dei coralli o ucciderli e hanno un impatto rilevante su tutta la fauna, la vegetazione e l’ecosistema marino", conclude Simona Masina.

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