SCIENZA E RICERCA

Una lotta darwiniana per l'economia dell'attenzione

Si stima che ogni giorno vengano generati 500 milioni di tweet, spedite 294 miliardi di mail e 65 miliardi di messaggi su Whattsapp. Ancora più impressionante è vedere quello che succede in internet ogni minuto: 1 milione di persone si connette a Facebook, avvengono 3,8 milioni di ricerche su Google, vengono visualizzati 4,5 milioni di video su Youtube, vengono scaricate 390.000 applicazioni da Google Play o dall'App Store, 1,4 milioni di foto vengono scorse su Tinder.

La quantità di dati che produciamo ogni giorno è nell'ordine della quantità di dati che sono stati prodotti negli ultimi mille anni. Fino al 2013 l'umanità aveva prodotto 4,4 ZettaByte di dati, il che significa 4,4 moltiplicato per 10 seguito da 21 zeri. Si calcola che nel 2020 avremo prodotto 44 ZB.

Un gruppo di ricercatori, guidati da Sune Lehmann del dipartimento di matematica applicata e computer science della Technical University of Denmark, ha provato a misurare come questo sovraccarico di informazione dell'odierno ecosistema mediatico impatti sulla nostra attenzione collettiva.

Gli studiosi hanno preso in considerazione i dati di Twitter e hanno misurato per quanto tempo i singoli trending topic rimanevano tra le prime 50 posizioni. Nel 2013 gli hashtag più popolari rimanevano in classifica mediamente per 17,5 ore; nel 2016 le ore di celebrità si erano ridotte a 11,9. Nonostante il ridotto intervallo di visibilità, il numero di persone che complessivamente parlava di quel dato argomento non risultava minore. Lo stesso fenomeno è stato osservato su Reddit, altra piattaforma social, ma anche nelle ricerche di Google: gli argomenti più chiacchierati fino a qualche anno fa venivano rimbalzati per circa una settimana, oggi durano solo un paio di giorni.

Il fenomeno tuttavia non è esclusivo dei nuovi media digitali, poiché è stato riscontrato anche offline, guardando al successo dei film al botteghino e alla durata della loro popolarità. Prendiamo ad esempio l'ultimo episodio della saga di Avengers: ha raggiunto il secondo posto nella classifica dei film con maggiori incassi di sempre, ma se ne è parlato per un breve periodo di tempo, l'attenzione della gente è stata poi catturata da un altro finale di stagione.

Le notizie popolari divampano, nel web e fuori dal web, e altrettanto rapidamente vengono sostituite da altre. E la tendenza potrebbe essere precedente all'avvento di internet. I ricercatori si sono rivolti anche all'archivio di Google Books, che contiene libri digitalizzati vecchi anche di 150 anni, e hanno cercato le frasi che ricorrevano ogni anno. Nel XIX secolo le frasi più popolari rimanevano in uso per 6 mesi, nel XXI secolo per solo 1 mese.

Il mondo si muove a velocità crescente e lo studio pubblicato su Nature Communications ha trovato che il nostro span attentivo collettivo è diventato via via più corto. Non sappiamo ancora se questo comportamento collettivo abbia dirette ripercussioni sulle capacità attentive individuali (questo è pane per gli psicologi cognitivi), ma sappiamo che l'attenzione individuale è oggi il tesoro più ricercato nella corsa all'economia dell'attenzione dai colossi della comunicazione sul web, che basano il loro modello di business (criticato apertamente da alcuni) sulla pubblicità e sull'immagazzinamento dei dati sul comportamento degli utenti.

I siti che dipendono dal numero di visualizzazioni per monetizzare il profitto non possono permettersi di perdere il treno di Avengers: Endgame e il vagone di click che porta con sé. Abbiamo un'irresistibile e innata tendenza a non riuscire a ignorare ciò di cui tutti parlano, gli psicologi sociali lo chiamano conformitiy bias (inclinazione al conformismo). Ma la nostra mente è complicata e capricciosa, e ci annoiamo non appena lo stesso piatto ci viene riproposto più volte: questo lo chiamano habituation principle (principio di abituazione). Dunque non appena un argomento di tendenza nell'ecosistema mediatico si avvicina alla saturazione, il finale di stagione di Game of Thrones diventa l'attrattore principale, e di Avengers non si parla più.

D'altra parte non possiamo neanche ricordarci ogni cosa che facciamo, ogni cosa che leggiamo: se tenessimo a mente tutti i luoghi in cui parcheggiamo la macchina, faremmo fatica a richiamare alla memoria dove l'abbiamo parcheggiata l'ultima volta.

Dimenticare è fisiologico, l'attenzione è necessariamente selettiva, e i contenuti informativi che ci vengono proposti competono spasmodicamente per conquistarla, in una vera e propria lotta darwiniana per la conquista delle risorse, attentive.

Lehmann e colleghi riscontrano infatti una diminuzione dell'attenzione collettiva a fronte dell'aumento complessivo di contenuti cui si è esposti, e per spiegare questo dato empiricamente osservato propongono un modello matematico preso in prestito dall'evoluzione e dall'ecologia.

L'equazione proposta nel paper è una versione modificata del modello Lotka-Volterra in cui due specie che condividono la medesima nicchia ecologica competono per accaparrarsi le risorse disponibili. Nella metafora matematica, le specie diventano i contenuti informativi, mentre le risorse diventano la nostra, limitata, attenzione. I parametri che vengono fatti interagire nel modello riguardano la nostra tendenza all'imitazione (il conformismo di cui sopra), la saturazione (legata all'abituazione) e sono poste in funzione dei contenuti informativi, prodotti e consumati. Gli autori stessi confessano quanto siano rimasti sorpresi nel vedere il modello matematico spiegare in modo più che soddisfacente i dati osservati. E concludono: i tassi crescenti di produzione e consumo di contenuto informativo sono i fattori a cui si deve l'accelerazione dei meccanismi di attenzione collettiva.

Nel 1976 Richard Dawkins publicava Il gene egoista e per la prima volta introduceva il concetto di meme, l'alterego culturale del gene. Con meme oggi si identifica qualsiasi vignetta più o meno comica che circola in internet, ma il termine originario voleva riferirsi a ogni generico oggetto culturale, sia esso un comportamento, un'idea o una parola, che viene trasmesso da individuo a individuo in un ecosistema culturale. Proprio come i geni contengono l'informazione genetica necessaria a costruire un organismo, Dawkins suggeriva che i memi fossero le unità minime portatrici dell'informazione culturale che caratterizza un individuo o un popolo. Come i geni, i memi sono soggetti a variazione, mutano; sono trasmissibili, ereditabili, attraverso un canale comunicativo, sia esso il linguaggio, la gestualità, la scrittura o l'arte; e sono soggetti a sopravvivenza differenziale, ovvero selezione naturale.

Nell'ecosistema mediatico odierno il sovraccarico di contenuti corrisponderebbe a una drammatica sovrappopolazione, in cui i predatori competono ferocemente per accaparrarsi le limitate risorse disponibili. In questa metafora, ovviamente, i contenuti informativi (i meme) sono i predatori, mentre le risorse da sfruttare siamo noi.

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