La Luna vista dalla stazione spaziale internazionale ISS. Foto: Nasa
"Houston, abbiamo un problema” (per quanto la reale frase detta da John L. Swigert fu "Houston we've had a problem", poi diventata al grande pubblico come "Houston we have a problem"). No, non parliamo della missione Apollo 13, che fallì l’allunaggio a causa dell’esplosione di uno dei serbatoi di ossigeno. Ma, a pochi giorni dal 50° anniversario dello sbarco dell’Apollo 11 sul nostro satellite naturale, l’attenzione su di esso non si può dire ancora sopita.
Tutt’altro, visto che la corsa alla Luna rivive un periodo di nuovo splendore. Da una parte la Cina, pronta a impegnarsi nel mandare un astronauta nello spazio; d’altra gli Stati Uniti che, per volere del presidente Donald Trump, hanno dato un’accelerata al programma spaziale della Nasa per riportare, entro il 2024, un equipaggio umano sulla Luna.
Ed è proprio questo il punto su cui soffermarsi: la NASA, a livello tecnologico e di budget, è davvero pronta, nel giro di pochissimi anni, a un’impresa del genere o si troverà di fronte a diversi problemi, usando la celebre frase del capitano della missione Apollo 13 nelle primissime fasi dell'incidente?
È storia nota: la spinta al programma spaziale degli anni Sessanta era dettata in modo prioritario dal perenne conflitto muscolare con l’Unione Sovietica: fiumi di denaro pubblico vennero spesi per cercare di superare i nemici dell’URSS che, prima dell’Apollo 11, erano considerati scientificamente e tecnologicamente in vantaggio rispetto agli USA. Tanto che, anche dietro alla spinta dell’opinione pubblica e alle paure che si agitavano sui rischi corsi dagli astronauti (emblematico fu proprio l’incidente dell’Apollo 13), il programma venne chiuso agli inizi degli anni Settanta.
Da allora nessun uomo è più andato oltre all’orbita terrestre e nessun vettore spaziale con esso. Cinque anni, ora, separerebbero l’essere umano dal tornare sulla Luna. Il condizionale è d’obbligo, perché è ancora poco chiaro come l’agenzia spaziale statunitense potrà, o meno, superare alcune sfide di tipo tecnologico e di budget.
La missione si chiamerà Artemis (la sorella gemella di Apollo, nella mitologia greca). Ma poco altro di certo è dato a sapersi: la Nasa non ha ancora un razzo pronto per il volo umano nello spazio e non ha più sviluppato un piano per un allunaggio dal 1972, anno questo – per l’appunto – dell’ultima missione Apollo. La Nasa sta stringendo accordi commerciali con partner esterni per esternalizzare alcuni compiti che finora erano stati affidati in house: missioni scientifiche per analizzare il suolo lunare ed esperimenti tecnici per preparare la missione con equipaggio umano. Saranno 14 gli esperimenti verso il satellite, tutti con piccoli lander automatizzati. Uno di questi lanci dovrebbe essere programmato per il terzo quadrimestre del 2020: sarà inviato un lander sul Mare Imbrium. La sonda trasporterà strumenti utili, come un misuratore di radiazioni cosmiche, per comprendere a quali dosi potrebbero essere sottoposti gli astronauti.
In parallelo la Nasa porterà avanti il programma Orion: si tratta dello sviluppo del razzo pesante (lo Space Launch System o SLS) e della capsula alloggia astronauti (Orion, per l’appunto) per il volo nello spazio profondo e il loro rientro sulla Terra. Il vettore è lo stesso che dovrebbe anche portare in orbita lunare l’embrione di quella che – nei piani della Nasa – dovrebbe essere la nuova stazione spaziale orbitante di appoggio, chiamata The Gateway. Entrambi gli apparecchi sono una rivisitazione di un progetto Nasa precedente, pensato per mandare esseri umani a visitare un asteroide e – molto più avanti nel tempo – Marte.
Ma anche qui i tempi sono stretti: il primo test senza piloti è previsto non prima della metà del 2020 (Artemis 1), mentre il primo test con piloti è previsto al più tardi nel 2022 (Artemis 2). E, d’altra parte, il modulo di allunaggio è stato solo disegnato su carta da alcuni progettisti facenti capo a diverse compagnie private (la Blue Origin, fondata da Jeff Bezos, il capo di Amazon: e la Lockheed Martin, conosciuta più per i caccia militari realizzati negli anni per il governo americano). Ma nessuno di questi è stato testato a fondo, tanto meno nello spazio. Aggiungiamo poi che anche The Gateway, la nuova stazione spaziale, è molto lontana dall’essere operativa. Infine la Nasa non ha reso noto come i tasselli di questi progetti lavoreranno assieme: propulsore, capsula per gli astronauti, lander e stazione lunare orbitante.
E veniamo all’altro problema, strettamente collegato allo sviluppo scientifico e tecnologico del programma lunare: i finanziamenti.
La risposta del Congresso, in questo senso, è stata tiepida: la Camera dei deputati (controllata dal partito Democratico), il 25 giugno scorso, ha approvato una parte del budget Nasa, ignorando le richieste finanziarie per la missione Artemis. Il Senato (a maggioranza repubblicana, il partito di Donald Trump) non ha ancora dato seguito alla richiesta di budget dell’Agenzia spaziale per il 2020, inclusi i fondi, nuovamente, per Artemis.
Non si tratterebbe di nulla di nuovo: il Congresso negli anni passati negò molte volte finanziamenti alla Nasa, proprio per piani che riguardavano la Luna. Nel 1989 fu Bush senior a non vedere i soldi per il rilancio della corsa allo spazio. Mentre il programma di Bush Junior venne poi cancellato da Barack Obama nel 2010.
Il tempo, le difficoltà economiche e tecnologiche remerebbero insomma contro i propositi di Donald Trump: la prima scadenza fissata dal presidente era per il 2028, poi l’accelerazione al 2024.
E il clima alla Nasa non sembra essere dei migliori, nemmeno a livello politico. È infatti di pochi giorni fa la notizia del “riallocamento” ad altri compiti di Bill Gerstenmaier, il responsabile per l’esplorazione spaziale umana: è appurato che i motivi del demansionamento sono collegati alle scadenze serrate dell’Agenzia.
Dopotutto, negli anni Sessanta, gli Stati Uniti avevano un obiettivo comune che andava ben al di là dello scopo scientifico (quasi in secondo piano) per andare sulla Luna: mostrarsi come la più grande superpotenza del mondo. In quell’occasione entrambi i rami del Congresso approvarono le spese per la Nasa. Ora la situazione è del tutto diversa. E forse non basterà additare la Cina come nuova “nemica” per mettere d’accordo opinione pubblica, investitori e politica per un altro “grande passo per l’umanità”.