CULTURA

Martin Eden: un (inspiegabile) trionfo di critica a Venezia 76

Quest’anno al Festival del cinema di Venezia non si sono sentiti fischi alla fine delle proiezioni per la stampa. Un debole applauso, quindi, è già indice di uno scarso gradimento, e questo è stato il caso di Martin Eden di Pietro Marcello, in concorso a Venezia76 (alla proiezione per il pubblico, però, si è preso 9 minuti di applausi). 

Intendiamoci: Martin Eden non è un brutto film. Il rifacimento del romanzo di Jack London è a tratti godibile e offre degli spunti interessanti, Luca Martinelli, che interpreta il protagonista non sarà da Oscar ma non è nemmeno da buttare e nel complesso può anche valere il prezzo del biglietto (magari ridotto). Ciò che risulta francamente inspiegabile è l’entusiasmo della critica, a partire dalla sala stampa, quando i giornalisti presenti si profondono in spiccati elogi pubblici. 

Per quanto riguarda la storia, quasi nulla da dire (del resto è di London, ma anche la riscrittura di Marcello e di Maurizio Braucci non sfigura): Martin Eden è un marinaio napoletano privo di licenza elementare che aiuta il figlio di una famiglia borghese, malmenato da un “gorilla” al porto. Per la gratitudine, il ricco rampollo se lo porta a casa, dove Martin conosce Elena, sua sorella, e se ne innamora perdutamente. Ed è anche ricambiato, e da questa felice convergenza si snoda un percorso di riscatto attraverso la cultura: Martin spende in libri i suoi pochi risparmi e scrive poesie, che però vengono sempre rispedite al mittente quando le propone per la pubblicazione. Elena lo accompagna nel suo percorso, ma cerca di farlo tornare con i piedi per terra proponendogli un lavoro amministrativo alla dipendenze di suo padre, in modo che possano sposarsi senza sfigurare nell’ambiente di lei, ma Eden non scende a compromessi, e grazie all’aiuto di un intellettuale interpretato da Carlo Cecchi riesce a riscattarsi. Purtroppo è una vittoria di Pirro, perché nel frattempo ha perso il suo grande amore e tutti i riconoscimenti gli sembrano vani, perché tributati dalle stesse persone che in precedenza lo avevano stroncato: i testi sono gli stessi, e il marketing non soddisfa un’anima nobile come la sua. Purtroppo tutto ciò è condito da stereotipi insistiti (la famiglia dell’amata è così uno stereotipo che la ritrovi uguale in Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia e no, non è un complimento), per non parlare dell’immagine della Napoli proletaria dove però i popolani si chiamano Martin Eden e gli intellettuali Russ Brissenden. “Ma come, non capisci che è fatto apposta?” chiede il critico blasonato. Sarà sicuramente fatto apposta, ma stride come un gabbiano con la raucedine.

Comunque il senso di nostalgia per i sogni della gioventù è reso molto bene dall’interpretazione di Martinelli, volutamente sopra le righe nella seconda parte, ma gli intermezzi con riprese di archivio tanto magnificati dalla critica sanno di già visto. Certo, si integrano bene con tutto il resto, ma da qui a gridare al miracolo cinematografico ce ne corre. Nel frattempo, i denti della protagonista cambiano colore all’interno delle stesse scene, e la volontà di non identificare un’epoca chiara nell’ambientazione si fa quasi grottesca: e no, non è che i detrattori non hanno compreso la volontà di far entrare nella pellicola tutto il Novecento, ma i fascisti sulla spiaggia magari facevano tanta poesia, ma non c’entravano niente (idem i televisori e le auto anni Ottanta). E sì, belli gli inserimenti documentaristici e le visioni in soggettiva, ma a volte spezzavano il ritmo del film senza una spiegazione plausibile. Forse il regista ha contato sul fatto che a volte, quando un critico non riesce a spiegarsi qualcosa, se la può cavare definendola una geniale idea innovativa. Oppure è vero, sono i detrattori del film che non hanno capito la finezza registica (pur avendola magari apprezzata fino a metà film) e arrivano addirittura a trovare il tutto un po’ troppo “insistito”, ma le cinque stelle date da parte della critica (prima di Martin Eden le avevano ottenute solo Joker e J’accuse) risultano francamente inspiegabili.

 Poi per spirito patriottico ci si può anche augurare che il film vinca il Leone d’oro, ma non stupisce che l’entusiasmo non sia condiviso dalla critica straniera, che si attesta su una linea molto più pacata.

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