CULTURA

Matera di sassi, cinema e "dolente bellezza"

È l’estate del 1964, Pier Paolo Pasolini trasforma Matera in Gerusalemme per le riprese de Il Vangelo secondo Matteo. Premiato alla XXV Mostra d’arte cinematografica di Venezia e dall'Ocic, Office catholique international du cinéma, candidato agli Oscar, è stato definito dall’Osservatore romano, quotidiano della Santa Sede, “il miglior film su Gesù mai girato”. Il più laico eppure il più bello. Il riscatto della città dei Sassi è legato anche a questo film, a una scelta registica, alla presenza di Pasolini tra gli abitanti di luoghi "dolenti" e, al tempo stesso, potenti, dove il cinema arriva già con La lupa di Alberto Lattuada, nel 1952, e poi torna più volte con King David nel 1985, The Passion di Mel Gibson nel 2002, passando per L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore, nel 1995. L'antica e sofferente bellezza viene celebrata attraverso il racconto della vita di Cristo da parte di un intellettuale libero, che per il ruolo da protagonista sceglie il giovane spagnolo scacchista, comunista e antifranchista Enrique Irazoqui (con madre italiana e legami con i Levi di Padova) e che apre il film con una dedica a Giovanni XXIII (“alla cara, lieta, familiare figura di Giovanni XXIII”), pontefice apprezzato nonostante il contrasto netto tra lo stesso regista e la chiesa cattolica, dando vita così a un’opera unica, rivoluzionaria, laica, accurata e profondissima. “Quello che nelle premesse doveva essere il suo film su una crisi personale, la sua variante di Otto e mezzo e Il bandito delle undici – scrive il critico Emilio Ranzato, sull’Osservatore romano, il 21 luglio 2014 -, diventa invece un’opera che individua negli insegnamenti cristiani, restituiti però alla spoglia essenza, lo strumento per uscire da quella stessa crisi”. Significativa è la nota scritta da Pasolini per tratteggiare il profilo di Roncalli, in particolare il suo stile comunicativo: “Se dovessi trarre una conclusione elementare da quanto ho finora dedotto dal parlato di Papa Giovanni, direi che egli non è stato soltanto un uomo buono – comprensivo, angelico -, ma attraverso la cultura ha potuto assimilare l’esperienza laica e democratica del mondo moderno alla sua Fede”. Matera diventa per Pasolini meta di un sorprendente viaggio interiore: il risultato di quell'indagine è il film che tutti conosciamo.

Cinquantacinque anni dopo, nel 2019, Matera è capitale europea della cultura, già nel 1993 viene nominata Patrimonio mondiale dell’umanità (nel sito dell’Unesco una pagina dedicata raccoglie motivazioni, immagini e documenti relativi a quella scelta), un percorso segnato da meritati, recenti riconoscimenti preceduti dalla definizione di “vergogna nazionale”, specchio delle macerie e della miseria che segnarono la fine della Seconda guerra mondiale, una situazione drammatica che emerge dapprima dalle parole di Carlo Levi, ("tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza"), autore di Cristo si è fermato a Eboli, libro pubblicato nel 1945e si concretizza poi nella visita di Alcide De Gasperi che, con la Legge del 17 maggio 1952, determina il risanamento dei rioni dei Sassi, lo sfollamento di due terzi degli abitanti della città e la costituzione del borgo La Martella immaginato da Adriano Olivetti.

La notizia della nomina di Matera capitale europea della cultura avviene il 17 ottobre 2014, nell'anno del cinquantesimo anniversario del film di Pasolini; pochi giorni fa, il 19 gennaio 2019, la cerimonia di apertura dell’anno delle celebrazioni: 48 settimane di eventi che mettono Matera al centro della scena internazionale, riconsiderandone il passato e proiettandola verso il futuro, e di progetti di valore, dal docufilm Mathera di Francesco Invernizzi ad Aos - Architecture of shamemesso in atto da un gruppo di ricerca che indaga le relazioni tra architettura e vergogna in Europa, con l’obiettivo di fondare proprio a Matera un centro di ricerca e documentazione che possa offrire la città e la sua storia come esempio positivo di ribaltamento culturale e riconsiderazione di quel che viene definito, appunto, “vergogna”. "Architecture of shame - spiega il team formato da artisti, architetti ed esperti di comunicazione - sta costruendo una 'seduta psicanalitica collettiva per l’architettura europea', ricercando nella peculiare relazione tra il sentimento della vergogna e le forme dell’architettura una strada critica per parlare delle identità europee e della cultura contemporanee".

Scrive il paesologo e poeta Franco Arminio in Geografia commossa dell’Italia interna (Mondadori, 2013): “Matera o l’estetica della povertà: senza pena la bellezza non ha viso. Qui non ci sono case sparse, tutto è connesso e intrecciato. Città soffiata dall’interno, città scultura in cui volumi di spazio e di terra si alternano e si equilibrano mirabilmente. Natura e architettura, più natura che architettura, città un tempo più abitata che costruita. Architettura scavata, costruzioni fondate sul levare piuttosto che sull'aggiungere. Intimamente poetiche, dunque. Le case sono fiori di pietra. Case piccole come cellette d’api. Cristalli di tufo. Una trepida ragnatela sassosa dove stavano uomini e animali a combattere col loro fiato contro l’umidità che veniva da sotto. Paesaggio di rughe e pieghe, fumi e fango d’inverno e creta d’estate, creta e polvere, crepacci, letame. Ora senza il fumo, senza i liquami della storia, il tufo appare lindo, privato della patina che il tempo e i suoi abitanti gli avevano calato addosso. Paraboliche e panni stesi. Ci sono i segni di ieri e quelli di oggi. L’antenna e il lenzuolo. Città d’Oriente, bizantina, anatolica. Città ipnotica in cui circola un’atmosfera antica nella quale ancora un po’ si può guarire andando dietro il paesaggio, disonorando la civiltà dell’impazienza”.

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