In Salute. Varietà ed equilibrio essenziali nella dieta vegana (ma non solo)

Chi sceglie di rinunciare a carne, pesce e a ogni altro alimento di origine animale lo fa solitamente per ragioni etiche e di sostenibilità ambientale. La quantità di persone che decide di sperimentare diete prive di proteine animali almeno per un periodo di tempo è in aumento nei paesi occidentali. Secondo il 36° rapporto Italia di Eurispes, nel 2024 le persone che si dichiaravano vegetariane erano il 7,2% della popolazione totale (un dato in crescita di 3 punti percentuali rispetto all’anno precedente), mentre il 2,4% si definivano vegane (un numero che si è quadruplicato nel corso degli ultimi dieci anni).
Il crescente interesse per le diete plant-based (basate su alimenti di origine vegetale) non solo sta trasformando l’industria alimentare e il mondo della ristorazione, ma ha ispirato anche la ricerca scientifica. Negli ultimi anni, numerosi studi hanno indagato l’impatto di questo tipo di diete sulla salute, con lo scopo di individuarne limiti e benefici, tenendo conto di caratteristiche specifiche come l’età, il genere o le condizioni di salute.
“Oggi è ben noto che un’alimentazione prevalentemente basata su cibi vegetali abbia un impatto positivo sulla salute”, spiega il dottor Roberto Mele, coordinatore area Biologia della nutrizione dell’IRCCS ospedale San Raffaele di Milano. “Le evidenze più solide provengono dagli studi sulla dieta mediterranea, un modello quasi vegetariano in cui il consumo di carne è piuttosto limitato.
I meccanismi molecolari che spiegano questi benefici sono diversi, anche se non ancora del tutto chiariti. Sappiamo, per esempio, che un’elevata assunzione di fibra alimentare riduce il tempo di contatto tra sostanze potenzialmente tossiche e le mucose del nostro organismo. Per questo, come segnala il World Cancer Research Fund, un ricco apporto di fibre è associato a un rischio ridotto di alcuni tumori, tra cui quello intestinale. In generale, dunque, chiunque può trarre vantaggio da un maggiore consumo di alimenti di origine vegetale”.
Come ricorda il dottor Mele esistono diverse varianti di veganesimo e vegetarianesimo, che differiscono a seconda delle scelte personali: c’è chi consuma pesce ma non carne, chi esclude tutti i prodotti animali tranne latte o uova, chi mangia la carne solo in rarissime occasioni. “In linea generale, la persona vegetariana rinuncia sia alla carne sia al pesce, mentre quella vegana elimina ogni alimento di origine animale, compresi i latticini, le uova e il miele”, precisa il nutrizionista. “In quest’ultimo caso è necessaria una pianificazione più attenta per garantire l’apporto corretto di tutti i macro e micronutrienti, a partire dalle proteine. Per questo, il supporto di un professionista può rivelarsi molto utile, soprattutto per chi si trova all’inizio di un percorso di transizione e non ha ancora acquisito tutte le conoscenze necessarie per orientarsi nella composizione dei pasti”.
Come sottolinea Mele, ogni persona è diversa, per cui le indicazioni nutrizionali vanno adattate in base alle condizioni di salute e alle esigenze specifiche. Tuttavia, studi condotti su ampi campioni di popolazione hanno individuato il rischio di possibili carenze alimentari in chi segue un’alimentazione di questo tipo.
“Esistono alcuni macronutrienti – ovvero delle molecole di grandi dimensioni e tipicamente con un potenziale energetico – a cui prestare particolare attenzione”, spiega il dottore. “In primis, le proteine, che non si trovano solo nei prodotti di origine animale, ma anche nei legumi e nei cereali. Oltre alla quantità di proteine assunte però, bisogna considerare il loro valore biologico, cioè il tipo e la varietà degli aminoacidi che le compongono, facendo attenzione a introdurre molte specie vegetali diverse, dal profilo aminoacidico complementare.
Le proteine vegetali, infatti, hanno un profilo aminoacidico solo parzialmente sovrapponibile a quello umano. Ciò può causare il problema dell’aminoacido limitante, ossia la carenza di uno specifico aminoacido , come la metionina. Per evitarlo, non serve ricorrere per forza a integratori: basta variare i legumi e abbinarli ai cereali, così da ottenere un insieme di aminoacidi più completo, simile a quello ottenuto attraverso le proteine animali. La dieta mediterranea può fornirci molti spunti di ispirazione in questo senso: pensiamo, ad esempio, ad un classico piatto di pasta e fagioli”.
Tra le macromolecole a cui deve prestare particolare attenzione chi segue una dieta vegana ci sono anche i grassi della serie omega-3, che si trovano soprattutto nel grasso del pesce. “Un apporto sufficiente di questi acidi grassi è fondamentale per mantenere bilanciato il rapporto con gli omega-6 (abbondanti nella frutta secca) così da ridurne il potenziale effetto infiammatorio”, spiega Mele. “Il consumo di alghe commestibili può sopperire a questa carenza, perché questi vegetali contengono omega-3 nella loro forma bioattiva, la stessa presente nel pesce. Diverso il caso dell’olio di lino – spesso presente nell’alimentazione vegana – che contiene solo un precursore degli omega-3 bioattivi, convertito nella sua forma bioattiva con scarsa efficienza all’interno del nostro organismo”.

“Per quanto riguarda invece i micronutrienti, il più critico in una dieta vegana è la vitamina B12, essenziale per l’assorbimento del ferro e la formazione dei globuli rossi”, prosegue Mele. La carenza di B12 – che si manifesta solitamente tra i tre e i sei anni dopo dall’inizio della transizione vegana – può causare una forma specifica di anemia (detta macrocitica) e determinare problemi neurologici. Per questo, sottolinea il nutrizionista, è importante sopperire a questa mancanza attraverso l’uso di integratori specifici, disponibili in formulazioni compatibili con la scelta vegana.
“Oltre alla B12, vale la pena menzionare altri tre micronutrienti facilmente reperibili negli alimenti di origine animale ma più difficili da garantire con una dieta esclusivamente vegetale, ovvero il ferro, il calcio e la vitamina D”, prosegue Mele.
“Il ferro di origine animale è detto ferro emico, perché è incapsulato all'interno di una molecola chiamata eme, che ne facilita l’assorbimento da parte dell’apparato digerente. Al contrario, quello contenuto in frutta, verdura e legumi è un ferro “non emico”, presente in quantità più ridotte e più difficile da assimilare perché privo di questa protezione. Per evitare l’ossidazione del ferro libero contenuto nei vegetali – facilitando così il suo assorbimento – è bene consumarlo insieme a sostanze acide, ad esempio condendo le verdure con succo di limone.
Il calcio, invece, che si trova soprattutto nei latticini, può essere assunto attraverso il consumo di semi di sesamo (ma solo se macinati, poiché il nostro organismo non produce gli enzimi necessari a rompere il tegumento della cariosside che li riveste) oppure, in maniera ancora più efficace, bevendo le cosiddette “acque dure”, che sono naturalmente ricche di questo minerale. Vale la pena specificare che il calcio presente in queste acque non va confuso né con le sostanze responsabili dei calcoli renali (in particolare, l’ossalato di calcio) né con il calcare che si deposita negli elettrodomestici (costituito da carbonato di calcio).
La vitamina D ha invece una particolarità: parte di essa viene introdotta attraverso l’alimentazione, ma anche il nostro organismo è in grado di sintetizzarla attraverso un processo innescato dai raggi UV; perciò, è possibile stimolare il corpo a produrre la giusta quantità di vitamina D esponendo viso e braccia al sole per circa venti minuti al giorno (senza trascurare, però, l’uso della crema solare, ndr)”.
Quelle appena elencate sono le carenze più frequentemente riscontrate in chi segue un’alimentazione vegana e alcune possibili strategie per prevenirle. La questione, però, è un po’ più complessa: ogni persona ha esigenze diverse, legate alle proprie condizioni di salute e a eventuali sensibilità alimentari.
“I fabbisogni energetico-proteici individuali possono essere valutati correttamente solo da un professionista della nutrizione, tramite misurazioni ambulatoriali che includano, se possibile, anche la valutazione della massa muscolare”, spiega Mele. “In generale, il consulto di un professionista è consigliato a chiunque decida di iniziare una transizione vegetariana o vegana ed essenziale, invece, per chi si trova in particolari condizioni parafisiologiche (come donne in gravidanza o persone giovani ancora in fase di sviluppo) o patologiche. Per esempio, nei pazienti oncologici, i supplementi nutrizionali necessari a prevenire la cachessia – una grave condizione di deperimento – o a garantire la prosecuzione delle terapie spesso contengono proteine di origine animale. In questi casi, seguire rigidamente una dieta vegana potrebbe comportare rischi per la salute: è quindi necessario trovare un equilibrio tra le scelte alimentari e le esigenze mediche, rinunciando, se necessario, al rigore della dieta per tutelare la propria salute”.
Viene inoltre da chiedersi se esista qualche differenza di genere di cui tenere conto quando si valuta l’impatto di un’alimentazione vegana su uomini e donne. A riguardo, Mele menziona il rischio di carenza di calcio, che è tendenzialmente più elevato nelle donne, le quali nel corso della vita sono maggiormente esposte alla demineralizzazione ossea, soprattutto con l’arrivo della menopausa. “In presenza di osteopenia o osteoporosi può rendersi necessario ricorrere all’uso di integratori, ma nella maggior parte dei casi non c’è motivo di consigliare l’abbandono della dieta vegana”, spiega il dottore. “Altre differenze nutrizionali non dipendono tanto dal sesso biologico quanto dalla composizione corporea – generalmente, ma non sempre, caratterizzata da una muscolarità più sviluppata negli uomini – un aspetto di cui è importante tenere conto per personalizzare al meglio l’intervento nutrizionale”.

Se pianificare e variare l’alimentazione può sembrare complicato, in realtà è solo questione di abitudine. Anzi, come sottolinea Mele, un minimo di attenzione (senza esagerare) dovremmo averla tutti e tutte, indipendentemente dal regime alimentare.
“Le abitudini culinarie e le preferenze personali espongono ognuno di noi a rischi diversi di eccessi o carenze nutrizionali”, spiega. “Così come si valutano pro e contro di una dieta vegana, lo stesso si può fare per qualunque modello alimentare, compreso quello onnivoro: chi lo segue, ad esempio, tende spesso a consumare troppa carne processata o prodotti ricchi di grassi saturi e una quantità di fibre insufficiente rispetto ai livelli raccomandati.
Chi adotta una dieta vegana, invece, è più esposto alle carenze già elencate, ma in genere assume meno alimenti ad alta densità energetica o ultraprocessati. Questo si traduce in un minor rischio di sovrappeso e obesità, principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari croniche, come l’ipertensione (naturalmente, parliamo di tendenze emerse da studi condotti su grandi numeri: ogni individuo è un caso a sé e i fattori in gioco sono molti, alcuni ancora poco noti) e correlati a una maggiore probabilità di insorgenza di diabete di tipo II e diversi tumori. Insomma, qualunque sia la dieta seguita, qualche rischio di carenza può sempre esserci, ma proprio per questo è possibile anche individuarlo e correggerlo”.
“È importante, in ogni caso, evitare semplificazioni eccessive e atteggiamenti troppo rigidi”, riflette Mele. “Negli ultimi trent’anni, infatti, sono aumentati entrambi gli estremi: da un lato i disturbi legati a un’alimentazione eccessiva, dall’altro quelli connessi a un controllo troppo restrittivo del cibo, come la carbofobia o l’esclusione totale degli zuccheri. Per questo motivo è importante che anche il nutrizionista sappia distinguere i casi in cui una decisione dietetica è guidata da motivazioni etiche o di sostenibilità da quelli in cui, invece, vi sia il sospetto di un disturbo alimentare, che richiede il supporto anche di altre figure professionali”.