UNIVERSITÀ E SCUOLA
Museo dell'Educazione, una ricchissima testimonianza della storia del processo formativo
Giocattoli, arredi scolastici, disegni a pastello, documenti, sussidi didattici, oggetti per l'infanzia e molto altro ancora, in una delle più ricche collezioni europee dedicate alla storia dell'educazione, con pezzi che vanno dall'Ottocento agli anni '70 del secolo scorso.
Il museo dell'Educazione, istituito nel 1993 dal dipartimento di Scienze dell'educazione e oggi parte del dipartimento di Filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata (FISPPA), contiene un patrimonio tra i più vasti nel suo genere costituito da oggetti, scientificamente selezionati, che custodiscono la memoria della vita scolastica e formativa del passato.
Visitandolo si può tornare indietro nel tempo e avere un'idea di quale aspetto potesse avere un'aula scolastica fino a meno di mezzo secolo fa, con la cattedra in posizione sopraelevata, le cartelle di pelle, le filmine che si mettevano in un proiettore per ottenere immagini fisse con cui accompagnare l'insegnamento, la stufa per i mesi più freddi, le tabelle con il sistema metrico decimale.
Ma, soprattutto dopo il riallestimento effettuato durante il periodo di chiusura per il Covid, il museo ha deciso di ampliare lo sguardo all'intera dimensione educativa, senza limitarsi al contesto scolastico ma scegliendo di comprendere testimonianze che riguardassero anche la dimensione familiare e la sfera del gioco (oltre appunto a quella dello studio). Il risultato è una collezione straordinaria che risponde non solo alle esigenze scientifiche di ricercatori impegnati ad approfondire la storia del sistema formativo italiano, ma si rivolge anche alle scuole di oggi, con mostre e attività divulgative, e si apre al territorio e a tutto il pubblico interessato.
Nel video la professoressa Carla Callegari, responsabile scientifica del Museo dell'educazione, e la curatrice Elena Santi illustrano il progetto che ha ispirato il recente riallestimento e si soffermano su alcuni oggetti della collezione.
Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar
Il museo dell’Educazione si trova in via degli Obizzi, nel centro di Padova, al terzo piano dell'Ex-Eca, un palazzo che è stato costruito tra la fine dell’800 e gli anni ’30 del secolo scorso e che un tempo era di proprietà dell'Ente comunale di assistenza.
Da subito ma ancor di più dopo la riapertura che ha fatto seguito al recente riallestimento il museo "ha scelto di mettere al centro il fenomeno educativo che è molto più ampio rispetto alla sola dimensione scolastica", introduce la professoressa Carla Callegari, prima di passare ad illustrare il percorso di visita che si articola in tre sale.
La prima sala contiene oggetti e materiali per la cura dell'infanzia, ma anche giocattoli e giochi tra cui modellini di aerei e treni, bambole, cavalli a dondolo dipinti a mano e un monopattino in ferro e legno della prima metà del '900. In questo spazio è possibile ammirare anche due piccoli veri e propri capolavori dell'ingegno artigianale, entrambi risalenti agli anni '20 del XX secolo, come un grande teatrino portatile itinerante e un ottovolante dotato anche di una dinamo con un motorino per far muovere i vagoni.
"A partire dall'800 cominciò a sorgere un sentimento nuovo dell’infanzia, cioè la consapevolezza che il bambino non è un piccolo adulto ma è una persona con specifiche esigenze e bisogni e a cui bisogna dare cura e attenzioni. Tutto questo ci permette di osservare come i materiali dedicati alla cura dei bambini abbiano conosciuto uno sviluppo sempre più interessante, sia dal punto di vista estetico sia da quello funzionale, con un’attenzione crescente alle caratteristiche del bambino, come l’altezza, in modo tale da favorire un uso autonomo degli oggetti", spiega Elena Santi, curatrice del museo dell'Educazione.
Un esempio tra i più pregevoli è un seggiolone di produzione artigianale francese, risalente agli inizi del ‘900. "E' un oggetto molto bello e raffinato, curato in ogni dettaglio, decorato con il pirografo e che reca anche la firma dell’artigiano che lo ha realizzato. La sua particolarità è che, attraverso una serie di meccanismi e giunture, si può trasformare in un tavolino più basso con un piano di gioco e un piccolo abaco".
La seconda sala, oltre a strumenti per l'educazione professionale e oggetti collegati a fenomeni particolari, come la scuola all'aperto (di cui Padova - ricorda la professoressa Callegari - è stata antesignana, seguita poi da Este), presenta un'ampia collezione di sussidi didattici.
"Sono materiali utilizzati in tutte le scuole di ogni ordine e grado dagli insegnanti come supporto per le lezioni. Si spazia un ampio repertorio di filmine a immagine fissa, agli strumenti per realizzare esperimenti nell'ambito dello studio della chimica e della fisica, ai modellini di gesso per la zoologia o gli animali tassidermizzati, fino ai solidi geometrici, anche smontabili, o strumenti per l’insegnamento delle unità di misura e del sistema metrico decimale", prosegue Elena Santi.
Una sezione a parte, sempre in questa sala, è invece dedicata ai materiali provenienti dalle scuole dell’infanzia "con i coloratissimi materiali montessoriani o i doni fröbeliani. La normativa scolastica di fine ‘800 prevedeva che le scuole ottemperassero all’obbligo di fornire agli insegnanti materiali di supporto per la lezioni. La stessa normativa però prevedeva anche che qualora la scuola non fosse stata in grado di farlo, la produzione dei materiali fosse demandata all'ingegno degli insegnanti", spiega la curatrice del museo dell'Educazione. In esposizione ci sono quindi anche materiali realizzati a mano da maestre e maestri. In altri casi invece la provenienza è industriale "come alcune scatole, realizzate delle case editrici Vallardi di Milano e Paravia di Torino, che sono delle vere e proprie collezioni di materiali necessari per lo studio della filiera produttiva delle industrie, come quelle della canapa o del lino. A partire dalla materia prima, costituita dai semi, si passava alla descrizione del filato nella sua forma più o meno grezza, per arrivare poi agli scampoli di tessuto", continua Elena Santi. In queste vetrine è presente anche un prototipo di apparecchio per la fusione dei colori in legno e ferro ideato nel 1885 da Ida Pilotto Sottini.
La visita si conclude con la terza sala, una ricostruzione fedele di un’aula scolastica come è rimasta nella realtà dal 1861 fino a un secolo dopo. "Questo ci parla, da un punto di vista anche politico di una certa calcolata incuria, come la definiscono gli storici, che riguarda la scuola italiana. Dall’altro lato ci permette di fare un accenno alla contestualizzazione storica e toccare con mano la concretezza dell’educazione, raccordando così la storia delle idee con la concretezza delle prassi educative", osserva la professoressa Carla Callegari.
La responsabile scientifica del museo dell'Educazione si sofferma su alcuni disegni effettuati con i pastelli dagli insegnanti che erano in formazione. "Nel 1923 Giovanni Gentile riforma la scuola italiana e nasce l’Istituto magistrale. I maestri avevano il compito di coltivare la propria spiritualità e la propria dimensione estetica e, una volta a scuola, coltivare anche quella degli alunni. Proprio nell’istituto magistrale viene introdotta la materia disegno e storia dell’arte e quindi gli insegnanti devono saper schizzare alla lavagna gli argomenti di cui parlano. Queste due serie di disegni ci raccontano di come questi ragazze e ragazze imparavano a disegnare: alcuni riguardano libri che si leggevano, altri riguardano ricorrenze dell’anno, come il Natale o il Carnevale, altri ancora i lavori, gli animali o tutto ciò che l’insegnante può comunicare. E’ un esempio di oggetti che ci raccontano una storia", prosegue Callegari.
"Questo museo quindi si occupa di memoria dell’educazione e anche di educazione alla memoria. L’intento è duplice: da una parte conservare tutto ciò che riguarda l’educazione ma soprattutto permettere di fruire di questo patrimonio culturale ed educativo. Riflettere sui passati dell’educazione ci permette di comprendere meglio il presente e soprattutto progettare tanti futuri diversi, anche inclusivi. E’ inoltre uno spazio che permette di avvicinarsi all’idea di un’educazione alla memoria e riflettere sulle culture che si sono intrecciate anche sul nostro territorio", conclude la professoressa Carla Callegari.