SOCIETÀ

La NATO è pronta a cambiare: per il vertice dell'alleanza si pensa a una donna

«Dopo 72 anni dalla sua fondazione, è arrivato il momento di cambiare, e di affidare a una donna la guida della Nato». L’indiscrezione filtra da Bruxelles e rimbalza nelle cancellerie dei Paesi che aderiscono all’Alleanza Atlantica (oggi sono 30, 21 dei quali fanno parte dell’Unione Europea). Paesi che da qui a qualche mese dovranno scegliere il successore dell’attuale segretario generale Jens Stoltenberg, norvegese, il cui mandato (prorogato di un anno a causa della pandemia) scadrà nel 2022. Il prossimo vertice della Nato si terrà a Madrid, presumibilmente tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate del prossimo anno: dunque c’è poco meno di un anno di tempo per individuare il nome giusto, che sia sintesi interna, ma anche capace d’interpretare con fermezza e autorevolezza sulla scena internazionale i punti cardine dell’azione politica dell’Alleanza, a partire dal “muro” alzato contro il dilagare di Cina e Russia. «Il mondo è cambiato: prenderemo decisioni importanti sul futuro dell’Alleanza», ha dichiarato Stoltenberg, che ha rimarcato la necessità di aggiornare il prossimo “Concetto strategico” della Nato (l’ultimo era stato concordato nel 2010 al summit di Lisbona), magari inserendo alcuni temi chiave che all’epoca neppure esistevano: i rapporti complessi con la Cina e la Russia, la difesa informatica dai cyber-attacchi  sempre più sofisticati, oppure il tema del cambiamento climatico legato alla sicurezza, vale a dire la riduzione significativa delle cosiddette “emissioni militari”.

Al gran ballo delle candidature

Ma non sarà lui a guidare la Nato verso il “progetto 2030”. E sul nome del successore, che dovrebbe essere annunciato proprio al vertice di Madrid, s’è immediatamente scatenata una ridda d’ipotesi. Il ruolo è prestigioso e fa gola a molti: a sgomitare in prima fila c’è il Regno Unito, che tanto vorrebbe riacquistare, dopo la vicenda Brexit, un ruolo centrale di coordinamento e di influenza internazionale. Ma anche all’Italia non dispiacerebbe affatto ottenere la casella della più alta carica civile dell’Alleanza Atlantica. Difficilmente l’incarico sarà affidato di nuovo ai paesi del Nord Europa: gli ultimi tre Segretari generali, dal 2004 a oggi, sono stati Hoop Scheffer (olandese), Anders Fogh Rasmussen (danese) e, appunto, il norvegese Stoltenberg. Il Regno Unito ha già espresso 3 dei 13 Segretari nominati dal 1949 (anno di fondazione della Nato) a oggi. Anche l’Olanda è a quota 3. Due nomine per il Belgio. L’Italia ha ottenuto l’incarico una sola volta, con Manlio Brosio, liberale, antifascista, (dal 1964 al 1971), oltre a tre brevi “interim” ricoperti dagli ambasciatori Sergio Balanzino (due volte) e Alessandro Minuto-Rizzo. Un solo Segretario anche per Germania e Spagna. La Francia non ha finora mai ricoperto il ruolo, ma per un’eventuale candidatura forte bisognerà attendere l’esito delle prossime elezioni presidenziali di settembre (l’eventuale vittoria di Marine Le Pen allontanerebbe l’ipotesi di una nomina francese). Tra i paesi fondatori, anche Canada, Portogallo, Islanda e Lussemburgo non hanno mai espresso un Segretario generale. Gli Stati Uniti non concorrono, in base a una regola non scritta. A loro già spettano le più alte cariche militari, quelle civili le “lasciano” agli europei. Anche se non si muove foglia che alla Casa Bianca non piaccia.

Ma al di là delle autocandidature (Theresa May per la Gran Bretagna, addirittura qualcuno aveva ipotizzato Matteo Renzi per l’Italia, poi superato nel toto-nomine da Federica Mogherini, ex Alta rappresentante dell’UE per gli affari esteri) comincia pian piano a farsi più chiaro l’identikit di chi prenderà il posto di Stoltenberg al quartier generale della Nato, in Avenue Leopold III. Gli input che arrivano da Bruxelles sono due, talmente forti e netti da lasciar immaginare che la rotta sia ormai tracciata: l’incarico sarà probabilmente affidato a una donna, per la prima volta nella storia. E potrebbe spettare a una leader dell'Europa orientale, quasi a voler sottolineare, anche simbolicamente, l’importanza della “cerniera orientale”, quella che separa e difende la “coalizione delle democrazie” dalla Russia. «NATO’s next mission: find a new boss», titolava pochi giorni fa Politico, l’autorevole quotidiano americano online. Pubblicando le foto delle candidate al momento più accreditate: Kersti Kaljulaid, attuale presidente dell’Estonia, Kolinda Grabar-Kitarović, ex presidente della Croazia, e Dalia Grybauskaitė, anche lei ex presidente, ma della Lituania.

Rapporti con Mosca e minacce digitali

Tutte donne, tutte dell’Est, tutte con un ruolo importante da spendere sulla scena internazionale, ma comunque diversissime tra loro, per formazione, indole e storia politica. La favorita, se così si può definire a tanti, forse troppi, mesi dall’elezione (che dovrà vedere la convergenza di tutti gli stati membri, ma con una maggiore influenza riconosciuta a Stati Uniti, Germania, Francia e Regno Unito), sembra essere  Kolinda Grabar-Kitarović, prima presidente donna della Croazia (dal 2015 al 2020), che tra il 2011 e il 2014 ha già lavorato per la Nato, come assistente del Segretario generale. Insomma: una che già conosce la macchina. Conservatrice, di centrodestra, ex ambasciatrice negli Stati Uniti, un portafogli di contatti diplomatici di prim’ordine, “accusata” di essere un po’ troppo vicina allo zar Putin. Una a cui, peraltro, l’ego non fa difetto: «Lo ammetto, non sono sorpresa, ma sono davvero onorata di essere in lizza per questo compito estremamente importante», ha dichiarato Grabar-Kitarović al magazine Nacional. «Dopotutto, è una sorta di riconoscimento e un’ulteriore conferma internazionale di attenzione verso la Croazia. Dire di più in questo momento sarebbe davvero prematuro e poco professionale». Il presidente croato, il socialdemocratico Zoran Milanović, ha detto che la sua elezione «sarebbe utile per la Croazia, ma comunque è troppo presto per parlarne, queste cose spesso si risolvono all’ultimo minuto».

Tra le sue “rivali” qualche seria chance potrebbe averla Dalia Grybauskaitė, anche lei ex presidente della Lituania e prima donna a salire a questa carica, dopo diverse esperienze come diplomatica (ambasciatrice presso l’Unione Europea prima, e negli Stati Uniti poi) e come politica (ministro delle Finanze, prima dell’incarico presidenziale). Parla quattro lingue: inglese, russo, polacco e francese. Una “lady di ferro”, capace di farsi rieleggere per un secondo mandato, ma senza riuscire ad allontanare il sospetto di aver studiato alla scuola del Kgb. Una che comunque non ha esitato a schierarsi apertamente contro Vladimir Putin, rifiutando qualsiasi cooperazione con Mosca e sostenendo apertamente le sanzioni occidentali contro la Russia. Insomma, un baluardo che la Nato potrebbe spendere in funzione di monito da lanciare al Cremlino. Purché Grybauskaitė non ecceda e sappia adattarsi a quel che il nuovo ruolo impone: Joe Biden vuole sì abbaiare, ma al recente incontro bilaterale con Putin, a Ginevra, s’è pubblicamente impegnato a migliorare le relazioni con Mosca. Con l’obiettivo di non farsi, reciprocamente, troppo male.

Infine Kersti Kaljulaid, presidente in carica dell’Estonia, ex funzionaria statale, per 12 anni rappresentante dell'Estonia presso la Corte dei conti europea. E’ stata descritta come “campionessa della riforma digitale”, per un paese che Wired ha definito “la società digitale più avanzata al mondo”, con il 99% dei servizi statali disponibili online e oltre mille startup che proprio lì hanno trovato l’ambiente ideale per crescere e innovare, e con una situazione economica“che fa passi da gigante”. Con lei alla guida, la Nato potrebbe fare a sua volta enormi passi in avanti nella lotta alle minacce digitali. Ma è ancora troppo presto per tirare le somme. I prossimi mesi saranno decisivi per scremare o consolidare le candidature, o per salutarne di nuove. Per trovare la necessaria convergenza, con il placet di Washington. Ma che a breve si possa parlare della “quattordicesima Segretaria generale della Nato” sembra molto più di una suggestione.

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