CULTURA

I (due) Nobel alla letteratura sono mitteleuropei

Quest’anno, dopo gli scandali sessuali che hanno sfiorato alcuni membri dell’Accademia di Svezia a seguito dei quali è stato deciso di non consegnare il Nobel alla Letteratura nel 2018, il prestigioso riconoscimento è stato assegnato quindi non a uno, ma a due scrittori. Anzi, a uno scrittore e una scrittrice (scelta abbastanza prevedibile, vista la rara occasione: l’unico precedente è del 1950).

Sono l’austriaco Peter Handke – poeta romanziere, saggista classe 1942 – con la motivazione: “per il suo lavoro influente che con abilità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana” e Olga Tokarczuk, polacca, relativamente giovane per aver ricevuto il massimo riconoscimento che, vale la pena ricordarlo, viene dato all'autore che nel campo della letteratura mondiale "si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale" e quindi nulla ha a che vedere con la fama, le vendite, il plauso. Tokarczuk, per inciso, aveva vinto nel 2018, con la sua ultima fatica, I vagabondi (pubblicato in Italia da Bompiani nel 2019 e passato abbastanza sotto silenzio – i librai in questo momento stanno cercando di riassortirne le giacenze che sono alla meglio di qualche copia –), nientemeno che l’International Man Booker Prize. L’autrice, tradotta in più di trenta paesi, è stata premiata per “l’immaginazione narrativa che con enciclopedica passione rappresenta l'attraversamento dei confini come forma di vita”.

Anche stavolta i pronostici che interessavano i “soliti noti” (Murakami, ma anche Atwood, McEwan, Marias ecc.) sono stati disattesi. Nella disamina dei possibili vincitori europei effettuata da Cristina Taglietti su La Lettura il nome della Tokarczuk c’era: “poetessa, narratrice, viaggiatrice di formazione junghiana, in patria di grande successo, impegnata sul fronte femminista ed ecologista”.

Una sua descrizione ce la offre la stessa scrittrice ne I vagabondi: “Sono maneggevole, minuta e compatta. Ho uno stomaco piccolo e poco esigente, polmoni forti, ventre piatto e braccia muscolose. Non prendo né farmaci né ormoni, non porto gli occhiali. Mi rado i capelli a zero ogni tre mesi e praticamente non uso cosmetici. Ho i denti sani, forse un po’ irregolari, ma ce li ho tutti, ho solo una vecchia otturazione, mi pare sul primo molare in basso a sinistra. Il fegato e il pancreas funzionano bene, il rene destro e il sinistro sono in condizioni perfette. La mia aorta addominale è nella norma. Vescica: regolare. Emoglobina: 12,7. Leucociti: 4,5. Ematocrito: 4,16. Piastrine: 228. Colesterolo: 204. Creatinina: 1,0. Bilirubine: 4,2, e così via. Il mio QI – per chi ci crede – è 121: sufficiente. Ho un’immaginazione tridimensionale particolarmente sviluppata, quasi eidetica, mentre ho una lateralità scarsa. Ho un profilo della personalità instabile, probabilmente inaffidabile, Età: psicologica. Sesso: grammaticale. Compro preferibilmente libri tascabili per poterli lasciare senza rimpianti sulle banchine delle stazioni, a disposizione di altri occhi. Non colleziono assolutamente nulla”.

Ho un’immaginazione tridimensionale particolarmente sviluppata, quasi eidetica, mentre ho una lateralità scarsa. Ho un profilo della personalità instabile, probabilmente inaffidabile, Età: psicologica. Sesso: grammaticale Olga Tokarczuk

Leggendo già solo questo passo è evidente che ci troviamo di fronte a un modo di scrivere che sta al passo con il mondo che cambia repentinamente, e che l’Accademia di Svezia ha voglia di premiare autori che s’inventino, in qualche misura, forme letterarie nuove. Che scrivano guardandosi intorno e contemporaneamente siano lanciati verso avanti. La scrittrice italo-americana Claudia Durastanti, recensendola lo scorso aprile, spiega che Olga Tokarczuk sta ridefinendo il rapporto tra scrittura, viaggio e l’io testimoniale. Dice: “Invece di rendere se stessa il sole di un romanzo attorno al quale ogni cosa gravita e ogni luogo attraversato si addensa, si trasforma in una stella all’interno di una costellazione – molti dicono una costellazione europea, ma il margine di riferimenti è molto più ampio –, un astro viaggiatore: uno dei tanti”.

E in effetti I vagabondi parte dalla scrittrice e a lei ritorna, passando attraverso le storie di altri e di altre (la sorella di Chopin, l’anatomista olandese che scoprì il tendine di Achille, un bambino nigeriano rapito e portato alla corte d’Austria ecc.), riflessioni messe di taglio (che frasi sono quelle riportate sulle confezioni di assorbenti?), mappe, disegni. L’io testimoniale, per riprendere il termine di Durastanti, integra perfettamente narrazione, saggistica, fatti celebri, vita quotidiana con il mondo incentrato sull’io cui ci stanno abituando (“a cosa stai pensando?” chiede Zuckelberg ai miliardi di utenti di Facebook).

Ma, a suo modo, e con vent’anni d’età in più, Peter Handke non fa poi qualcosa di tanto dissimile. Se il suo libro più noto e letto è forse Infelicità senza desideri, ritenuto un diamante della scrittura classica, in cui racconta la vita della madre avendone appreso il suicidio dal giornale, ne Il saggio sul Luogo Tranquillo discetta su cosa mai possa essere questo luogo, mescolando affermazioni filosofiche a racconti autobiografici, portando alla luce – anche lui – una forma inedita di testamento. Ad esempio quando scrive: “Quella volta la conformazione del luogo mi saltò all’occhio, non solo come luogo geometrico del sedile del water, della tazza, della cassetta dell’acqua, dei pulsanti dei tubi, del lavandino, del rubinetto e così via, ma anche di tutte le forme cubiche in vario modo vantaggiose.  […] Proprio così, i Luoghi Tranquilli, nella loro concentrata geometria, sono, ai miei occhi, insieme ad altri, luoghi dove appare la forma, e sono più misurabili di molti altri, più delle camerette tranquille, delle grotte degli eremiti nel deserto, dei chiostri di clausura, dei bunker antiatomici contro i neutroni o gli elettroni o sa Dio cos’altro”.

I Luoghi Tranquilli, nella loro concentrata geometria, sono, ai miei occhi, luoghi dove appare la forma, e sono più misurabili di molti altri, più dei chiostri di clausura, dei bunker antiatomici contro i neutroni o gli elettroni o sa Dio cos’altro Peter Handke

Potremmo accomunarli, Handke e Tokarczuk, nella ricerca di un’ibridazione dei generi (romanzo, saggio, narrazione poetica, ragionamento filosofico ecc.) che scavalca le definizioni e riparte dall’io narrante e dalla potenza della scrittura, che dirompe anche quando si parla di “cose piccole”.

Dopo Mo Yan e la Munro (rispettivamente cinese lui e canadese lei, nel 2012 e nel 2013), il Nobel non ha più abbandonato l’Europa, portando la Polonia a quota cinque (al decimo posto) e l’Austria a raggiungere la sua seconda medaglia. Ma sono considerazioni, queste, che lasciano il tempo che trovano. Come Paolo Zardi fa dire a un personaggio nel suo ultimo romanzo (L’invenzione degli animali, Chiarelettere): “Ancora con questa storia delle nazioni... Sembra che tu sia nata alla fine dell’Ottocento!”, chi crede che il romanzo sia vincolato eternamente alle sue forme primigenie e a lungo conservate non ha che da leggere i due vincitori del Nobel di quest’anno. E ricredersi.

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