Aggiornamento delle 22:50
"L’Istituto Superiore di Sanità ha appena comunicato alla task-force del Ministero della Salute l’esito positivo del test di conferma su uno dei rimpatriati da Wuhan e messo in quarantena nella città militare della Cecchignola". "Il paziente - continua la nota del Ministero - è attualmente ricoverato all’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma con modesto rialzo termico ed iperemia congiuntivale. L’Istituto sta coordinando l’organizzazione della sorveglianza epidemiologica a livello nazionale e supporta i laboratori di riferimento regionali per garantire una prima diagnosi tempestiva. Nei casi di positività al primo test l’Istituto effettua le analisi di conferma comunicandole alla task-force del Ministero della Salute".
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Il numero dei contagiati dal nuovo coronavirus continua a crescere. Ad oggi, sono 28.344 (26 in Europa) le persone che hanno contratto la malattia e 565 i morti. In Italia sono solo due i casi confermati (tre dopo la conferma dell'italiano rientrato a Wuhan ndr), ricoverati all’istituto nazionale per le malattie infettive “L. Spallanzani”. Nella mattinata di giovedì 6 febbraio, è giunta la notizia di un caso sospetto tra i 56 italiani rimpatriati dalla zona di Wuhan in Cina, per cui sono stati decisi ulteriori accertamenti.
Nel frattempo si ragiona anche su possibili terapie. Un team di ricercatori cinesi, guidato dalla scienziata Li Lanjuan della Zhejiang University, avrebbe individuato due medicinali apparentemente efficaci contro il nuovo coronavirus. I test preliminari avrebbero dimostrato che abidol e darunavir potrebbero inibire il virus negli esperimenti con cellule in vitro. Nei giorni scorsi anche in Thailandia una paziente avrebbe dimostrato un notevole miglioramento dopo la somministrazione di antivirali usati per curare l'influenza e l'Hiv. Ne abbiamo parlato con Enrico Girardi, responsabile dell’unità di Epidemiologia clinica dell’istituto “L. Spallanzani”.
In Italia solo due persone hanno contratto il nuovo virus, tanto che per il nostro Paese alcuni parlano di rischio zero. È così o potrebbero esserci altri contagi?
La situazione dell’Italia è al momento piuttosto tranquilla, perché tra le persone che teoricamente potrebbero essere state esposte a questi due pazienti non si sono manifestati casi secondari. Non possiamo ancora escluderlo, dati i tempi di incubazione, però è significativo il fatto che gli allarmi provenienti da chi in qualche modo è venuto in contatto con i due turisti cinesi e ha avuto dei sintomi, si sono dimostrati infondati. Il rischio di propagazione a partire da questi due casi appare estremamente basso. La possibilità che vengano importati altri casi è sicuramente presente, ma certo la soglia di attenzione è molto alta.
Ascolta l'intervista integrale ad Enrico Girardi dell'Istituto "L. Spallanzani". Montaggio di Barbara Paknazar
Dalla Cina, e nei giorni scorsi anche dalla Thailandia, giunge la notizia di possibili trattamenti per il nuovo coronavirus. Di che cosa si tratta e cosa ne pensa?
La strategia utilizzata nei Paesi più colpiti è quella di provare, soprattutto nei pazienti gravi, una serie di farmaci antivirali che abbiano dimostrato in vitro una potenzialità di effetto sul coronavirus. Ce ne sono diversi, sia farmaci utilizzati per la cura dell’Hiv, sia un medicinale sperimentato con discreti risultati nel trattamento nell’infezione da virus Ebola. Queste sono possibilità da non escludere. I dati che abbiamo in questo momento, però, sono su singoli casi. È stato riportato, ad esempio, di un paziente che ha avuto un miglioramento repentino dopo la somministrazione di un farmaco sviluppato contro Ebola in associazione con un altro utilizzato contro Hiv. Tuttavia, non si possiede nessun dato controllato e l’esperienza che deriva da altre infezioni virali fa pensare che non sia così facile trovare un antivirale attivo in questa situazione.
L’Organizzazione mondiale della Sanità raccomanda cautela…
Certo. Ci troviamo davanti a una malattia che causa la morte soltanto nel 2% delle persone colpite, nella stragrande maggioranza dei pazienti l’infezione guarisce spontaneamente, quindi, nel caso si somministri un farmaco, non è così ovvio dimostrare che l’eventuale guarigione sia dovuta effettivamente a quel medicinale. Dunque, la cautela su questi primi dati è sicuramente da condividere. In presenza di casi particolarmente gravi e in assenza di alternative, è giustificato fare dei tentativi con farmaci che non sono tossici, ma la cui efficacia è tutta da verificare. Da qui a dire che funzionino, però, il passo non è breve.
Nei giorni scorsi anche allo Spallanzani è stato isolato il virus. Questo ora cosa comporta?
Aver isolato il virus consentirà innanzitutto di migliorare e verificare i sistemi diagnostici. È importante poter vedere, dato che il virus è stato isolato in diversi Paesi, qual è la sua variabilità geografica. Non è compito di un istituto come il nostro sviluppare direttamente nuovi farmaci, quanto piuttosto collaborare alla loro messa a punto e avere la possibilità di coltivare il virus permette in questo momento di svolgere un’operazione come lo screening in vitro dei farmaci già disponibili.
Sars e Mers: è possibile fare un confronto con il nuovo coronavirus in termini di contagiosità e letalità?
Si tratta di tre virus che, a un certo punto, passano da specie animali all’uomo, sebbene per il coronavirus la specie animale non sia ancora stata identificata. I virus della Sars e della Mers sembra che non si siano adattati bene all’uomo. Nel caso della Sars, c’è stato un andamento apparentemente esplosivo, con una elevatissima gravità in fase iniziale, ma poi l’epidemia si è spenta. Questo virus aveva una letalità molto più elevata (rispetto al nuovo coronavirus Ndr), ma poi ha imboccato un vicolo cieco: un’infezione molto grave ha infatti meno possibilità di diffondersi, perché le persone malate hanno meno probabilità di poterne infettare altre. Non a caso uno dei grossi problemi della Sars è stata la diffusione in ambito assistenziale.
Il virus della Mers ha una gravità e una trasmissibilità intermedia tra quello della Sars e il nuovo coronavirus. Come quello della Sars, è stato responsabile di importanti eventi di trasmissione in ambito assistenziale. È un virus che in qualche misura è rimasto endemico, anche perché verosimilmente i passaggi nel serbatoio animale si ripetono nel tempo.
La nuova infezione da coronavirus ha un inizio apparentemente simile, ma una gravità molto più bassa. La grande maggioranza dei casi non richiede nemmeno ricovero ospedaliero. Si tende a ricoverarli per isolarli, ma non hanno una gravità tale da giustificare una ospedalizzazione. La sua efficienza di trasmissione da uomo a uomo allo stato dei fatti sembra però molto maggiore, dunque la capacità di diffondersi è molto alta e questo sembra testimoniato dal fatto che il numero dei casi è dieci volte quello della Sars e i numeri continuano a crescere. È una malattia molto meno grave clinicamente rispetto alla Sars ma con una diffusibilità interumana molto maggiore.
Nuovo #coronavirus:
— Ministero Salute (@MinisteroSalute) February 5, 2020
⭕se prendo gli antivirali prevengo l'infezione?
⭕come faccio a sapere se la mia tosse è dovuta al nuovo coronavirus?
⭕posso essere contagiato toccando le maniglie degli autobus?
Le risposte degli esperti @istsupsan ⤵https://t.co/fmgkuNnoWF pic.twitter.com/BD4jIPe3FT
A volte si fanno dei confronti anche con l’influenza, a ragione o a torto?
In qualche misura si può fare un confronto con l’influenza, perché come tipo di diffusibilità ricorda alcune forme influenzali e anche come gravità. Non dobbiamo dimenticare che anche l’influenza ha una sua letalità. Soprattutto quando colpisce persone già in condizioni debilitate, può provocare varie manifestazioni, tra cui una polmonite che in alcuni casi può essere letale.
Da un lato la diffusibilità dell’influenza è alta, dall’altro però è limitata dal fatto che esiste la vaccinazione e delle immunità più o meno diffuse, più o meno parziali o totali, rispetto ai principali ceppi circolanti. Siamo davanti dunque a un’infezione che non trova una popolazione immunologicamente vergine, ma c’è una certa capacità delle persone di resistere al contagio. I ceppi influenzali hanno poi una variabilità legata a meccanismi di ricombinazione: la malattia si presenta ciclicamente, con il rischio di generare virus in qualche misura completamente nuovi. Nel caso del nuovo coronavirus, non esiste ancora alcuna evidenza di un fenomeno di questo tipo.