CULTURA

Il nuovo Salce e tutto il cinema di Renato Casaro

La nuova sede del Museo nazionale Collezione Salce di Treviso apre le porte al pubblico e, per inaugurare gli spazi tanto immaginati e attesi, ora svelati dopo i rinvii dovuti alla pandemia, sceglie l'arte di Renato Casaro (Treviso, 1935). A lui è infatti dedicata la grande mostra di apertura L'ultimo cartellonista del cinema. Treviso, Roma, Hollywood, curata da Roberto Festi e Eugenio Manzato, con la collaborazione di Maurizio Baroni, e allestita dal 12 giugno al 31 dicembre in tre sedi cittadine: la restaurata Chiesa di Santa Margherita, il Complesso di San Gaetano (Museo nazionale Collezione Salce) e i Musei civici di Santa Caterina. 

Incontriamo Renato Casaro pochi giorni prima dell'inaugurazione della mostra che documenta 170 film partendo dal "prodotto finito", ovvero i manifesti a due e quattro fogli, destinati alle sale cinematografiche o all'affissione. A questi si affiancano i bozzetti di studio e gli “originali” (che servivano per stampare il manifesto), provenienti dall’archivio dell’artista e da collezioni pubbliche e private.

"Ho lavorato in tutto il mondo - racconta - portando sempre Treviso con me. Di questo progetto espositivo si iniziò a parlare già 6 o 7 anni fa, ma solo ora, e dopo oltre un anno di pandemia, è stato possibile realizzarlo. Sono molto felice".

Osservando i suoi manifesti, partendo dai primi degli anni Cinquanta e Sessanta, Casaro commenta ancora oggi il lavoro fatto, dedicando estrema attenzione ai dettagli. "Questo è bello, non crede?", "Qui invece avrei potuto fare di meglio". E svela così il tocco da maestro o il punto debole dell'opera. 

Dice di non riuscire a scegliere il "preferito": "Questa è una domanda che mi fanno spesso, ma ogni manifesto è custode di una storia, dietro a ogni lavoro ci sono esperienze, percorsi, difficoltà e gioie".

Collabora con Sergio Leone, "un uomo straordinario, voleva sempre lavorare con me", Claude Lelouch, Bernardo Bertolucci, Ingmar Bergman, Jean-Jacques Annaud, Dario Argento, Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore, che scrive: "Il più bel manifesto tra tutti i film che ho fatto. Grazie Casaro".

Per il ritratto di Alberto Sordi di Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, spiega, "ho lavorato molto, non solo osservando una fotografia ma cercando l'espressione, il giusto atteggiamento", e del famoso disegno con Terence Hill sdraiato sulla barella trainata da un cavallo, in Lo chiamavano Trinità di E.B. Clucher, racconta un aneddoto: "Ero solito lavorare partendo dalle fotografie di scena, mi venivano inviate e, a quel punto, io iniziavo a creare. In questo film le cose andarono diversamente, esattamente al contrario: in totale autonomia realizzai il disegno di Terence Hill sdraiato con il cappello calato sul viso, e da quel disegno nacque poi la scena del film. Funzionò come storyboard". 

Al piano superiore della struttura-cubo costruita dentro Santa Margherita, capolavori come I magnifici sette, C'era una volta in America, Amadeus, Il nome della rosa, Il tè nel deserto, L'ultimo imperatore  dialogano con i manifesti di film di tutt'altro tipo, da Rambo a Lo chiamavano Trinità, fino a Sapore di mare. Una conferma della versatilità dell'artista: Casaro ha infatti attraversato epoche e generi, collaborando con registi molto diversi tra loro, adattandosi alle esigenze delle produzioni e cercando per ogni film "la sintesi" perfetta. Il risultato è una sorta di fermoimmagine d'autore, potente, seducente, capace di far crescere nel pubblico il desiderio di incontrare una storia, accompagnandolo fino in sala.

"Ho imparato da chi mi ha preceduto, ma ho sempre cercato la mia strada". Da ragazzo inizia creando le grandi sagome, pezzi unici dipinti a mano, da collocare all'ingresso del Cinema Teatro Garibaldi e del Cinema Esperia di Treviso. Nel 1954, a soli 19 anni, parte per Roma e lì comincia a lavorare nello studio di Augusto Favalli dove impara tecnica e trucchi del mestiere. Pochi anni dopo, nel 1957, sempre a Roma, apre il suo studio. Non si ferma più, da Cinecittà arriva a Hollywood.

Casaro è il simbolo della scuola italiana di cartellonisti del cinema, arte/mestiere che ormai non esiste più. Da Treviso a Hollywood, passando per Roma, Casaro attraversa la seconda metà del Novecento lasciando in eredità una ricca galleria di manifesti, testimonianza preziosa per la storia del cinema. Così, ora, gli rendono omaggio il Ministero della Cultura, con la direzione regionale Musei Veneto, il Comune di Treviso e la Regione.

Museo nazionale Collezione Salce

"Oggi apre un nuovo museo statale, e dopo un anno così difficile mi sembra davvero un segnale importante". Di vera ripartenza. Chiara Matteazzi è la responsabile del Museo Salce di Treviso e, senza nascondere l'emozione, presenta i nuovi spazi trevigiani in cui passato, presente e futuro convivono e anzi, in qualche modo, si fondono. "Santa Margherita non è solo un contenitore - spiega -. Mi ero posta l'obiettivo di far dialogare le parti", attraversando il tempo. I muri della chiesa duecentesca, che l'abbandono e i bombardamenti hanno privato dei cicli di affreschi, offrono ora al visitatore giochi di luci, proiezioni e colori. Oltre alle proiezioni delle opere di Casaro e di altri manifesti storici della collezione, nella piccola cappella originaria laterale è possibile ammirare la ricostruzione virtuale degli affreschi delle Storie di Sant'Orsola. A completare l'esperienza "una cascata digitale interattiva con l'acqua immateriale che discende e proviene concettualmente dal parallelepipedo che contiene fisicamente l'archivio", la sala per la didattica, ricavata da una delle cappelle dell'abside di Santa Margherita, dove i più piccoli possono realizzare il loro manifesto sfruttando la tecnologia, e una postazione per i non vedenti con il manifesto de Il tè nel deserto di Bernardo Bertolucci in rilievo per poter essere percepito tattilmente.

La nuova sede accoglie e presenta la più importante raccolta italiana di affiches, costituita oggi da quasi 50mila pezzi, appartenuta al ragionier Ferdinando, detto Nando, Salce il quale, con testamento del 26 aprile 1962, determinò le sorti della sua straordinaria raccolta: "Lego allo Stato italiano, rappresentato dal Ministero della Pubblica Istruzione la mia collezione di manifesti pubblicitari raccolti durante un settantennio esistenti tutti e soltanto nei solai della mia casa in Borgo Mazzini 48, in Treviso, della quale collezione molti giornali, riviste e mostre hanno rilevato l’importanza per la storia degli stili e degli artisti e per le evoluzioni degli usi e costumi della collettività e ciò perché serva in scuole e accademie preferibilmente locali o del Veneto, a studio e conoscenza di studenti, praticanti e amatori delle arti grafiche". Grazie anche alla mediazione di Giuseppe "Bepi" Mazzotti, la collezione, con 24.580 pezzi allora inventariati, rimase a Treviso.

Nel 2011 il Ministero per i Beni culturali (oggi Ministero della Cultura) decide di mantenere la collezione nella città dove è nata, ovvero a Treviso, riservandole due edifici di proprietà demaniale, all’epoca in stato di abbandono: la chiesa medievale di Santa Margherita, al di là del fiume Sile, e il centralissimo edificio attiguo alla chiesa di San Gaetano, in via Carlo Alberto. Destinando il primo dei due spazi a sede fisica della collezione, ai laboratori di restauro ma anche a sede espositiva, vocazione quest’ultima che ha da subito improntato la seconda delle sedi, quella al San Gaetano.

"Mi piace fare rete - conclude Matteazzi -. Questo museo sarà un luogo dinamico, aperto, di sperimentazione, capace di accogliere arte, tecnologia e impresa".

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