CULTURA

Oltre la cronaca: la storia millenaria dei rom

Furti, sporcizia, baraccopoli, sgomberi, zingari, e la lista potrebbe continuare. È a queste immagini che tutti, più o meno consapevolmente, colleghiamo l’idea di rom. Del resto non si tratta di una novità, infatti nel corso della storia le popolazioni rom sono sempre state oggetto prediletto di queste associazioni che, con il passare del tempo, non hanno fatto che radicalizzarsi. Nell’ultimo periodo sono salite spesso agli onori della cronaca vicende che li riguardano, finite poi sui tavoli della discussione politica, che spesso ha visto alcune di queste situazioni delicate come il terreno ideale su cui coltivare i propri interessi e orientamenti. Particolarmente rilevante il fatto che Amnesty International il 18 marzo abbia preso una posizione ben precisa presentando il suo primo ricorso al comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, riguardante lo scandalo delle condizioni abitative dei rom in Italia, che secondo le loro ricerche risultano totalmente inadeguate agli standard e promotrici di segregazione sociale.

Ridurre la cultura rom a ciò che passa tramite i canali di informazione non rende però giustizia a quella che in realtà è una cultura millenaria. Di recente è sorta una nuova disciplina, la ziganologia, che si occupa di studi storici e demoantropologici che riguardano proprio le popolazioni rom. Fonti e testimonianze purtroppo non sono molte, ma quasi tutti sono in accordo su una possibile origine riconducibile all’India. Particolarmente rilevante lo studio della loro lingua, il romani o romanes, grazie alla quale riusciamo a ricavare informazioni e ad avanzare ipotesi sulle loro vicende migratorie, per esempio sono stati dimostrati contatti con greci, persiani e armeni. Stando all’interpretazione di alcune testimonianze scritte la presenza delle popolazioni rom sul suolo europeo risale già a prima del 1200 sotto l’impero bizantino, intorno al 1450 dovrebbe essere poi avvenuta la loro diffusione in tutta Europa. Ci sono molte cronache medievali che raccontano dell’arrivo di pacifici gruppi di pellegrini in vari paesi europei, che viaggiavano a piedi o a cavallo e che si accampavano nelle campagne fuori dalle città, se l’accesso a queste veniva negato. Da tener conto che le abitudini e i comportamenti di questi gruppi non erano omogenei, ma potevano variare in base al paese di approdo, così come variarono anche le modalità di accoglienza. Particolarmente aspro il destino cui andarono incontro nei territori dell’attuale Romania dove furono ridotti a schiavitù per ben cinque secoli, fino a quando il clima europeo delle rivoluzioni liberali ottocentesche invase anche queste aree portando alla loro liberazione.


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Il pregiudizio nei confronti delle popolazioni rom comunque non si affievolì, la percezione degli “invasori” non fece che crescere, tanto che molti paesi cominciarono ad adottare leggi contro di loro, raggiungendo l’apice con le persecuzioni della Germania nazista. Le leggi razziali emanate nel 1935 dichiararono i rom una “razza inferiore” senza alcun diritto, che andò incontro alla stessa sorte delle altre minoranze perseguitate dalla follia nazista. Dopo la guerra si aprì un bivio. Chi si stabilì nell’Europa orientale andò incontro a una continua marginalizzazione, talvolta anche al negazionismo di quanto subito durante l’Olocausto, e addirittura a terribili provvedimenti, uno su tutti quello che portò alla sterilizzazione di almeno 90.000 donne rom in Cecoslovacchia tra gli anni ’70 e ’90. Chi invece si stabilì nell’Europa occidentale conobbe, sebbene non in tutti i paesi, una progressiva integrazione che, se da un lato rappresenta un positivo segnale di convivenza pacifica, dall’altro porta come inevitabile conseguenza un indebolimento, se non una perdita, della cultura originaria di questi popoli.

Quanto è cambiata, davvero, la percezione che oggi abbiamo di questi popoli? È un’epoca strana la nostra, un’epoca in cui l’indignazione è ormai all’ordine del giorno, ma non sembra essere poi così democratica. Non possiamo permetterci di coltivare nuovamente quel clima d’odio e di indifferenza che la storia ha conosciuto troppo spesso. Occorre affrontare le oggettive criticità che riguardano la convivenza con questi popoli aprendo un tavolo di discussione a cui il pregiudizio e la strumentalizzazione politica non possono e non devono essere invitati.

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