SCIENZA E RICERCA

La paleodemografia e l’enigma dell’espansione greca nel Mediterraneo

Messina, Crotone, Taranto, Catania e poi ancora Siracusa, Agrigento, Napoli; molto più a ovest Marsiglia e Malaga, oltre a tante altre città sulle coste di Turchia, Egitto e Mar Nero: tra il IX e il III secolo a.C. il Mediterraneo pullula di navi greche che esplorano, commerciano, fondano più di 500 colonie. I motivi sono ancora in parte avvolti nel mistero: com’è stato possibile che da un territorio e una popolazione tanto piccoli sia partita un’espansione capace di irradiare tutto il mondo allora conosciuto? Certamente ci furono ragioni militari, tecnologiche e ideologiche, ma già da alcuni anni gli esperti puntano il dito anche sul fattore demografico: a spingere i più audaci a partire potrebbe essere stata infatti la crescita della popolazione nella madrepatria, a sua volta dovuta al miglioramento delle condizioni di vita.

Come studiare però le dinamiche di popolazioni vissute 2.500 anni fa, quando non c’erano registri né anagrafi? Un dilemma che ha impegnato generazioni di studiosi e che oggi potrebbe giungere a una svolta grazie allo studio prodotto da un’équipe italiana sul sito archeologico di Himera, a due passi dall’odierna Termini Imerese, e pubblicato sul prestigioso Journal of Archaeological Science. La ricerca, condotta su un campione 2.865 tombe poste nella necropoli a ovest del primitivo centro abitato, mira a tracciare l’andamento della mortalità degli abitanti, sfruttando le condizioni assolutamente peculiari di questo sito.

Himera infatti, secondo le informazioni riportate da Diodoro Siculo, fu fondata nel 648 a.C. da coloni provenienti da Messina, Siracusa e probabilmente dall’Isola Eubea, per essere distrutta dai cartaginesi nel 409 a.C. e in seguito mai più ripopolata. L’assenza di stratificazioni successive rende quindi il luogo unico per avere uno spaccato fedele di due secoli e mezzo di vita di una colonia greca: per questo negli ultimi anni il sito è stato oggetto di intense campagne di scavo, che finora hanno portato al rinvenimento di circa 13.000 resti umani. “Non sono molte necropoli dello stesso periodo scavate così massicciamente – spiega a Il Bo Live Irene Barbiera, docente di demografia storica presso il Dipartimento di Scienze statistiche dell’ateneo padovano e tra gli autori dello studio –. A Padova ci occupiamo da quasi vent'anni di paleodemografia: per questo gli archeologi che lavorano sul sito di Himera ci hanno contattati per tentare di applicare anche qui i metodi e i modelli che abbiamo messo a punto”.

Un aiuto decisivo per i ricercatori è venuto dai rituali funerari: nel periodo considerato infatti i bambini fino a cinque anni venivano sepolti in posizione rannicchiata dentro grandi vasi di terracotta (Enchytrismòs), vasi che spesso ci sono pervenuti anche quando il corpo nel frattempo si era dissolto. “Finora negli studi i bambini erano sottorappresentati, sia perché spesso sepolti in necropoli a loro dedicate, sia perché le loro ossa non resistono molto nel tempo – continua Barbiera –. Si tendeva quindi a proiettare all’indietro il regime di mortalità dell'età moderna, studiato sulla base dei registri parrocchiali a partire dal Concilio di Trento in poi. Grazie invece ai dati provenienti di Himera e a modelli demografici che abbiamo rielaborato a partire dalla migliore letteratura, abbiamo calcolato che nella città greca la speranza di vita poteva arrivare intorno ai 25-30 anni: molto inferiore alla nostra, ma superiore ad esempio a quella in età medievale. I dati di Himera sembrano mostrare una demografia tutto sommato espansiva, in sintonia con quelli di altre due necropoli greche che abbiamo utilizzato per un raffronto, a Metaponto (Basilicata) e ad Akraiphia in Beozia”.

Sempre dai dati ottenuti è stato possibile calcolare che circa il 62,5% dei nati vivi raggiungeva il quinto anno di età: “Un dato che può apparire basso ma che è superiore rispetto a quello del Veneto del 1830, quando moriva quasi la metà dei bambini”, commenta Gianpiero Dalla Zuanna, a sua volta docente di demografia presso l’università di Padova e tra gli autori dello studio (assieme a Norma Lonoce e Pier Francesco Fabbri, Università del Salento, e Stefano Vassallo, Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo). “I dati archeologici, combinati con i nostri modelli, sembrano dunque confermare che nelle città greche la mortalità giovanile e infantile fosse più contenuta non solo rispetto all’antica Roma, ma perfino all’Italia dell’Ottocento – spiega ancora lo studioso –. La discesa della mortalità infantile è una delle cause principali dell’espansione della popolazione, e questo sembra confermare che l’espansione greca nel mediterraneo possa essere legata anche a una demografia favorevole. Il perché ancora non lo sappiamo, anche se ad esempio intuiamo che queste popolazioni avessero un’alimentazione relativamente buona”. Per la prima volta al mondo ricercatori italiani sono dunque riusciti a dare una stima plausibile della mortalità infantile nel periodo classico: un vero e proprio punto di svolta per la comprensione di un’epoca fondamentale per lo stesso sorgere della civiltà a cui apparteniamo.

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