UNIVERSITÀ E SCUOLA

Pandemia, ma non solo: la scuola delle disuguaglianze

La scuola sta per finire. Anche se, per certi versi, è già finita. Per molti studenti che si trovano in condizioni svantaggiate, inoltre, le ripercussioni economiche e sociali della pandemia di Covid-19 potrebbero portare a un'interruzione definitiva del percorso scolastico. È sempre più evidente il rischio che la didattica a distanza e, in generale, l'interruzione delle attività scolastiche causino un aumento delle disuguaglianze già presenti tra gli studenti sia all'interno dei singoli paesi, sia a livello internazionale.

Ne abbiamo parlato con Tania Toffanin, professoressa di sociologia dell'educazione all'università di Padova e Maria Teresa Tagliaventi, ricercatrice confermata in sociologia dei processi culturali e comunicativi all'università di Bologna.

In uno studio di cui si parla in un recente articolo di Nature, è stato evidenziato come molti paesi meno sviluppati, prima dello scoppio della pandemia, si stessero gradualmente avvicinando agli obiettivi di sviluppo sostenibile delineati dall'ONU, per quanto riguarda il completamento della scuola primaria, ad eccezione di alcuni luoghi come l'Afghanistan, la Papua Nuova Guinea e alcune zone dell'Africa sub-sahariana settentrionale.

"Gli indicatori dell'ONU per lo sviluppo sostenibile sono senza dubbio importanti, ma la questione è più radicale. Occorre infatti interrogarsi anche sulla distribuzione delle risorse a livello mondiale, alla quale l'istruzione è direttamente collegata”, riflette la professoressa Toffanin. “Non possiamo parlare di traguardi educativi se non poniamo in discussione le disuguaglianze sociali ed economiche. L'Afghanistan, ad esempio, è uno dei paesi più poveri al mondo, ma è stato saccheggiato da decenni, a partire dall'invasione sovietica negli anni Settanta, e poi con l'operazione enduring freedom scatenata dagli stati uniti dopo il 2001. Bisogna quindi chiedersi cosa producano, in termini di disuguaglianze, queste pratiche coloniali che non hanno certo giovato ai processi di emancipazione della popolazione da condizioni di povertà”.

Di conseguenza, nei paesi in via di sviluppo, molti dei quali sono già afflitti da gravi difficoltà economiche, l'interruzione delle normali attività avrà quindi un impatto notevolissimo.

“L'incremento della povertà è un indicatore che spazza via qualsiasi esito della scolarizzazione”, sostiene la professoressa Tagliaventi. “Nel sud del mondo tutte le disuguaglianze e differenze sono amplificate, e solo in parte riguardano il sistema educativo. D'altronde, come si può pensare alla scuola se non si riesce neanche a sostentarsi? La scuola ha di certo un ruolo importantissimo nel colmare la disuguaglianza, ma da sola non basta. Sono necessarie anche delle politiche sociali, sul lavoro e diritti economici, sociali, politici esigibili da tutti”.

Le ripercussioni sul piano economico e sociale dovute al virus produrranno quindi un allargamento della forbice delle disuguaglianze già presenti, e non solo nei paesi più poveri.

Come sostiene la professoressa Toffanin, “c'è il rischio che questa ondata pandemica produca nuove disuguaglianze sociali che avranno un impatto diretto sulla tenuta dei livelli di scolarizzazione. Finita la pandemia, ci saranno infatti molte persone che non potranno permettersi di continuare la loro istruzione secondaria e terziaria. Basti pensare, ad esempio, ai ragazzi e alle ragazze che si mantenevano all'università attraverso lavori legati al turismo o alla ristorazione, oppure alle famiglie che non avranno più risorse disponibili per sostenere questo sforzo economico”.

Per quanto riguarda la didattica a distanza, inoltre, bisogna prendere in considerazione tutti i limiti di questa pratica e le ripercussioni che ha sugli studenti.

La tecnologia non è neutra, precisa la professoressa Toffanin. Non possiamo pensare che l'utilizzo di tutte le modalità che sono state utilizzate in questo periodo siano prive di una valenza sociale ed economica, a cominciare proprio dal fatto che non tutti hanno le risorse materiali sufficienti per permettersi una connessione stabile”.

“In Italia, il 13% degli studenti non sono stati raggiunti dal sistema della didattica a distanza, per cui, quando si ritornerà in classe, bisognerà anche considerare che il loro rapporto con la scuola si è fermato a febbraio”, spiega la professoressa Tagliaventi. “Ci sono poi quegli studenti che hanno partecipato. Ma in che modo? Il sistema a distanza non aiuta né supporta di per sé: in primo luogo perché presuppone che tutti gli studenti posseggano gli strumenti necessari per connettersi, e poi perché necessita, specialmente per i bambini più piccoli, la partecipazione attiva dei genitori. Anche se la scuola fosse riuscita a raggiungere tutti, per esempio distribuendo a ogni studente un tablet o un dispositivo in grado di connettersi a internet, non tutti i bambini sarebbero comunque in grado di seguire le lezioni allo stesso modo. Quegli studenti che già avevano alle spalle una famiglia che li appoggiava culturalmente, saranno ulteriormente avvantaggiati, ma non tutti i genitori supportano i figli a seguire le lezioni allo stesso modo, per non parlare di chi poi è svantaggiato perché non conosce la lingua. Che la didattica sia diventata "familiare", insomma, ha amplificato le disuguaglianze”.

Che non sia stato sufficientemente posto il problema dell'accudimento dei bambini che dovrebbero seguire le lezioni, ma che hanno genitori che non possono sostenerli perché si trovavano a lavoro oppure provengono da altri paesi e hanno difficoltà linguistiche, è un aspetto sul quale concorda anche la professoressa Toffanin: “non si sa come sia stata la tenuta di questi bambini, ma è probabile che siano stati ricacciati nelle difficoltà in cui si trovavano prima. All'inizio del prossimo anno sarebbe importante che a livello ministeriale ci fosse un'analisi seria per valutare come sono andati questi due mesi di didattica a distanza".

Quando si parla di didattica, non bisogna poi tralasciare di considerare, oltre agli indicatori quantitativi (come, ad esempio, l'aumento della frequenza scolastica o la percentuale di popolazione che raggiunge un diploma), la qualità dei sistemi educativi e il peso che le misure adottate per far fronte all'emergenza sanitaria possano avere su questo aspetto.

“Fare lezione attraverso il cellulare è difficile sia per gli studenti sia per gli insegnanti”, fa notare la professoressa Tagliaventi. “Non tutti i docenti sono in grado di insegnare in questo modo o di supportare al meglio i loro studenti. Alcuni sono stati molto capaci nel riconvertirsi, hanno combattuto per portare la didattica a tutti i loro studenti, altri ci hanno provato ma senza riuscirci del tutto, mentre ce ne sono alcuni che non ci hanno neanche provato.

La qualità di una scuola, quindi, passa anche attraverso la relazione degli insegnanti con gli studenti, che è stata trasformata, dal covid, in un rapporto mediato. Riagganciare affettivamente e relazionalmente alcuni studenti sarà difficilissimo, e aumenterà le disuguaglianze tra coloro che ce l'hanno fatta e coloro che, se torneranno a scuola, lo faranno con grandissime lacune anche relazionali, affettive e riguardanti l'apprendimento cognitivo”.

Infatti, bisogna sempre ricordare che la scuola non è una mera trasmissione di contenuti. “La didattica “senza corpi” è di per sé fallimentare”, afferma la professoressa Toffanin. “In questo, la stessa espressione “didattica a distanza” è un ossimoro, perché impedisce la condivisione di contenuti. La scuola, da sempre, ha svolto un ruolo fondamentale anche nel processo di costruzione identitaria e di socializzazione, perché l'aula in sé raccoglie soggettività diverse. L'interazione fisica fa la differenza, poi, anche per tutti i bambini e le bambine con disabilità di vario tipo, che rischiano di essere lasciati nell'ombra. Ecco perché questa formulazione della didattica a distanza deve essere pensata in termini di assoluta contingenza, e non può essere proposta come modello strutturale”.

“È davvero importante cogliere le sfide che ci pone questa pandemia e ragionare sulla nostra limitatezza e sull'importanza delle relazioni umane vissute in modo autentico. Sarebbe intellettualmente disonesto non sottolineare la valenza di genere, di classe e razziale della pandemia, che porterà in luce la polarizzazione sociale spesso abilmente occultata, ma sempre presente, nel nostro paese”, conclude la professoressa Toffanin.

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