SOCIETÀ

Parli emoji? La lingua scritta diventa disegnata

Faccine ricce, bionde, castane, sorridenti, sorprese, piangenti, donne col velo islamico, principesse con la corona, zombie. E poi animaletti, piatti di spaghetti, dolci, bandiere nazionali, sport d’ogni sorta e veicoli fra i più disparati. Sono talmente tanti, gli emoji (ufficialmente 2800 fra chat e social), che non serve più nemmeno scriverli, i messaggi. Basta mettere un disegnino dopo l’altro e il discorso è fatto.

Sull’emoji “calendario” la data è quella del 17 luglio e di conseguenza proprio quello è diventato il World Emoji Day, il giorno in cui celebriamo dunque una rivoluzione comunicativa. Perché di un vero linguaggio (con tutti i limiti del caso) ormai si parla, tanto che nel 2015 l’Oxford Dictionary ha eletto parola dell’anno proprio una faccina, quella con le lacrime di gioia, che poi è anche l’emoji più popolare degli ultimi anni: è stato il più usato nel 2017, davanti alla poo sorridente e alla faccina pensierosa. "Si tratta di elementi che si aggiungono a un linguaggio scritto - spiega Chiara Di Benedetto, docente di tecniche di scrittura all'università di Padova - Di fatto possiamo considerare gli emoji come dei pittogrammi che hanno lo scopo di trasporre attraverso le faccine un linguaggio emotivo per cui si usa la faccina che sorride o altro per trascrivere quello che in un dialogo faccia a faccia sarebbe un'espressione facciale". D'altra parte, l'uso di questi elementi delimita lo spazio, "costruendo dei testi non più fatti di parole, ma anche di immagini, dando così respiro al testo - conclude Di Benedetto - Ormai spesso si è visto che si legge con più facilità un post sui social in cui ci sono degli emoji".

È un linguaggio che si evolve ad una rapidità che mai fino ad oggi era stata registrata. “Un linguaggio senza dubbio universale che travalica l’ostacolo delle lingue”, secondo Vyvyan Evans, docente di linguistica alla Bangor University. Il professore inglese, che dal 2015 si dedica allo studio dell’uso degli emoji, analizza la diffusione delle tecnologie di comunicazione nel mondo per valutarne la penetrazione nell’uso quotidiano. “Solo attraverso le applicazioni social degli smartphone, nel 2015 sono stati scambiati 6 miliardi di emoji al giorno” afferma Evans. “In Gran Bretagna, la ricerca che ho condotto dimostra che circa l’80% di chi, fra i 18 e i 65 anni, usa uno smartphone, utilizza anche regolarmente gli emoji nei messaggi. E addirittura il 40% manda messaggi senza testo, composti solamente da emoji”.

 

In quanto linguaggio ha dunque un suo vocabolario, emojipedia. E in quanto fenomeno in costante evoluzione, è sottoposto a costante monitoraggio: emojitracker.com aggiorna in tempo reale gli emoji utilizzati su Twitter in tutto il mondo, dandoci un’immagine sorprendentemente globale del tenore – e dell’umore - delle comunicazioni social. I numeri ci dicono che gli emoji in qualche modo ci definiscono anche come nazioni: la faccina che manda un bacio con il cuoricino è l’icona più usata in Italia, Francia e Spagna; il viso con gli occhi a cuore è celebre in Sudamerica, mentre australiani e canadesi amano molto fare gli auguri di compleanno mandando l’icona della torta con le candeline; a ridere a crepapelle sono inglesi e statunitensi, assieme al sudest asiatico.

All’inizio però fu l’emoticon, non l’emoji. Era il 1982 e Scott Fahlman, un informatico della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, pensò di comunicare ai colleghi i propri stati d’animo con lapidari :-) oppure :-( Da questa intuizione si diffuse poi l’uso delle emoticon icon, poi abbreviate in emoticon. Il passaggio agli emoji, segni grafici più elaborati, vere e proprie immagini che prendono il posto dei caratteri a tastiera, si ebbe nel 1998 grazie alla NTT DoCoMo, un’azienda giapponese di comunicazioni che, avendo notato una forte crescita dell’utilizzo di emoticon, decise di studiare e realizzare un set di immagini con la stessa funzione. Attualmente, a occuparsi della creazione degli standard e dell’approvazione di nuove immagini, è l’Unicode consortium, organizzazione no-profit che sovrintende anche all’univocità della visualizzazione degli emoji su ogni dispositivo, indipendentemente dalla piattaforma o dal sistema operativo utilizzato.

Nel corso del Worldwide Developer Conference 2018 che si è tenuto a giugno a San Jose, in California, la Apple ha presentato i memoji, nuovi emoji in realtà aumentata, personalizzabili al punto da creare versioni virtuali di sé stessi. La comunicazione online, sempre più visuale, ha così sempre meno bisogno di essere elaborata e filtrata, e diventa meno fraintendibile e più diretta. Sarà sempre minore il rischio, probabilmente, di rimetterci la faccia. O la faccina.

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