SOCIETÀ

Il pecorino e la disfida del latte in Sardegna

C’erano una volta i pastori sardi che versavano latte e lacrime sulle strade della loro amata isola e, in realtà, ci sono ancora. Nonostante sia passato il clamore delle elezioni regionali i tavoli tecnici procedono: lo scorso, tenutosi a Sassari davanti al prefetto Giuseppe Marani, si è concluso con un nulla di fatto sulla possibilità di far salire il prezzo oltre i 72 centesimi al litro. Intanto, si è in attesa che diventi operativo il fondo da 50 milioni, predisposto dal governo, per ridurre le eccedenze.  

Il prezzo del latte ovino è legato alla vendita e al consumo di pecorino romano Dop, ma questo formaggio non è l’unico pecorino prodotto in Sardegna, naturalmente esiste anche il pecorino sardo Dop, marchio registrato nel 1996. C’è quindi da chiedersi dove sia finito il formaggio sardo per definizione. In Sardegna vengono prodotti, dagli stessi pastori o da altri trasformatori, dei buonissimi formaggi fatti con latte ovicaprino che nell’uso comune si definiscono genericamente come “pecorino”, perciò è possibile che ci si sia dimenticati di poter vantare anche una produzione Dop, seppure minore, come è quella del pecorino sardo, destinato a essere un formaggio da tavola

Per meglio capire il legame tra le due Dop e il mondo degli allevatori, Il Bo Live ha contattato il direttore del Consorzio di tutela del pecorino sardo Dop, in carica da vent’anni, Annalisa Uccella: “La produzione del pecorino romano è quella dominante, oltre il 60% della produzione della filiera ovina della Sardegna viene destinato a questa Dop. La sua zona di origine, però, non comprende solo il territorio della regione Sardegna, ma anche la regione Lazio e la provincia di Grosseto. Nell’isola esistono diversi opifici dediti alla produzione di questo formaggio, già da antica data, ed essendo la produzione maggiore, l'andamento del mercato relativo al pecorino romano ha determinato a cascata l'andamento di tutto il settore caseario di ovicaprino della Sardegna e ancor di più l'andamento del prezzo del latte”. 

Ciclicamente il pecorino romano entra in crisi per ragioni diverse, legate alla sovrapproduzione. Le motivazioni cambiano a seconda dell'interlocutore con cui ci si interfaccia: alcuni attribuiscono la sovrapproduzione del prodotto finito a una sovrapproduzione di latte, cosa che viene puntualmente smentita dai produttori di latte, che, invece, imputano la sovrapproduzione al fatto che i trasformatori non siano in grado di gestire i loro piani produttivi aziendali, finendo col produrre un prodotto che oltre una certa soglia non ha sbocchi di mercato. È comunque risaputo che oltre la soglia, che si aggira attorno ai 260mila quintali, si vada incontro a una crisi, infatti questo accade ciclicamente ogni 2 o 3 anni. Ciò comporta il crollo del valore del prodotto in esubero, che il mercato non è in grado di assorbire e, automaticamente, il crollo del valore della materia prima, cioè il latte”. 

Il pecorino romano e quello sardo hanno due destinazioni d’uso diverse, il primo è prevalentemente destinato alla grattugia e venduto sul mercato americano, anche se il consorzio di questa Dop sta cercando mercati alternativi. Il secondo, invece è fondamentalmente un formaggio da tavola e, come ci spiega il direttore del Consorzio di tutela, deve essere necessariamente prodotto con latte ovino 100% della Sardegna, fabbricato e stagionato in Sardegna, vanta una produzione di 650mila forme l'anno che vengono immesse al consumo attraverso la grande distribuzione, in Italia e nel resto dell'Europa. Da qualche anno sta arrivando nei mercati francesi, tedeschi e inglesi. Mentre, da circa un anno, si cerca di approcciare anche i mercati americano e canadese.

"Tuttavia questo formaggio fatica a decollare. Per quale motivo?" continua Annalisa Uccella "Ancora oggi la Dop viene confusa, in totale buona fede sia da parte degli addetti al banco dei Punti Vendita sia dai consumatori, con i pecorini generici prodotti in Sardegna, sempre buonissimi come tutto il formaggio sardo, ma che non sono Dop. Quando è nato il consorzio di tutela all'indomani del riconoscimento della Dop, il sistema legato al disciplinare di produzione e all'uso del marchio non esisteva.  Il consorzio di tutela ha dovuto mettere mano alle regole, affinché gli stessi produttori del pecorino sardo capissero che bisognava rispettare dei parametri. Grazie al lavoro di valorizzazione e promozione svolto dal Consorzio, il prodotto oggi è presente ovunque nella grande distribuzione e lo si può facilmente acquistare. Il problema vero è come fare a riconoscerlo? Noi abbiamo puntato tutto sulla timbratura e sull'etichettatura delle forme. Siamo l'unico consorzio che numera tutte le forme in uscita dai caseifici, questo a garanzia della tracciabilità: siamo in grado di risalire all'allevamento da cui è derivato il latte usato per fare il formaggio". 

Con tutto il latte che abbiamo in Sardegna, tutte le realtà possono coesistere: i generici e le Dop. Nessuno ruba spazi agli altri, bisogna solo gestirli meglio. Il sistema Sardegna dovrebbe fare quadrato attorno alle Dop minori Annalisa Uccella

"L'entità delle risorse che noi destiniamo alla promozione è tuttavia insufficiente poiché proporzionale alla produzione che ad oggi non ha ancora raggiunto quantitativi di peso". Quindi immettere nella filiera di produzione del pecorino sardo le eccedenze di latte della filiera del romano, potrebbe essere una soluzione? Le due Dop potrebbero aiutarsi, ma con grande attenzione: "Non basta dirottare la produzione di latte verso una Dop diversa dal romano perché il problema si risolva. Se noi non interveniamo con una campagna di comunicazione a valle, che accompagni l'azione di diversificazione delle Dop, rischieremmo di inflazionare la Dop di riserva, dobbiamo quindi governare la diversificazione indirizzandola verso le denominazioni minori che ad oggi non hanno la forza di emergere e, contestualmente, attuare interventi di informazione capillare sul mercato". 

Serve una rivoluzione culturale, prima ancora che produttiva. Il pecorino sardo Dop deve entrare innanzitutto nella testa dei produttori, prima ancora che il latte entri in caldaia Annalisa Uccella

"Per fare questo servono risorse e sono necessarie delle modifiche strutturali che tendano a risolvere il problema sul lungo periodo, non solo per i prossimi anni. Quale valore maggiore possiamo chiedere a un formaggio di quello che gli assicura il marchio Dop? Le filiere sono blindate e super controllate, la qualità non fluttua, è costante e garantita. Se non crediamo nel valore e nell'enorme potenziale di questo formaggio è inevitabile che continueremo a essere trascinati dalle grandi crisi cicliche dell'altra grande Dop, che ha, per tecnologie di produzione e conservazione, un sistema molto più gestibile di un formaggio come il pecorino sardo, che, essendo un formaggio da tavola, richiede costi molto superiori".

"In questa fase di crisi del pecorino romano, dobbiamo quindi evitare che si crei sui mercati dei formaggi da tavola un pericoloso effetto inflattivo, che creerebbe grave danno anche alle altre Dop e allo stesso tempo evitare, a crisi superata, il rischio di un innalzamento incontrollato dei prezzi che avrebbe anch'esso effetti destabilizzanti sui listini degli altri formaggi Dop" conclude il direttore del Consorzio, Annalisa Uccella.

È vero: produrre, comprare e consumare una Dop comporta un costo, ma garantisce la provenienza e la qualità del prodotto. Se siamo pronti a spendere soldi per acquistare il parmigiano reggiano, per il grana padano, per il gorgonzola, per l'asiago etc. e quindi a riconoscerne il valore gastronomico, perché non dovremmo fare lo stesso col pecorino sardo? 

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