SCIENZA E RICERCA

Perdita dell'udito: nuove scoperte, ma la ricerca continua

Stando ai dati del World Report on Hearing pubblicato nel 2021 dall’Organizzazione mondiale della Sanità, più di 1,5 miliardi di persone soffrono di perdita dell’udito, un numero che potrebbe aumentare fino a 2,5 miliardi entro il 2050. Inoltre, 1,1 miliardi di giovani sono a rischio a causa dell’ascolto di musica ad alto volume per periodi di tempo prolungati. Ci sono circostanze in cui la perdita dell’udito, dovuta all’invecchiamento, a particolari tipi di rumore o di farmaci, risulta irreversibile poiché non esiste alcun modo di riprogrammare le cellule sensoriali dell’orecchio deputate alla percezione dei suoni, una volta morte. Un passo avanti è stato fatto, recentemente, da un gruppo di ricercatori della Northwestern University che, in un articolo pubblicato su Nature (Tbx2 is a master regulator of inner versus outer hair cell differentiation), illustra la scoperta di un gene coinvolto nei meccanismi dell’udito. Si tratta di un risultato che va ad aggiungersi a quelli già ottenuti in passato in questo filone di ricerca, orientato a trovare una cura per la sordità che ad oggi ancora non esiste.  

Cominciamo innanzitutto da qualche premessa. A essere interessate nella percezione dei segnali sonori sono le cellule ciliate. Si trovano, oltre che nel vestibolo dell’orecchio, nella coclea e devono il loro nome alla presenza nella loro parte apicale di un ciuffo di stereociglia. Le cellule ciliate nell’uomo sono 15.000 e sono tutte presenti alla nascita. Dopo la nascita non sono più in grado di riprodursi. A seconda della loro posizione vengono definite esterne o interne. Di forma cilindrica e disposte su tre file, le prime hanno un ruolo di amplificazione meccanica, cioè in risposta alla pressione delle onde sonore amplificano il suono per le cellule ciliate interne. Queste ultime, conformate a pera e collocate su un’unica fila, sono implicate invece nella trasmissione delle informazioni acustiche al sistema nervoso centrale. Le une sono separate dalle altre da cellule di supporto, dette cellule a pilastro. È proprio la morte delle cellule ciliate della coclea la causa più frequente di sordità e di perdita dell’udito. Allo stato attuale, gli scienziati sono in grado di ottenere una cellula ciliata artificiale, ma non di differenziarla in una esterna o interna.     

Ebbene, i ricercatori della Northwestern University, in esperimenti condotti sui topi, hanno scoperto che il gene Tbx2 regola la maturazione e il differenziamento delle cellule implicate nella percezione dei segnali sonori: durante l’embriogenesi, a seconda che sia espresso o meno, dirige le cellule ciliate immature verso lo sviluppo rispettivamente in cellule ciliate interne o esterne. Ed è importante anche dopo la nascita, in quanto nelle cellule mature può regolare la transdifferenziazione direttamente tra le cellule ciliate interne ed esterne.

“Si tratta di un lavoro ancora in fase sperimentale, certamente un passo in avanti significativo per capire come si differenziano le cellule ciliate e forse anche per produrre in futuro cellule ciliate e specificamente, interne o esterne – osserva Roberto Bovo, docente del dipartimento di Neuroscienze dell’università di Padova e coordinatore del Centro regionale di riferimento per gli impianti cocleari nel bambino, presso l’Azienda Ospedale-Università di Padova –. Tuttavia, nella stampa questo articolo ha riscosso un entusiasmo un po’ eccessivo: sostenere che questo gene ci permetterà di risolvere il problema della sordità è inappropriato. Si deve tener presente che in passato sono stati individuati molti geni di questo tipo. Per esempio, Atoh1 è sempre un gene regolatore, scoperto anni fa, che differenzia le cellule ciliate, sia nell’epitelio uditivo che vestibolare. Vi sono poi geni come Math1, MYH7, EYA1 che inducono non tanto la differenziazione delle cellule ciliate, quanto la crescita e la formazione delle stereociglia. Ancora, si è riusciti a identificare il ruolo di INSM1, che interagisce con Tbx2, sempre nel quadro della differenziazione delle cellule ciliate. I geni candidati ad avere un ruolo nella maturazione, nella differenziazione delle cellule ciliate sono migliaia e serviranno anni per capire quali, tra questi, abbiano realmente un ruolo importante. C’è dunque ancora moltissimo lavoro da portare avanti, e non solo nello studio dei geni, ma anche delle molecole che intervengono nella fase dell’embriogenesi e nella differenziazione e maturazione delle cellule ciliate”.

Lo studio dei ricercatori della Northwestern University è dunque un tassello importante, ma i risultati già ottenuti in passato – che ad oggi non hanno ancora permesso una cura per la sordità – dimostrano che serve cautela, secondo Bovo, specie per non creare false aspettative nel paziente.

Nel settore della ricerca, la comunità scientifica internazionale si sta muovendo in più direzioni. Nel laboratorio di bioacustica del dipartimento di Neuroscienze dell’università di Padova, per esempio, il gruppo coordinato da Laura Astolfi, in collaborazione con l’università di Pisa, sta conducendo ricerche sui materiali piezoelettrici. Questi materiali si comportano come le cellule ciliate: trasformano l’energia meccanica vibratoria del suono in un segnale elettrico che innesca il potenziale d’azione del nervo. Se si riuscisse a sostituire gli uni alle altre, la funzione delle cellule ciliate potrebbe essere rispristinata.

“Nell’ambito dei moltissimi materiali disponibili – spiega Bovo – oggi siamo arrivati a sceglierne tre che non sono dannosi per la coclea, perché perfettamente biocompatibili. Siamo in grado, inoltre, di inserirli all’interno della coclea, utilizzando anche nanoparticelle: si tenga presente che la coclea è un organulo piccolissimo, la scala timpanica e vestibolare dove vanno collocati ha una dimensione di pochi millimetri”. A costituire ancora un limite, tuttavia, è la quantità di corrente che i materiali piezoelettrici sono in grado di produrre, che non è sufficiente al momento per innescare il potenziale d’azione del nervo.

Un altro filone di ricerca è quello della drug delivery. “Si tratta di sistemi che portano molecole, farmaci, fattori di crescita, direttamente all’interno della coclea. A Padova stiamo sperimentando delle micropompe, degli impianti cocleari che non solo funzionano da impianto, ma anche da trasportatori di sostanze. Stiamo testando, inoltre, l’immissione di sostanze antinfiammatorie, che prevengono quindi il danno cellulare, di sostanze antiossidanti. La morte delle cellule ciliate infatti è dovuta a uno stress ossidativo, a un accumulo di ossidanti, per cui oggi si prescrive spesso il cortisone”.

Il settore di ricerca più promettente, secondo il docente, è l’editing genomico che permette di intervenire sul Dna, di eliminare i geni alterati e di sostituirli con altri normalmente funzionanti. Un passo avanti importante è stato fatto nel 2012 con la scoperta del sistema Crispr/Cas9: si tratta di una tecnica economica, rapida e vantaggiosa, anche se non del tutto precisa, e questo non ha ancora consentito di applicarla sull’uomo. “Forse, però, è la via più promettente nella terapia della sordità in futuro. Nel topo abbiamo già curato alcune sordità genetiche”.

Ad oggi, l’unica strada percorribile per un paziente ipoacusico o sordo è quella della riabilitazione, dato che come si è detto non esiste ancora una cura per la sordità. Esiste però un tipo di sordità causata da mutazioni del gene OTOF, codificante per l’otoferlina, che forse sarà la prima a ottenere un trattamento definitivo con tecniche di ingegneria genetica. “Possiamo riabilitare tutti i tipi e i gradi di ipoacusia, dalle forme più lievi fino alle sordità profonde – conclude Bovo –, utilizzando protesi acustiche che hanno avuto uno sviluppo tecnologico notevolissimo. Oltre alle protesi tradizionali, ci sono anche protesi acustiche che vengono applicate chirurgicamente, con sistemi piezolelettrici, elettromagnetici. Ci sono poi gli impianti cocleari che hanno un funzionamento completamente diverso dalla protesi acustica. L’impianto cocleare è un orecchio elettronico, cioè sostituisce l’orecchio: capta, riceve lo stimolo acustico, lo trasforma in un segnale elettrico e questo viene inviato, attraverso una serie di elettrodi, a stimolare direttamente il primo neurone, le fibre del nervo cocleare”.

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