UNIVERSITÀ E SCUOLA

Più digitale e attenta al benessere psicologico. L’università dopo il Covid

L’edizione 2022 del report Education at a glance racconta come le università e gli altri istituti di educazione terziaria dei paesi OCSE hanno reagito di fronte alle difficili sfide poste dalla pandemia e come hanno affrontato l’ultimo anno, caratterizzato dalle riaperture degli istituti universitari e scolastici e da un progressivo ritorno alla normalità.

Le università e gli altri istituti di formazione terziaria nei paesi OCSE sono stati chiusi per una media di 82 giorni a causa dell’emergenza covid. Tuttavia, si possono osservare considerevoli differenze tra le durate delle chiusure analizzando i dati relativi ai singoli paesi, alcuni dei quali sono rimasti aperti per tutto il periodo della pandemia, come Israele, Lussemburgo, Turchia e Giappone (dove le chiusure non erano obbligatorie a livello nazionale ma molti istituti hanno comunque posticipato l’inizio delle lezioni previste per la primavera 2020), mentre altri, negli anni accademici 2019/2020 e 2020/2021 hanno chiuso per un totale di 200 giorni, come l’Austria.

Durante il primo anno di pandemia la maggior parte dei paesi OCSE ha chiuso le proprie università per la gran parte del periodo di lezione. Le differenze tra le politiche di chiusura degli istituti di istruzione terziaria adottati dai diversi paesi OCSE sono ancora più visibili se si analizza, invece, l’anno accademico 2020/2021. In alcuni paesi, come l’Austria, le chiusure delle università a causa del covid sono state addirittura più prolungate in questo secondo anno di pandemia rispetto a quello precedente. Nei Paesi Bassi è stata persino attuata una chiusura di cinque giorni nel primo semestre del 2022, unico caso tra i paesi OCSE.

A causa della pandemia, gli istituti di istruzione terziaria sono rimasti chiusi più a lungo rispetto a quelli di istruzione secondaria, dove l’attività didattica in presenza è stata sospesa per una media di 81 giorni in totale. Anche questi dati però differiscono tra i singoli paesi, in alcuni dei quali, come l’Austria, la Francia, la Germania e la Svizzera, le università e gli altri istituti di formazione terziaria hanno interrotto le lezioni in presenza per almeno 50 giorni in più rispetto a quelle secondarie. Al contrario, in Cile, Colombia, Israele, Lettonia e Turchia, sono state queste ultime a rimanere chiuse per almeno 50 giorni in più rispetto agli istituti di istruzione terziaria.

Il passaggio dalla didattica in presenza all’apprendimento a distanza è stato meno problematico per gli studenti e i docenti universitari rispetto a quelli delle scuole primarie e secondarie. Infatti, nelle università di molti paesi le tecnologie digitali erano già utilizzate per supportare le attività di insegnamento e apprendimento molto tempo prima dell’inizio della pandemia. Questo ha permesso agli studenti e ai docenti universitari di adattarsi più rapidamente alle piattaforme per la didattica a distanza rispetto agli alunni e agli insegnanti delle scuole secondarie. La maggior parte dei paesi OCSE prevede di continuare a utilizzare le piattaforme di apprendimento digitali creando, ad esempio, programmi di apprendimento “ibridi” che prevedano la possibilità di seguire le lezioni sia da remoto che in presenza.

La pandemia ha anche avuto un impatto sulle scelte di finanziamento degli istituti di istruzione terziaria da parte degli stati OCSE, più del 75% dei quali ha alzato il budget destinato ad essa nel 2020. Nel 2021 il 90% dei paesi dell’area OCSE ha aumentato ulteriormente i fondi destinati all’istruzione terziaria rispetto all’anno precedente.

Come emerge dal report, alcuni paesi OCSE hanno condotto studi specifici per valutare l'impatto della pandemia sul benessere psicologico degli studenti e dei docenti dei loro istituti di istruzione terziaria (bisogna comunque considerare che nella maggior parte di queste ricerche è stata dedicata più attenzione agli effetti psicologici della pandemia sugli studenti che sugli insegnanti).
In Finlandia, ad esempio, è emerso che per il 40% degli studenti universitari le nuove modalità di apprendimento e studio erano causa di stress, insicurezza e paura di non riuscire a finire l’anno accademico.

Come conseguenza di quanto appena descritto, molti paesi OCSE hanno delineato speciali programmi di supporto psicologico dedicati agli studenti universitari. In 12 dei 29 paesi con dati disponibili a riguardo, questi servizi sono stati promossi a livello nazionale, mentre in altri 12 la decisione di organizzare sportelli di sostegno psicologico spettava ai singoli atenei.

Oltre agli interventi di consulenza psicologica, le altre principali misure adottate dalle università dei paesi OCSE per supportare gli studenti riguardavano l’incremento delle forniture idriche e dei servizi igienici, aiuti finanziari agli studenti svantaggiati e programmi di tutoraggio individuale.

Il periodo di ripresa dall’emergenza sanitaria è stato purtroppo segnato dall’aggressione russa all’Ucraina, dalla quale 5,4 milioni di persone sono emigrate all’estero. Tra di loro c’erano quasi 665.000 studenti (il 16% della totalità degli iscritti al sistema scolastico in Ucraina) e oltre 25.000 insegnanti (il 6% del corpo docente di tutto il paese). I paesi ospitanti hanno dovuto muoversi rapidamente per accogliere gli studenti e i docenti rifugiati e permettere loro di continuare il loro percorso scolastico e lavorativo.

I paesi OCSE hanno introdotto diversi tipi di misure per agevolare l’accesso degli studenti ucraini alle università locali. In Spagna e Finlandia, ad esempio, sono state organizzate specifiche attività di orientamento per aiutare questi ultimi a completare le procedure di immatricolazione. In altri paesi, come l’Italia, il Belgio, la Polonia e la Svezia, gli studenti ucraini sono stati esentati dal pagamento di alcune tasse universitarie.

Siccome la barriera linguistica rischia di rallentare o ostacolare le carriere accademiche degli studenti ucraini all’estero, spesso i paesi ospitanti danno loro la possibilità di frequentare dei corsi di lingua. In alcuni paesi questi corsi sono destinati a tutti, in altri, come la Spagna e la Svizzera, sono rivolti solo agli iscritti all’università.
La Commissione europea ha stilato delle linee guida che permettono ai paesi di appurare e riconoscere le qualifiche e i titoli di studio di cui sono già in possesso i rifugiati, così che possano continuare il percorso di studio che avevano intrapreso in Ucraina. Diversi paesi, tra cui il Belgio, il Portogallo e la Spagna, le stanno già seguendo per accelerare le procedure di iscrizione degli studenti ucraini nei percorsi di studio terziari. Allo stesso modo, molti paesi si impegnano attivamente per integrare nelle università i docenti e i ricercatori ucraini, ad esempio offrendo loro borse di studio specifiche – come nel caso dell’Accademia reale svedese delle scienze – oppure attraverso programmi nazionali che indirizzano i ricercatori rifugiati verso le università locali, come in Francia. In molti istituti, infine – come ad esempio l’università di Vienna – sono attivi specifici servizi di supporto psicologico per i rifugiati ucraini.

È fondamentale che i paesi ospitanti continuino a impegnarsi attivamente per incoraggiare e facilitare l’accesso all’istruzione terziaria agli studenti che hanno dovuto lasciare l’Ucraina per scappare dalla guerra. Infatti, come viene sottolineato nel documento, la partecipazione a percorsi di studio può facilitare l’inclusione sociale di queste persone che, così facendo, possono continuare a perseguire i loro obiettivi personali e lavorativi lontano da casa e anche a riacquisire, un po’ alla volta, un senso di stabilità e sicurezza.

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