CULTURA

Il più recente museo italiano: il Museo Nazionale dell’emigrazione a Genova

Quando e perché una raccolta museale possa essere definita italiana è difficile dire. Dipende dal promotore, dal gestore, dalla materia o, forse, dalle loro connessioni e da altri fattori, ulteriori e comparati. Istituita dallo Stato italiano con legge nazionale ordinaria? E se solo con un qualche decreto o atto ministeriale? Gestita da apparati statuali come istituto nazionale? E se, però, pure in collaborazione con altri soggetti pubblici e/o privati, magari con ruoli preminenti in termini di finanziamento o di organizzazione? Riferita a storie e oggetti raccolti nell’intero territorio italiano, senza specificità regionali o locali? E se la distribuzione e l’esposizione sono poi articolate in tante differenti città province regioni (come nel caso della geografia dell’archeologia, per esempio)? E se il contenuto non è poi davvero rappresentativo dell’intera realtà territoriale nazionale (come in qualche caso in cui si parte da collezioni ristrette e la dimensione italiana risulta un’aspirazione)?

E se, ancora, la materia non può essere “confinata”, né sul piano internazionale, né sul piano interno (come proprio nel caso della storia delle migrazioni che abbiamo iniziato a esaminare)? Districarsi nel labirintico ginepraio di definizioni, norme, regolamenti, dipartimenti, istituzioni, casi, gelosie, illusioni non è realistico e, forse, non vale la pena. Nel corso del 2022 è nato un solo grande museo nazionale definito come “italiano” e ha caratteristiche così interessanti e peculiari che appare preferibile intanto visitarlo, fisicamente o virtualmente, con semplicità, curiosità e spirito critico. Il reticolo di efficaci installazioni al secondo piano si chiama proprio Il labirinto e raccoglie alcune situazioni vere dei pregiudizi cui sono sottoposti gli immigrati italiani in vari paesi con differenti lingue, si potrebbe partire proprio da qui, anche se non è il senso indicato del percorso, vi sono piani sotto e sale prima. Rende però assai bene l’idea della stimolante operazione realizzata.

Il MEI, Museo nazionale dell’Emigrazione Italiana, inaugurato a Genova l’11 maggio dello scorso anno, non mostra oggetti collezionati, una novità sostanziale. L’istituzione della struttura non deriva da raccolte di oggetti già esposte e preesistenti, bensì da una deliberata scelta “dall’alto”, da una sorta di chiamata internazionale (è frequente nel mondo scientifico usare il termine inglese call, per capirsi), attraverso la quale sono stati proposti spunti e materiali da oltre cento comunità italiane nel mondo, da altri musei, da università, da centri culturali, da archivi, tutti indicati come “partecipanti” al progetto. Selezione e presentazione sono avvenute successivamente cercando di valorizzare la diffusa concreta “partecipazione”, dando criteri espositivi omogenei alla documentazione raccolta, privilegiando la fruizione multimediale dei visitatori attesi.

L’obiettivo era, innanzitutto. di far conoscere l’emigrazione italiana tramite le storie di tanti migranti. Certo, contano i periodi storici antichi e moderni (pur se la data spartiacque è l’unificazione di uno Stato italiano come luogo di partenza), le spinte iniziali connesse ai contesti sociali e familiari delle varie regioni o residenze, le finali destinazioni vicine e lontane, i transiti multipli con ogni possibile mezzo di trasporto, le catene migratorie e linguistiche instauratesi nell’evoluzione delle esistenze, i legami permanenti non solo tramite le rimesse e gli epistolari. Contano, quindi, percentuali e statistiche, la storia e la geografia di un fenomeno che, tuttavia, non è comprensibile con freddi dati quantitativi. Davvero ogni migrante e ogni migrazione sono vicende assestanti, uniche.

L’ingresso del MEI non è altisonante, quasi dimesso e minimale; appena entrati, contenitore e contenuti consentono però una godibile immersione nelle vite che furono e sono anche le nostre, che hanno impattato sull’identità e sull’immaginario di ogni sapiens. Siamo in una piazzetta davanti al mare nel centro di Genova, nei pressi della stazione centrale, quella di Piazza Principe, la ferrovia poco più in collina. Con il mare dietro, vediamo tutto insieme un articolato complesso di edifici, in particolare sulla destra due chiese sovrapposte in stile romanico e, accanto, la grande splendida Commenda di San Giovanni di Prè, un edificio a due livelli successivamente rialzato (oggi appunto tre piani) che funzionava come “ospitale” per pellegrini, soldati, commercianti (poi anche malati e indigenti), perlopiù appena arrivati o in procinto di partire dal prospicente porto.

L’inizio della costruzione risale a oltre ottocento anni fa, circa al 1180, per volere di un ordine cavalleresco nato al tempo delle crociate e oggi conosciuto in tutto il mondo con il famoso nome dei Cavalieri di Malta. L’Ordine religioso militare dei Cavalieri Gerosolomitani aveva il compito di accogliere e offrire riparo a pellegrini e mercanti diretti in Terrasanta, che all’epoca era teatro della III Crociata. Gestiva una fitta rete di luoghi di accoglienza, simili in tutta Europa, per i “viandanti” che utilizzavano galee e ogni altro tipo di imbarcazione. Genova era un porto commerciale cruciale da secoli (forse ancor più a metà del millennio scorso), terra di scambi e ibridazioni con il resto d’Europa, l’intero Mediterraneo e oltre. La presenza del gruppo sociale dei cavalieri era ampia e significativa, persone altolocate che connettevano vari gruppi sociali e percorsi in lungo e in largo, vie di mare, le rotte di transito marino per merci e comunità verso mari e bacini oceanici (soprattutto di altri continenti), come anche vie di terra, le strade di transito terrestre per merci e comunità verso l’Europa (soprattutto settentrionale e orientale).

Divenuta nei secoli sede di confraternite e poi suddivisa in appartamenti, la Commenda ha ritrovato il primitivo assetto dopo un importante restauro nel corso del Novecento. Tra il 2009 e il 2020 ha ospitato il Museoteatro, restando sempre di proprietà comunale. Così, quegli spazi sono sembrati essere la destinazione ideale per un museo delle migrazioni, non a caso durante il periodo delle cosiddette free migrations a cavallo di Ottocento e Novecento era Genova il principale porto di partenza verso le Americhe. Il 3 dicembre 2008 era stato il Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale a promuoverne l’istituzione come struttura permanente, da realizzare d'intesa con il Ministero della cultura, con il compito di acquisire, catalogare, conservare, ordinare ed esporre beni culturali per finalità di educazione e di studio dell'emigrazione italiana. Forse era corretto e preferibile evitare il prefisso “e”, riferendosi alla libertà di movimento e alle migrazioni, ma la paura dell’altro prefisso “im” e dell’immigrazione è pervasiva.

All’inizio fu stabilita una sede provvisoria, l'ex gipsoteca del complesso monumentale del Vittoriano (come noto a Roma in Piazza Venezia), dove il museo è stato per la prima volta “inaugurato” nel 2009 con numerosi prestiti di fotografie e documenti, testimonianza dei movimenti migratori italiani nel corso dei decenni, circa una sala a disposizione di ogni regione italiana coinvoltasi. Dopo pochi anni, nel marzo 2016 la sede del Vittoriano è stata dismessa e sono state avviate le procedure per individuare la nuova e definiva sede del Mei, finché la scelta è caduta sulla città e sulla sede attuali. Il 22 gennaio 2018 il Ministero della Cultura, la Regione Liguria e il Comune di Genova sottoscrissero il relativo accordo che conduce al MEI.

Si costituì così un apposito soggetto giuridico, nella forma di una Fondazione di partecipazione, polo scientifico, documentario e divulgativo, dedicato al fenomeno dell'emigrazione italiana, ufficialmente sorta il 9 novembre 2021. Ovviamente, il comune di Genova ha essenziali funzioni di stabile coordinamento, per la gestione del proprio patrimonio edilizio cittadino, per i rapporti con gli organi di informazione, per orari e omogeneità dell’offerta turistica. Si rinviene un sito utile anche da questo lato. Non a caso la sede scelta è proprio di fronte ai padiglioni su “Memoria & Migrazioni” e “Italiano anch’io” ospitati presso il Galata Museo del Mare, che del MEI formano parte integrante.

Attraverso quattro anni di ricerche scientifiche e oltre due anni di progettazione e restauri (con il rilevante contributo finanziario della Fondazione San Paolo), il MEI ha infine aperto al pubblico otto mesi fa, presentando un percorso sviluppato sui tre piani, suddivisi in 16 aree attraverso le quali il visitatore ripercorre vicende e temi, date e dati della mobilità italiana, dall’Unità d’Italia, e ancora prima (con altre idee di confine patrio), fino alla contemporaneità. Gli orari di apertura sono più o meno i soliti: Martedì, Mercoledì, Giovedì e Venerdì dalle 10.00 alle 18.00; Sabato e Domenica dalle 11.00 alle 19.00.

Il Museo propone al pubblico, inquadrate all’interno di una cornice storiografica, già circa trecento storie di vite dei protagonisti dell’emigrazione: le esperienze dei singoli sono proposte attraverso fonti primarie come le autobiografie, i diari e le lettere originali, le fotografie o i giornali dell’epoca, i canti e le musiche relativi, digitalizzate e rielaborate grazie a postazioni multimediali interattive, postazioni archiviovideoproiezioni e videoinstallazioni. ricostruzioni attoriali tramite apposite intelligenti scenette (sketch), pensate con la collaborazione di studiosi e istituti di ricerca. Fondamentale è stato l’apporto delle Associazioni di cittadini italiani all’estero e delle comunità italiane internazionali, che hanno contribuito con entusiasmo ad accrescere il bagaglio di storie presentate nel percorso espositivo, in costante evoluzione e arricchimento

Le storie non sono “rappresentative”, né dell’insieme delle vite dei migranti (la biografia inizia prima e finisce dopo il trasferimento internazionale di residenza, il contesto viene poi osservato da un punto di vista individuale), né dell’intero universo delle decine di milioni di casi analoghi di migrazione internazionale dall’Italia. Non si tratta di un “campione” di tutti i possibili luoghi di partenza e di arrivo o delle classi sociali di appartenenza della famiglia d’origine e delle dinamiche familiari successive. Del resto, ogni storia narrata all’interno del percorso espositivo è comunque “unica”, pur se motivi, itinerari, esperienze (positive e negative nel breve o nel lungo periodo) accomunano quasi ogni umana migrazione, come fatto sociale totale. Inoltre, la direzione scientifica del museo ha utilmente individuato alcuni filtri tematici: per esempio la migrazione forzata da motivi politici o religiosi, la migrazione indotta dalla povertà economica o da spinte sentimentali, il punto di vista di bambine e bambini.

L’allestimento risulta efficace e funzionale, anche in considerazione del valore storico artistico degli edifici “vincolati” dai Beni Culturali, forse il monumento medievale meglio conservato della città, che hanno imposto vari adattamenti per non intaccare le strutture murarie, le decorazioni, i soffitti, le finestre aperte verso l’esterno. Molti servizi sono ancora in allestimento e affidamento (come il bookshop). All’ingresso c’è la biglietteria, sulla destra la prima sala, dove è consigliabile fare il proprio passaporto digitale che vi accompagnerà durante tutta la visita, ideato per calibrare lingue, storie e documenti in base alla specifica persona che sta compiendo il percorso. Non tutto è già tradotto con le tre lingue principali individuate (inglese, francese, spagnolo), pur se il lavoro è in corso d’opera e molto viene ormai garantito a eventuali visitatori stranieri (o a italiani “di ritorno” che da generazioni e decenni praticano meno la nostra lingua).

Le prime sale sono benissimo dedicate alle migrazioni precedenti l’Unità d’Italia e ad argomenti trasversali della vita quotidiana come la salute e l’alimentazione; trovate anche un giardinetto interno con le specie vegetali essenziali che venivano portate in valigia per far migrare anche la propria “terra” e tentare di piantarla altrove. Al primo piano colpisce il Memoriale, anch’esso all’aperto (per i giorni non piovosi). Si tratta di una ricca installazione artistica con un planisfero sopra le teste che mostra i luoghi di venti tipologie di tragedie delle migrazioni (cadono dall’alto con corde lunghe e tanti nodi): dal naufragio del Sirio all’incendio della Triangle a New York, dai fatti di Aigues Mortes alla strage di Marcinelle, passando per disastri minerari e naufragi. Fatti e drammi che non vanno dimenticati (costituiscono tragica parte del migrare) e ricordano le silenziose stragi contemporanee che colpiscono i migranti in ogni parte del mondo, da noi tante nel Mediterraneo (ma Lampedusa non viene mai citata in nessuna sala, se ne parla solo al Galata Museo del Mare).

Lì accanto si trova l’enorme salone che raccoglie centinaia di storie reali di italiani e italiane dispersisi e sparsi migrando nel mondo, con la possibilità di interagire. digitando continenti e paesi (mancano ancora tante destinazioni cruciali, per esempio il Sudafrica) o approfondendo le singole biografie “distese” sugli schermi dei tavoli (ne stanno arrivando continuamente di altre, è lungo e costoso inserirle periodicamente), o ancora dirigendosi verso il tendone del rapporto fra migrazioni e politica (all’esterno le date della storia costituzionale e delle leggi in materia, senza purtroppo riferimenti ai Global Compact; all’interno i passaggi cruciali dei discorsi più importanti di vari rappresentati istituzionali dai re al Presidente Mattarella) o verso il corridoio delle migrazioni “particolari” (cooperanti, esuli, spose, missionari, prigionieri di guerra, coloni, ecc.).

La visita è piena di sorprese e curiosità, di storie di successo e di malinconie, ci vorrebbe un’intera giornata a godere di ogni contenuto multimediale. Al secondo piano, oltre al Labirinto, è possibile godere anche di un ampio luminoso spazio didattico e, da sopra, si più riscendere sotto sia con l’ascensore che con un simpatico scivolo giallo. Prima di uscire (sulla sinistra rispetto alla biglietteria) vi sono le sale dedicate alle migrazioni interne (dalla campagna alla città e dal Sud al Nord) e alle migrazioni contemporanee (grazie alla Fondazione Migrantes), ancora una volta arricchite da dati aggiornati e da storie di persone comuni (con l’importante contributo dell’Archivio Diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano). Ci si trova, infine, in mezzo alle rondini, a quelle migrazioni “stagionali” che sanzionano il carattere universale, strutturale, diacronico, asimmetrico del migrare.

Decidendo di visitare il MEI vale la pena fare prima il giro virtuale ottimamente predisposto e programmare ovviamente tempo e gusto per ritrovare luci e carruggi dell’intera splendida città di Genova, le strade nuove e il sistema dei palazzi del centro storico come noto sono patrimonio dell’umanità Unesco ed esistono molti altri begli spazi di nuova apertura e gestione come presidi civili.

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