CULTURA

La poesia vince il Nobel

“Per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale” è la motivazione con cui la poetessa statunitense Louise Glück vince il Premio Nobel per la Letteratura 2020.

La reazione del pubblico italiano è, per certi versi, analoga a quella mostrata un anno fa, davanti al nome di Olga Tokarczuk: entusiasmo e stupore.

E se Glück non è molto conosciuta in Italia (ma era la poetessa preferita di Foster Wallace), questo è dovuto – ahimé – soprattutto al fatto che nonostante la sua produzione sia prolifica (quindici le antologie pubblicate) le sue opere non sono tutte tradotte. Si trovano infatti solo L’iris selvatico (Giano, 2003) con cui ha vinto il Pulitzer per la poesia proprio quell’anno e Averno (Dante&Decartes, 2019). Ma c’è chi l’ha subito notata, specie tra i colleghi, come la poetessa Anna Toscano che l’ha inserita nell’antologia Chiamami col mio nome di cui è curatrice e in cui figurano autrici del calibro di Goliarda Sapienza, Ingrid De Kok, Janet Frame e molte altre, avendone notato la potenza. Negli anni Toscano ne ha poi seguito l’evoluzione, a partire dalla produzione degli anni Ottanta fino a quella recente.

“Si tratta di un poetare essenziale, fatto di frasi incisive, e un lessico preciso e calibrato – spiega – e quel che è molto interessante è che Louise Glück scrive una poesia accessibile, nel senso che lascia il lettore accedere a un significato”, come si intuisce dalle stesse parole della poetessa, in “Parodos”, componimento della raccolta Ararat (1990, da In forma di parole, raccolta monografica con la curatela e la traduzione di Bianca Tarozzi): “Vi dirò cosa volevo essere – un congegno fatto per ascoltare”, e chi ascolta accoglie, comprende e lascia comprendere. Apre così, “Parodos”: “Molto tempo fa, sono stata ferita. / Imparai / a resistere, come reazione” stigmatizzando i temi centrali attorno a cui si impernia la produzione di quella decade, quando la poetessa era già attiva quasi una ventina d’anni e che sono una riflessione sull’esistenza e su come superarne le prove, soprattutto la separazione dalle cose e dalle persone.

“La sua è una poesia del quotidiano – precisa Toscano – e mette in comunione con il lettore l’esperienza, descritta sempre in modo chiaro attraverso un’immagine, senza troppo far uso di aggettivi. Viene presentato uno scenario, per nulla ermetico e non viene concesso al lettore l’agio dell’interpretazione. Non c’è bisogno di estrapolare nulla”.

Tutto ciò è per certi versi raro nel mondo della poesia contemporanea, e va di pari passo con un poetare che, nell’alveo della poesia nordamericana più che di quella europea, è prosastico anche se non mancano componimenti lirici, in un’alternanza di temi e forme che costituisce l’evolversi della poesia di Glück.

Se infatti ne “I gigli bianchi” de L’iris selvatico leggiamo (nella traduzione di Nicola Gardini) versi come questi: “Taci, mio amato. Non mi importa / quante estati vivo per tornare: / questa sola ci ha dato l’eternità. / Ho sentito le tue mani / seppellirmi per liberare il suo splendore”, “Persefone errante-1” di Averno (tradotto qui da Bianca Tarozzi, mentre nell’edizione in libreria per Dante&Decartes  – che si è visto richiedere 2000 copie in un solo giorno a fronte delle poche centinaia vendute in precedenza – è di Massimo Bacigalupo) inizia così, quasi come se fosse un vero e proprio testo di prosa: ”Nella prima versione Persefone / è tolta alla madre / e la dea della terra / punisce la terra – questo / corrisponde a quel che sappiamo dei comportamenti umani”.

Anche i temi virano, e dalla mancanza degli oggetti Glück passa a indagare la mancanza estrema, cioè la morte, e a chiedersi come reagiranno all’assenza umana quegli oggetti che costellano il quotidiano, in un totale capovolgimento di fronte.

Filo rosso negli anni è il dialogo con la mitologia, orizzonte sempre presente e che in Averno diviene fondante: lì la poetessa attraversa quel varco tra la vita e la morte che gli antichi avevano senza timore superato per scandagliare la vita altra.

Ma non è solo poetessa Louise Glück, pur vivendo di poesia. Scrive infatti saggi e insegna poesia a Yale e se in occasione della consegna del Pulitzer alla domanda sui suoi riferimenti letterari pare abbia risposto: “Possiamo passare alla prossima domanda”, alla notizia del conferimento del riconoscimento massimo ha commentato: “Perderò un sacco di amici, adesso”.

Devi chiederti: / dove sta nevicando? / Bianca di oblio, / sconsacrata – / Nevica sulla terra; il freddo vento dice / che Persefone fa sesso all’inferno. /A differenza di tutti noi, non sa / cosa sia l’inverno, soltanto che / è lei a causarlo. Louise Glück, Persefone errante (trad. Bianca Tarozzi)

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